Verso la repubblica delle banane in salsa mediterranea
Con il sì definitivo, e scontato, dei 5 Stelle, nasce, in attesa della formalizzazione, il governo Draghi. I numeri li avrebbe trovati lo stesso in Parlamento, ma si voleva a tutti i costi i voti del movimento di Grillo, indispensabili per l’ascesa al Quirinale e per relegare il dissenso alla marginalizzazione. E sono arrivati, al netto di qualche defezione.
Grillo ha addirittura definito Draghi un “grillino”, avendo trovato convergenze green, tema per il quale egli si è profuso fin dai suoi esordi in politica. Convergenza reale, ma scontata, dato che la grande Finanza sta spingendo in tal senso.
Istruttivo, sul tema, un articolo del New York Times, nel quale i dirigenti della Bank FWD, che fa riferimento ai Rockefeller, spiegano di aver creato una rete di individui, imprese e fondazioni che indirizzerà “le proprie scelte bancarie e la loro posizione pubblica per persuadere le banche più importanti a eliminare gradualmente il finanziamento ai combustibili fossili e a occuparsi di questioni climatiche”.
Draghi, che di quella Finanza è espressione, non ha avuto quindi alcun problema a convergere sul punto.
L’Uomo della provvidenza
I Cinque stelle tenteranno di conservare una qualche influenza, e in particolare preservare il reddito di cittadinanza, nondimeno il loro peso sulle questioni reali è destinato a essere residuale.
Ma i 5 Stelle non sono certo l’unica forza politica a esser stata incenerita dalla svolta impressa dal Quirinale. Come ha detto Roberto D’Agostino, con l’usuale eloquio immaginifico, “Mattarella ha buttato la classe politica italiana nel cesso, ha tirato la catena e ha chiamato Draghi“.
Brutale, ma così è. Così se è vero che il tempo pandemico può essere assimilato a una guerra cui dovrà seguire una Ricostruzione, quanto avvenuto non riecheggia il secondo dopoguerra, ma il primo, quando la conflittualità e l’impasse della politica portarono al potere l’Uomo della provvidenza.
Né la Ricostruzione avverrà attraverso un Piano Marshall come nel secondo dopoguerra, cioè con aiuti a fondo perduto, base del futuro “miracolo economico”, ma attraverso prestiti che, come i debiti di guerra del primo conflitto mondiale, sono destinati a porre criticità allo sviluppo futuro.
E però Draghi riuscirà a tirar fuori l’Italia dalla crisi. D’altronde gli ambiti che lo sostengono hanno fatto gestire i momenti più bui ad altri, evitando così le inevitabili (e meritate) critiche, per prendere il potere al momento opportuno (cioè all’alba della ripresa, grazie ai vaccini e all’arrivo dei fondi Ue), consegnando così all’ex presidente della Bce il ruolo di salvatore della patria.
Così, come allora, abbiamo un Uomo della provvidenza, che come quello farà arrivare i treni in orario. Quanto si è perso lo scopriremo solo in futuro. D’altronde gli ambiti che hanno imposto il Tecnico non hanno fretta. C’è tutto il tempo per “ristrutturare” l’Italia.
Ciò che inizia, infatti, non è solo il governo Draghi, ma una vera e propria era politica, destinata a durare almeno nove anni, cioè la durata del mandato da presidente del Consiglio più sette anni da presidente della Repubblica, ruolo nel quale il Tecnico conterà ancora di più.
Una nuova era in cui la politica è destinata a svolgere un ruolo da teatrino residuale più ancora di prima e l’Italia ad assimilarsi a una repubblica delle banane in salsa mediterranea.
Di satira e agiografia
Di interesse, per cercare di intuire le prospettive future, la brutalità con la quale il potere è passato di mano, incenerendo in poche ore tutti gli oppositori.
Ma anche la satira feroce che oggi è indirizzata ai residui dissenzienti, ribaltamento di un esercizio nato per irridere i potenti, ma che risparmia, significativamente, l’Uomo della provvidenza, al quale invece è riservata l’agiografia (peraltro usuale verso i “filantropi” – così sui media – della grande Finanza).
D’altronde ci sta: l’Italia è un popolo di santi, poeti e navigatori. Espressione che uno stimato magistrato ebbe a correggere in tal modo: “Né eroi, né santi, navigatori tanti”.
Correttivo che si attaglia perfettamente al futuro primo ministro, che iniziò la sua brillante carriera navigando sul Britannia, panfilo sul quale ebbe a svolgere il ruolo di banditore della svendita all’incanto dell’impresa pubblica italiana, costruita con i soldi dei cittadini (ne abbiamo già scritto, inutile tornarci)..
Di tale processo agiografico si è fatto promotore anche l’irridente D’Agostino nell’intervista citata, nella quale ha detto: «Io lo metterei pure al posto di Bergoglio».
Ma in attesa che ascenda al Soglio quirinalizio, ci sono da fare i passaggi del caso, a iniziare dalla formazione del governo. Il toto-nomi impazza e impazzisce. Non entriamo nel merito, dato che è irrilevante, ché i ministeri che contano (e i servizi di Informazione) saranno riservati alla Casta, in forma diretta o indiretta che sia, per indirizzare il futuro.
Nota un po’ dolente la nostra, ce ne scusiamo con i lettori. Concludiamo accennando a una coincidenza temporale. Il sì dei Cinque stelle, scontato ma indispensabile, è giunto nella ricorrenza delle dimissioni di Benedetto XVI (11 febbraio 2013).
Ci permettiamo così di ricordare le parole che il cardinal Sodano, decano del Sacro Collegio, ebbe a dire in quella traumatica circostanza: “Le stelle del cielo continuano a brillare“. Un modo per stemperare e per conservare la speranza che, nonostante tutto, le forze politiche, e non solo, siano in grado di porre un qualche argine alla prospettiva attuale.
Ps. Agli entusiasti, che usano con eccessiva enfasi la parola Rinascita, Draghi potrebbe suggerire alternative. Rischia di evocare, a chi ha un residuo di memoria storica, il Piano di Rinascita Democratica di gelliana memoria.