Se è per i diritti umani, quando la cittadinanza italiana a Assange?

15 Aprile 2021 10:00 Antonio Di Siena

La cittadinanza italiana a Patrick Zaki non c’entra nulla coi diritti umani. È solo un pretesto per proseguire una guerra diplomatica iniziata con la vicenda Regeni e combattuta per conto terzi da partiti che, storicamente, fanno l’interesse esclusivo di un preciso Paese europeo - che non è l’Italia - e che di quello che combina Al Sisi ai suoi cittadini detenuti se ne sbatte bellamente i cosiddetti.
Mettere il naso nelle vicende interne di un Paese che - ricordiamocelo - senza l’attuale governo avrebbe oggi al potere i Fratelli musulmani (gente cioè che ritiene certe “questioni” degne di essere trattate secondo la legge coranica) significa solamente mettere pure l’altro piede fuori da nord Africa.
Accrescendo sempre di più la presenza e l’influenza di quell’altro Paese (lo stesso che regala medaglie ai nostri politicanti come fossero caramelle) in una nazione, l’Egitto, militarmente ed economicamente in forte crescita, che controlla il canale di Suez ed è sempre più proiettata verso la Cirenaica.
Nel migliore dei casi, quindi, si tratta di un provvedimento di una stupidità politica senza precedenti recenti. Ma d’altronde con Di Maio agli Esteri tutto si tiene.
Nel peggiore è un atto deliberato per minacciare seriamente i rapporti bilaterali con un partner strategico a esclusivo detrimento dell’Italia e nell’interesse di un paese straniero che, dopo averci cacciato a calci in culo dalla Libia, adesso sogna di fare altrettanto dalla parti del Cairo.
Ove mai, poi, foste genuinamente parte dell’esercito di anime belle che non ha ancora chiaro che i diritti umani sono soltanto un paravento, il pretesto per scatenare guerre (militari, commerciali o diplomatiche che siano), mi permetto di segnalarvi qualche altra cittadinanza italiana da conferire.
Aytaç Ünsal, avvocato, ingiustamente detenuto in un carcere turco da un anno, brevemente rilasciato dopo un lungo sciopero della fame e nuovamente arrestato dal regime di Erdogan.
Selahattin Demirtas, presidente del Partito Democratico dei Popoli in carcere in Turchia dal 2016 insieme ad altri 10 parlamentari, nonostante la Corte d’Assise di Ankara ne abbia disposto il rilascio immediato nel 2019.
Loujain al-Hathloul, attivista per i diritti delle donne, detenuta da tre anni in Arabia Saudita, torturata e privata anche della possibilità di visite dei familiari.
Pablo Hasel, rapper catalano, incarcerato in Spagna per il contenuto delle sue canzoni.
Julian Assange, fondatore di Wikileaks, detenuto nel Regno Unito per aver fatto il suo lavoro di giornalista.
I sessanta prigionieri di guerra armeni nelle carceri azere, detenuti e costantemente maltrattati in violazione di tutte le leggi internazionali.
E si può tranquillamente continuare, la lista è lunga. Se davvero ci tenete datevi una mossa, possibilmente in tempi brevi.

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