Il segretario del Partito comunista siriano: "La Siria deve rimanere una roccaforte. Sosteneteci".
L'AD intervista Ammar Baghdash: "Intorno alla Siria si è creato un nuovo blocco mondiale". "Difendere la patria e difendere i diritti sociali"
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Redazione L’Antidiplomatico
Ammar Baghdash, segretario del Partito comunista siriano, ha partecipato a Roma all’evento «A fianco della Siria e del suo popolo. Oltre il muro della disinformazione» organizzato dal Comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila“.
Il partito comunista in Siria che ruolo svolge? Siede in parlamento? Ci sono altri partiti comunisti in parlamento? Come si articola la opposizione parlamentare?
A.B.: "Il Partito comunista siriano è un partito storico, tuttora diffuso in tutto il Paese. La sua base militante ed elettorale è composta dalle masse di lavoratori e contadini, soprattutto nell’area di Aleppo e del Nord-Est nella regione “curda“. Siamo presenti in parlamento con due rappresentanti, accanto al Partito comunista unificato, che ne ha altri due. Alle ultime elezioni il Partito Baath del presidente Bashar al Assad è cresciuto, ha ottenuto 166 deputati (prima ne aveva 163); poi ci sono 60 parlamentari indipendenti, non membri di partiti, la maggior parte di loro sono uomini d’affari. Facciamo parte della compagine governativa con un ministro, quello degli investimenti".
Dopo la riforma costituzionale approvata con referendum, nel febbraio del 2012, in cui veniva introdotto il multipartitismo, Assad qualche giorno fa ha manifestato l'intenzione di togliere dalla nuova Costituzione, pienamente laica, anche la disposizione che vincola il Capo dello Stato siriano a professare la religione musulmana. Come interpretate questi cambiamenti strutturali che il presidente Assad sta portando avanti?
A.B. "La riforma costituzionale ha ribadito l’orientamento laico di tutto il Paese, ha introdotto il multipartitismo e su questo siamo assolutamente d’accordo. L’opposizione al governo ha boicottato le urne. Noi comunisti abbiamo partecipato al referendum ma votando scheda bianca. Perché? Per alcuni aspetti socioeconomici che a noi sembrano peggiorativi rispetto alla Carta precedente. In quest’ultima c’erano posizioni molto progressiste e avanzate in materia di diritti dei lavoratori e del popolo e di ruolo dello Stato. Nella vecchia Costituzione con molta chiarezza l’educazione era gratuita e pubblica fino all’università. Mentre la nuova Costituzione dà la possibilità allo Stato di affidare pezzi dell’istruzione al settore privato, e già esistono università private. Anche per la sanità: era totalmente pubblica e gratuita; ora i privati possono avere un loro ruolo.
Una Costituzione completamente laica è da sempre la nostra posizione. In ogni caso la religione del presidente non è d’ostacolo al fatto che il Paese sia pienamente laico. Quando il Regno unito ci dice: «Non siete un Paese laico perché avete un presidente confessionale», noi rispondiamo: «Allora non lo siete nemmeno voi, avete la Regina che è capo della religione anglicana».
Senza contare che il Regno unito, come molti altri Stati, ha appoggiato in tutti i modi l’opposizione armata che, con tutta evidenza, è ultrareligiosa… A proposito, al tavolo dei negoziati per il raggiungimento del cessate il fuoco in Siria, quali sono le forze che rappresentano la cosiddetta opposizione moderata?
A.B. "La cosiddetta “delegazione dell’opposizione siriana” in realtà è stata formata a tavolino a Riad ed è sotto il controllo dell’Arabia saudita. E’ legata ai Paesi arabi più reazionari, alleati dei centri dell’imperialismo mondiale. E’ dominata in gran parte dai Fratelli musulmani e affini. Fratelli musulmani, Arabia saudita, Qatar, Turchia… tutti si sono uniti contro il nemico comune: il governo siriano. Le altre opposizioni possono essere consultate ma non hanno status di negoziatori. Comunque la delegazione cosiddetta ufficiale dell’opposizione non ha alcuna intenzione di trovare soluzioni alla crisi. Basta guardare ai suoi padrini. Com’è possibile che all’Arabia saudita, nemico giurato della Siria, sia stato affidato il compito di aggregare l’opposizione? E alla Giordania quello di monitorare la presenza dei gruppi terroristi, quando sostiene e coccola le organizzazioni terroriste nel Sud della Siria?
