di Antonio Di Siena
Mettetevi bene in testa una cosa.
Il principale problema degli Stati Uniti non è il razzismo.
Il razzismo è solo la conseguenza di un modello economico, sociale e politico costruito sullo sfruttamento dei ricchi nei confronti dei poveri. Dei pochi sui molti. Un sistema rodato e raffinato perché abilmente mascherato dalla narrazione della “democrazia più evoluta del mondo”.
Un meccanismo diabolico che per poter funzionare ha bisogno della costante atomizzazione della società americana. Della sua suddivisione non già in classi, ma in minoranze. E poco importa che esse siano etniche, sessuali o religiose. L’importante è che i neri si sentano contrapposti ai bianchi, gli asiatici agli ispanici, i gay agli etero, le lesbiche ai trans, i protestanti agli avventisti, i cattolici ai musulmani.
Un selvaggio tutti contro tutti che, per quanto causato da gigantesche differenze economiche, viene alimentato dalla retorica dei diritti civili rappresentati come la principale prova della disuguaglianza. Una feroce guerra fra poveri sorvegliata a vista (per impedire che si trasformi in qualcosa che possa mettere effettivamente in pericolo il potere costituito) dalla contrapposizione più finta di tutte, quella fra i partiti politici democratico e repubblicano.
Smettetela di parlare di razzismo in un paese che ha eletto Obama presidente e da decenni ha elevato le minoranze ad un rango ben più importante del popolo nella sua interezza. Il problema del razzismo negli USA è un’efficacissima arma di distrazione di massa sventolata ad orologeria ogni qual volta la disastrosa condizione sociale di milioni di poveri americani emerge dalla coltre di propaganda che la avvolge da più di mezzo secolo. E che si regge anche grazie al costante, certosino, lavoro di quella stessa sinistra liberale che, mentre vi parla di razzismo ad ogni piè sospinto, alimenta costantemente le differenze di classe.
Il problema degli Stati Uniti è solo uno e si chiama capitalismo. Se non lo capite siete parte del problema.
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