Pensandoci un attimo è facile notare come la Superlega non sia poi così diversa dall’Unione europea.
Entrambe, infatti, si basano sul disprezzo della storia, delle tradizioni e peculiarità nazionali (rispettivamente sportive e politico-economiche) percepite come vecchie, superate e non più attraenti e remunerative.
E guardano a un nuovo modello di sviluppo, senza confini ma estremamente elitario che, in nome del “progresso”, concentra capitali in favore del mercato e dei grandi gruppi finanziari, penalizzando tutti gli altri. In primis i più piccoli, privati non solo della possibilità di competere coi più grandi, ma addirittura del sostegno dato dal principio di solidarietà economica.
In altre parole la superlega e l’Ue, allo stesso modo, spingono al conflitto frontale due entità profondamente diverse.
Da una parte la tradizione plurisecolare degli Stati nazionali (e dei campionati di calcio) costruita sui diritti, l’uguaglianza, la democrazia, la partecipazione aperta. In altre parole sul popolo.
Dall’altra parte un modello sovranazionale, chiuso, oligarchico - e quindi non democratico - orientato esclusivamente al consumo e al profitto. E che, non a caso, scimmiotta il sistema americano.
Ragion per cui - e per quanto speculativo possa sembrare - avversare la superlega di calcio significa, nei fatti, rigettare le ragioni stesse alla base del concetto di Unione europea. Perché sono idealmente la stessa cosa.
Pensateci su, sono convinto che, sotto sotto, sarete d’accordo con me.
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