di Paolo Maddalena*
L’esperimento, durato fin troppo, delle privatizzazioni, sostenute da soggetti le cui menti sono state sviate dal pensiero neoliberista, è arrivato alla resa dei conti.
Quanto all’Ilva, siamo in una situazione di temporanea stagnazione. Quanto all’Alitalia, invece, valgono le parole di Conte, secondo il quale la soluzione di mercato è sicuramente inattuabile. Dunque, non ci sarebbe altro sbocco se non la svendita o il fallimento.
Oggi, secondo le ultime stime, il prezzo di Alitalia per sua la vendita si agirebbe intorno a un miliardo di euro, mentre le Stato italiano, per sostenere una situazione priva di un qualsiasi piano di sviluppo dell’azienda, ha speso oltre 10 miliardi di euro.
Eppure Alitalia fattura ogni anno tre miliardi di euro, i quali però non sono sufficienti per coprire i costi. Dal che si deduce che, a parte l’enorme somma che è gravata sul Popolo italiano, inutilmente spesa per tenere in piedi l’azienda, il controllo dello Stato sull’attività imprenditoriale di Alitalia non è stato sufficiente per evitare il suo crollo, in quanto è mancata una visione ad ampio raggio che svolgesse una politica aziendale tale da riportare in pareggio i conti dell’azienda.
È qui che si riscontra il fallimento del sistema economico predatorio neoliberista e la necessità di tornare al sistema economico produttivo di stampo keynesiano.
Se il privato non è in grado, nonostante i consueti controlli, di gestire l’azienda nel modo dovuto, non c’è altra via che la sostituzione della direzione privata con quella pubblica. A questo punto si rivela in tutta la sua gravità la sconcertante liquidazione dell’Iri, costituita nel 1933 e soppressa illogicamente nel 2000, dopo una campagna menzognera sulla inefficienza del settore pubblico.
L’Iri è stato un istituto che ha dato ottimi frutti e soltanto soggetti ottenebrati dal pensiero neoliberista possono auspicarne la distruzione. È necessario, oggi, avere una istituzione statale, si chiami Iri, agenzia, o altro, capace di approfondire la situazione delle singole imprese nel quadro di un’ampia politica economica dell’Italia. Politica che è venuta meno poiché, i governi, condizionati dal peso imposto dall’Europa, della cosiddetta austerity, si sono preoccupati soltanto del pareggio di bilancio, furtivamente inserito in Costituzione dal governo Monti nel 2012.
Se si confrontano le spese a vuoto che hanno fatto carico al Popolo italiano per ottenere alla fine soltanto un probabile fallimento di Alitalia, con le spese necessarie per la nazionalizzazione dell’azienda (circa un miliardo) e per il risanamento della sua situazione economica (assolutamente certa nel quadro di una nuova politica economica dello Stato), si capisce bene che per gli italiani, come ha sostenuto Stefano Fassina, d’accordo con la CGIL, la soluzione migliore è quella della summenzionata nazionalizzazione, unitamente alla costituzione di un istituto pubblico paragonabile al vecchio Iri.
È inutile perdere altro tempo. Costi quel che costi, occorre ora un colpo di schiena per non perdere una importantissima fonte di ricchezza nazionale, che impoverirebbe ulteriormente la Comunità politica italiana, a tutto favore di famelici faccendieri italiani o di ciniche multinazionali straniere.
Altro argomento posto in risalto dalla stampa odierna, è quello relativo alla prescrizione dei reati, che non scatterebbe più dopo il primo grado di giudizio, e quello relativo ai vari sistemi per ottenere l’immediato pagamento da parte di debitori dello Stato.
Si tratta di provvedimenti affetti da aberratio ictus, cioè da errore nel colpire il vero responsabile. Infatti la imprescrittibilità dei reati, che comporta notevoli disagi nel funzionamento della giustizia, è dovuta alla lentezza dei processi (a nostro avviso sarebbe sufficiente abrogare la legge Berlusconi che ha dimezzato i termini prescrizionali), mentre il pignoramento dei conti in banca, per il mancato pagamento anche di piccole somme, come le multe stradali, colpisce i singoli a causa della lentezza delle procedure amministrative.
Si deve rilevare a questo riguardo che il progetto di legge in questione prevede, tra l’altro, anche una disparità di trattamento tra lavoratori indipendenti e lavoratori dipendenti.
Infatti, a parte il fatto che, anche per minime somme, verrebbe pignorato l’intero conto corrente bancario, è previsto che per il disimpegno delle somme dei lavoratori autonomi, avverrebbe con il pagamento di quanto dovuto, mentre lo stesso disimpegno in riferimento al lavoratore dipendente, avverrebbe soltanto a seguito di pronuncia giurisdizionale.
I lavoratori dipendenti in altri termini verrebbero privati dei loro mezzi di sussistenza per un tempo indefinito.
Vien fatto di chiedersi, ma i nostri governanti conoscono, almeno sommariamente, i principi fondamentali della nostra Costituzione?
* Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”
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