Che ne è dell’attivista residente a Parigi, Haytam Mennaa, fondatore della Commissione Araba per i Diritti Umani e portavoce del gruppo oppositore siriano Comitato Nazionale di Coordinazione delle Forze di Cambiamento Democratico, il quale si è sempre pronunciato contro le fila dell’opposizione armata, denunciando inoltre la natura etero diretta dell’aggressione alla Siria?
A.B. "Le sue posizioni quanto alla politica interna siriana in parte coincidono con le nostre, in parte no. Sì, è vero, egli è contro le ingerenze esterne nella crisi siriana e rifiuta l’intervento militare nel modo più assoluto, e questo è molto importante. Infatti la Turchia si è opposta al riconoscimento del suo gruppo come attore negoziale".
Qual è la posizione del suo partito riguardo alla proclamazione da parte dei curdi della nascita del Kurdistan federale (che comprende l’area nord orientale della Siria)?
A.B. "Non tutti i curdi e gli abitanti della regione detta curda hanno questa posizione, che è quella del Pyd (Partito dell’unione democratica). Il nostro rappresentante nell’area appoggia tutti i diritti dei curdi, sul piano culturale, linguistico. Ma dal punto di vista politico, l’idea della federazione curda minaccia l’unità e la sovranità della Siria e nega la sua realtà sociale così composita e diversificata: nella stessa area del Nord-Est, non ci sono solo curdi, ma arabi e persone di altre nazionalità".
E’ molto difficile, in una situazione di guerra, mantenere le conquiste sociali o comunque un minimo di Stato sociale e un decente livello occupazionale. Che succede su questo fronte in Siria?
A.B. "Diciamo che sul piano sociale ci troviamo in disaccordo con gli elementi più liberisti del governo. La questione di difendere il nostro Paese ci unisce tutti, ma poi ci sono le differenze di classe. La nostra posizione è quella di difendere la patria in tutti i modi, e il diritto al pane e al resto per tutti i ceti sociali. E non vi è nessuna contraddizione fra i due obiettivi. Anzi! Se le persone vedono i propri bisogni soddisfatti, la loro resistenza all’aggressione esterna sarà più forte e determinata. Noi siamo per un nettissimo intervento pubblico in economia, anziché per l’apertura al settore privato e agli investimenti esteri. Ancor di più in momenti drammatici, il governo deve avere un ruolo centrale nel commercio estero e interno così da abbattere anche la speculazione. Siamo contrari alla svolta liberista che mette in pericolo le storiche conquiste sociali del Paese minacciando la stessa resistenza. Nei Paesi vicini l’economia liberista polarizza le classi, annulla le classi medie, colpisce la produzione ed emargina i produttori locali. Tutto questo crea disagio e preoccupazione. Quando è iniziato l’attacco esterno imperialista alla Siria, l’ambiente socioeconomico interno era già deteriorato.
Uno dei fattori di destabilizzazione che nel 2011 ha portato alla crisi, poi strumentalizzata e fomentata dall’esterno, fu la dolorosa situazione delle campagne, vittime di anni di siccità e anche delle dighe sul fiume Eufrate, a monte, in Turchia. Centinaia di migliaia di persone prive di mezzi si ammassarono nelle periferie urbane.
A.B."La vita dei contadini è dura adesso, ma va detto che il governo li sta appoggiando tutti e in tutti i modi. Per esempio comprando tutta la loro produzione, e a prezzi vantaggiosi. La gigantesca migrazione verso le città fu sì conseguenza delle crisi climatiche, ma anche di quell’ondata di liberalizzazioni che dal 2005 investì il Paese, determinando fra l’altro una netta diminuzione dei sostegni al settore agricolo. Il malcontento fu poi strumentalizzato".
Prima della crisi del 2011, la Siria aveva accolto generosamente, soprattutto dopo il 2007, centinaia di migliaia di rifugiati iracheni. Che ne è di loro in questa emergenza?
Ormai ne rimangono pochi, i più sono andati via…
L’impatto sulla popolazione delle sanzioni europee e statunitensi è stato denunciato da un appello di religiosi e c’è una campagna in corso per l’abolizione. Ha riscontri concreti di questo impatto?
