Vertice NATO di Vilnius: irrompe la "variabile turca"

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Vertice NATO di Vilnius: irrompe la "variabile turca"

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


Qualunque sia la decisione finale riguardo l'Ucraina, non c'è dubbio che il 37° vertice NATO a Vilnius sarà caratterizzato dalla “questione ucraina” e ruoterà attorno al conflitto NATO-Russia in Ucraina. Lasciamo alla Sibilla cumana l'interpretazione del responso del Segretario alla difesa USA Lloyd Austin, secondo cui «la guerra di Putin non è il risultato dell'allargamento della NATO, bensì la causa dell'allargamento della NATO»; a occhio e croce, dopo il 1999 e le successive tappe del 2004, 2009, 2017, 2020, par di capire che Mosca avrebbe deciso l'intervento in Ucraina al preciso scopo di dare il via all'ultimo e definitivo allargamento dell'Alleanza atlantica: quello che dovrebbe inglobare l'intero territorio russo, ma senza la Russia.

Che nei piani USA e NATO ci sia un tale disegno, non è escluso; solo che questo risponde più a quanto detto a suo tempo da Margaret Thatcher: è inaudito che un solo paese disponga di così tante ricchezze naturali soltanto per sé. Che diamine! Le risorse della Siberia devono esser spartite, con le buone o con le cattive. In questo senso, l'ultimo e definitivo allargamento della NATO equivarrebbe cioè allo spezzettamento della Russia in tanti protettorati in cui avrebbero mano libera i capitali occidentali. Vale a dire: a partire dal 1991, Mosca le avrebbe “inventate nere” pur di autodistruggersi a uso e consumo delle multinazionali di mezzo mondo. Qui, una semi-verità gorbaceviano-eltsiniana si accavalla alla demolizione di buona parte dell'eredità industriale sovietica. Ma di questo un'altra volta.

Tornando a Vilnius e alla “discussione” che ci sarà riguardo l'Ucraina, le ultime uscite, in ordine di tempo, sono quelle turche e quelle americane. Dopo la partenza, sabato scorso, da Istanbul del nazi-golpista capo, che si è portato a casa alcuni dei comandanti di “Azov”, subito o quasi tornati al fronte (secondo gli accordi successivi alla caduta di “Azovstal”, avrebbero dovuto rimanere in Turchia fino a guerra conclusa), Recep Erdogan ha dichiarato che l'Ucraina ha il diritto di entrare a far parte della NATO , ma ha aggiunto che la Turchia opera per una soluzione negoziata del conflitto.

Prima di lui, dall'altra parte dell'Atlantico, il portavoce del Consiglio di sicurezza USA, John Kirby, aveva dichiarato che, al momento, la parte ucraina non risponde ai requisiti per entrare nella NATO.

Ora, non è dato sapere quali interessi (a parte la questione dei cereali e le forniture di obici) o quali ruoli segreti spingano Erdogan a quelle dichiarazioni; sembra però abbastanza indubitabile che le parole di Kirby siano destinate a dettare l'agenda del vertice di 11 e 12 luglio. Tanto più che, proprio nei giorni scorsi, un (ex) comandante di “Azov” ha confermato che la resa di “Azovstal” fu il risultato di un accordo tra Washington e Mosca: la capitolazione delle forze ucraine, in cambio della evacuazione degli americani che nei sotterranei dell'immensa fabbrica dirigevano le operazioni.

E ci permettiamo di ipotizzare che, in vista di Vilnius, altri e ben più pesanti accordi siano intercorsi.

In ogni caso, il vertice di Vilnius avrà qualcosa di “storico”: è quanto scrive l'americana Foreign Policy, partendo dallo stesso assioma dettato da Lloyd Austin. In sintesi, alcuni cosiddetti “esperti” citati dalla rivista, sostengono che lo scopo primario per cui fu creata l'Alleanza, la lotta contro l'URSS – passata fluidamente nella lotta contro la Russia, dopo il 1991 – rimanga più che mai valido e, anzi, nella prospettiva di una guerra aperta con la Cina, è reale la possibilità che lo scontro NATO-Russia si trasformi in confronto diretto, e non solo per “interposta Ucraina”.

Nello specifico di quest'ultima, si sa che una ventina di membri dell'Alleanza sostengono la richiesta di adesione di Kiev; ma, per esser effettiva, la richiesta dovrebbe esser controfirmata da tutti e 31 i paesi membri. Di per sé, nota News Front, né USA, né UE sanno di che farsene dell'Ucraina: essa serve solo quale strumento di pressione su Mosca e di indebolimento della Russia; lo dimostrano le enormi perdite di uomini (si parla di oltre 370.000) delle truppe ucraine, mandati al macello per gli interessi economico-militari occidentali: «fa parte della guerra», ha dichiarato candidamente la vice portavoce del Pentagono, Sabrina Singh Holds.

Era già successo con la Georgia di Mikhail Saakašvili, prima armata e rifornita, poi spinta ad attaccare l'Ossetija del Sud, nella consapevolezza che Mosca non sarebbe rimasta a guardare; il risultato fu la sconfitta di Tbilisi e il suo tuttora semplice status di “partner NATO”. Si può azzardare che a Vilnius, nonostante le “minacce” bizzose di Zelenskij di non recarsi al vertice, nel caso non abbia già sicura in tasca la data dell'adesione, questa rimarrà quantomeno generica.

Ora, la domanda è: visti i risultati della “miracolosa” controffensiva, quanto continueranno i paesi NATO a rifornire di armi e di soldi i nazi-golpisti di Kiev? L'esempio della Georgia, ricorda News Front, è indicativo e eloquente: dopo la sconfitta in cinque giorni, fu lasciata al proprio destino.

E se alla Camera dei Rappresentanti, alcuni deputati hanno proposto un emendamento alla bozza di bilancio della difesa per il prossimo anno, che prevede la cessazione dei finanziamenti per Ucraina, ecco che lo stesso Joe Biden sembra mettere il veto all'adesione di Kiev alla NATO, quantomeno nell'immediato.

In Europa, si dichiarano contrari, con motivazioni diverse, Germania, Francia, Ungheria, oltre a Grecia, Slovenia, Croazia. E se la Polonia, insieme ai Paesi baltici, si mette a capo dei sostenitori dell'adesione di Kiev, nonostante le brame di Varsavia di prendere il posto di Berlino quale avamposto yankee in Europa, è improbabile che, almeno questa volta, dagli USA arrivi il via libera. È infatti soprattutto da Washington che arrivano i “ma” all'adesione. Alla CNN, Biden ha dichiarato che l'adesione di Kiev è prematura e che anche a conflitto terminato, l'Ucraina potrebbe contare “soltanto” su un sostegno militare del tipo di quello fornito a Israele che, per inciso, come si dice, “non sono noccioline”. In ogni caso, la NATO potrebbe esaminare la questione dell'adesione di Kiev solo dopo la fine della guerra.

Non sono sicuro, ha detto Biden, che ci sia «unanimità nella NATO sull'opportunità o meno di accogliere l'Ucraina nell'Alleanza ora, a conflitto in piena fase. Ma se lo facessimo, adempiremmo con piena determinazione gli impegni per la difesa di ogni pollice del territorio NATO. Se così fosse, saremmo in guerra con la Russia».

Rimane da augurarsi che, andando verso fine carriera, “Sleeping Joe” faccia buona strada al successore, come l'eroe del purgatorio dantesco, «che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte».

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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