Vincenzo Costa - La posta in gioco ripensando a Lévi-Strauss
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Si continua a parlare di filoputiani, o di una contrapposizione tra occidentalisti e antioccidentalisti. A volte si dice: “se non ti piace questo paese vai in Russia o in Cina, così vedi se puoi dire lì quello che puoi dire qui”.
Come se la controversia fosse tra adoratori del passato e oscurantisti da un lato e gente di mente aperta al progresso, alla scienza e ai diritti dall’altro.
Io credo che la differenza riguardi invece due modi di concepire l’essere occidentali, due modi di concepire la ragione e la lotta al pregiudizio. E che il pregiudizio che dobbiamo spezzare sia quello della superiorità etica dell’Occidente. Che risuona in ogni discorso un poco scipito quando ti si dice: “allora tolleriamo l’infibulazione?”.
Questo argomento non è solo retorico, ma tradisce proprio il pregiudizio, che si manifesta in una un’operazione semplice: l’altro dall’Occidente viene ridotto a mostruosità, tutto ciò che non è occidente (un dominio immenso, stratificato, diversificato, plurale) diventa abominio.
Un modo di pensare precipitoso, di chi non si è mai preoccupato di leggere un po’ di letteratura etnografica sui popoli cosiddetti primitivi, di storia del pensiero cinese, che non sa nulla della spiritualità russa, delle varie correnti della spiritualità e della cultura islamica.
La verità è che presso gli altri popoli vi sono certo usanze aberranti, e usanze aberranti vi sono anche tra noi, ma l’altro dall’Occidente è ben altro dall’infibulazione e ridurre la sua alterità a questo o all’autocratismo è da una parte un segno di ignoranza, dall’altra di mistificazione.
Ma questo argomento serve a trasformare anche chi dissente da questo risorgente eurocentrismo in un mostro, e lo si fa per nascondere la vera posta in gioco, che non è tra ragione e non ragione, tra ragione e pregiudizio, ma tra due modi di pensare la ragione e la sua lotta al pregiudizio.
Io penso che la distruzione del pregiudizio non consista nel costringere gli altri ad adottare la nostra ragione, ma – per dirla con Finkielkraut – nel rendere l’Occidente capace di comprendere le ragioni degli altri. Questa capacità di comprendere le ragioni degli altri è - per così dire - la gloria dell'Occidente.
Per fare questo sarebbe importante ritornare a riflettere sull’opera di Lévi-Strauss, in particolare su Razza e storia. Opera commissionata da un’ONU all’epoca diversa da quella che è diventata oggi, un’opera che non a torto fu considerata una sorta di manuale per pensare un mondo multipolare.
In particolare, bisognerebbe riprendere il concetto di “coalizione tra culture”, poiché le culture non sono mai identiche a se stesse: esse si trasformano a contatto con le altre e definiscono la loro identità mutuando da altri, contrapponendosi ad altri, contaminandosi con altri.
Chi si oppone alla guerra non lo fa solo perché sa che questa non risolve le contrapposizioni e anzi le esaspera, alimentando odio, nazionalismo, revanchismo, e così creando le premesse per conflitti futuri e senza fine.
Chi si oppone alla guerra lo fa anche perché sa che la guerra blocca la contaminazione tra le culture, le irrigidisce, le porta a crearsi un’identità attraverso la contrapposizione amico/nemico, e già stiamo vedendo rinascere i tanti nazionalismi, ucraino, russo. Ma anche dentro l’Europa. Lo vediamo in Serbia, in Polonia, in Ungheria. Nazionalismi che ci riporteranno indietro, come ci riportano indietro le parole della Von der Leyen, quel “vinceremo” che ricorda anni che pensavamo non sarebbero tornati.
La differenza e la contrapposizione non è tra filoputiniani e occidentalisti. La differenza è tra chi vuole che tutto il mondo diventi occidentale e chi sa che a produrre dinamismo, cambiamento, contaminazione è la pluralità, la ricchezza della diversità, su cui ci ha richiamato hannerz in un libro non troppo lontano, e su cui ci richiama Lévi-Strauss quando mostra che la chiave del cambiamento, ciò che si lascerà alle spalle l’infibulazione, i talebani, le oppressioni non sono le guerre e il tentativo di imporre modelli estranei, ma la contaminazione tra differenti:
“La diversità tra le culture umane è dietro di noi, intorno a noi e davanti a noi. La sola esigenza che noi possiamo far valere (creatrice per ogni individuo dei doveri corrispondenti) è che questa si dispieghi in forme attraverso le quali ciascuna finisce per essere un contributo alla più grande generosità delle altre” (Lévi- Strauss).