Europei e centri imperialisti mondiali hanno l’obiettivo di far cadere il governo patriottico siriano e tutto il nostro sistema politico. Ma per effetto dell’embargo è la gente, in un paese in guerra da oltre 5 anni, a soffrire. Oltretutto c’è anche il paradosso che nelle aree in mano all’opposizione armata le sanzioni sono state revocate. Quelle aree possono esportare il petrolio. E quelle aree ricevono un sacco di armi molto sofisticate, in genere occidentali. Va anche detto che adesso il petrolio delle zone sotto il controllo dello Stato siriano, basta appena agli usi interni (ma non era così quando le sanzioni punitive sono iniziate…allora la Siria era un’esportatrice e le sanzioni hanno penalizzato una fonte di proventi, ndr.)
In conclusione: qual è l’obiettivo delle fortissime pressioni esterne sulla Siria nel contesto della crisi mediorientale?
Quanto alla crisi mediorientale in generale, intanto non mi piace il termine Medioriente, è imperialista. Lo chiamano Medioriente perché vicino ai centri del potere. Chiamiamolo Levante, Oriente del Mediterraneo. E’ ovvio che essendo al centro degli interessi vitali di Usa e alleati, deve essere un’area di tensioni e divisioni. Su base etnica e religiosa. Perfino in Libia, che non aveva problemi di religione ed etnie, la divisione è stata alimentata fino al caos. La prima teoria imperialista, lo sappiamo, è il divide et impera. La seconda teoria, e ricordiamo Condoleezza Rice come Shimon Peres, è quella del Grande Nuovo Medioriente, basato su quattro fattori: i quattrini delle petromonarchie del Golfo; la manodopera araba a basso costo; l’acqua turca; l’amministrazione ebraica. Il tutto ovviamente sotto l’egida Usa.
La Siria a questi piani ha dato - e dà - molto fastidio. Oltre a non aver mai mollato sulla questione palestinese, e nell’appoggio alla resistenza libanese, è diventata appetibile per le sue materie prime. Si sa che i giacimenti di gas siriano sono ingenti. Il complotto contro la Siria è iniziato tempo fa. Va detto che fu il primo Paese arabo a liberarsi del colonialismo diretto. E che l’Urss, proprio sulla Siria, fece ricorso per la prima volta al diritto di veto in Consiglio di Sicurezza (nel 1946, per respingere un’iniziativa volta a prorogare il mandato francese, ndr). Il mio Paese ha sempre rifiutato i progetti colonialisti. E fu per la prima volta in Siria che un comunista fu eletto in Parlamento. In Siria si realizzò la più importante riforma agraria del mondo arabo, che diede il colpo finale ai latifondisti. In Siria si costituì un importantissimo settore economico pubblico.
L’attacco imperialista alla Siria ha conosciuto varie fasi. La prima: provare con le “primavere arabe” seguendo il modello delle “rivoluzioni colorate” (comprese scuole speciali per formare i “rivoluzionari”), applicato in Ucraina, Georgia, Kirghizistan…In Siria però è fallito perché le due città principali – Damasco e Aleppo – hanno preso le distanze. Si è passati allora alla seconda fase: il terrorismo. Esplosioni e attentati nelle zone abitate. E’ il “caos creativo”. Gli Stati Uniti avevano assicurato alla Russia di rispettare i suoi interessi in Siria. In realtà c’era un piano britannico che prevedeva un attacco devastante alla Siria grazie all’esercito turco con la copertura del Qatar. D’altronde gli Stati uniti hanno dato molte prove di disattendere i patti con la Russia. Così i russi l’anno scorso sono intervenuti militarmente in Siria (su richiesta del governo, ndr). Gli interessi russi si sono per fortuna incrociati con quelli della resistenza all’aggressione. In reazione a questo, l’imperialismo è passato alla terza fase: cercare di logorare il Paese e dividerlo per aree d’influenza. Ma va detto che, a parte le operazioni militari, intorno alla tragedia della Siria si è creato un nuovo blocco mondiale, come si vede anche nell’Onu. Un blocco antagonista del quale fa parte anche la Cina. La Siria deve rimanere una roccaforte. Sosteneteci.
L’incontro del Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila è stato introdotto dal saluto di monsignor Hilarion Capucci, arcivescovo emerito della chiesa melchita. Ecco alcune delle sue parole: “La pace è ossigeno per la vita, la guerra è una calamità, un disastro…lascia tutti perdenti, non ci sono vincitori, solo sconfitti”.