di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Finalmente il tanto atteso vertice del BRICS – l'organizzazione dei cosiddetti paesi emergenti - si è svolto la settimana scorsa a Johannesburg in Sud Africa. Lo dico subito, il tanto atteso annuncio della nascita dell'unità di conto comune che avrebbe dovuto regolare i commerci dei paesi aderenti al posto del Dollaro americano non c'è stato: ma ciò non rende meno importante il vertice stesso che ha visto altri risultati importanti se non cruciali.
Per molti aspetti infatti questo vertice è stato più rilevante che se fosse stata annunciata l'unità di conto per regolare i commerci internazionali alternativi al dollaro. I messaggi chiaramente mandati al mondo e in particolare all'Occidente da Johannesburg sono importantissimi e oserei dire di portata storica.
Innanzitutto il messaggio che è stato mandato al mondo è che il BRICS non è solo un associazione temporanea di paesi che ha come focus l'economia ma una vera e propria alleanza e “coordinamento” tra paesi che hanno l'ambizione di scalzare il G7 come organizzazione egemone a livello mondiale. E' chiaro che se questo è l'obbiettivo strategico dell'organizzazione BRICS l'unico criterio sulla base del quale prendere le decisioni non può essere la misura del Pil. Con la mentalità bottegaia non si costruisce l'egemonia a livello mondiale, tantomeno scalzando un blocco ancora potente e coeso come quello occidentale. Al massimo con l'economicismo si riesce a costruire un organizzazione come l'Unione Europea che si è rivelata nulla più e nulla meno che uno strumento utile solo a mascherare il pieno dominio americano sull'Europa dando ai popoli europei l'illusione di essere liberi e padroni del proprio destino.
Si può estrapolare questo punto di vista analizzando la decisione più importante presa a Johannesburg; quella dell'allargamento dell'organizzazione ad altri sei paesi. Innanzitutto questi sei paesi - tra i tanti che hanno fatto formalmente domanda di entrare - sono: Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Argentina ed Egitto. I detrattori hanno subito sottolineato come paesi quali l'Etiopia, l'Argentina e l'Egitto hanno poco da dare essendo in costante crisi economica e spesso scossi da instabilità politica, sociale e addirittura anche geostrategica. E' chiaro che – come dicevo – l'unico criterio di valutazione utilizzato dai paesi fondatori non è stato solo quello della misura del Prodotto Interno Lonrdo, ma una serie di elementi certamente più pregnanti e di prospettiva.
Certamente l'aspetto che immediatamente si nota in molti tra i paesi entranti nell'organizzazione è che sono fortissimi produttori di energia. In particolare mi riferisco ad Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran che sono grandissimi produttori ed esportatori di petrolio e gas, ma anche l'Egitto – nonostante sia un colosso demografico – ha raggiunto l'indipendenza energetica e si sta affacciando ai mercati dell'energia come esportatore di gas. Tutto questo, va detto, è stato possibile grazie all'immenso lavoro dell'ENI che ha per esempio scoperto e messo in produzione il gigantesco giacimento di gas off-shore (in acque egiziane) Zohr. ENI che comunque continua nel suo lavoro di ricerca di giacimenti in acque egiziane come dimostra l'annuncio di inizio anno di un nuovo giacimento scoperto nella concessione “Nargis Offshore Area” e denominato Nargis-1. Ma anche l'entrata nel BRICS dell'Argentina ha importanti risvolti energetici: grazie ai giacimenti di “shale gas” come per esempio quello di Vaca Muerta e grazie al completamento del gasdotto dai giacimenti della Patagonia fino a Buenos Aires il paese si prepara a raggiungere l'indipendenza energetica e a proporsi addirittura come paese esportatore. Certo, l'Argentina è un paese fortemente legato agli Stati Uniti sia dal punto di vista politico-diplomatico che geografico ma anche finanziario se si pensa agli enormi debiti che Buenos Aires ha contratto con il Fondo Monetario Internazionale, istituzione notoriamente egemonizzata dagli statunitensi. Insomma, l'entrata nel BRICS dell'Argentina ha una sua logica interna nel fatto di non voler lasciare campo libero a Washington in un paese dalle grandi potenzialità “energetiche” e nelle materie prime in generale e che potrebbe garantire così tutto ciò che serve all'altro grande colosso sudamericano – il Brasile – già paese fondatore del BRICS stesso.
In generale il focus energetico risulta rilevantissimo nei criteri di scelta delle nuove entrate nell'organizzazione. Basta sotto questo aspetto dire che secondo i calcoli dell'Istituto Italia-Brics l'organizzazione controllerà direttamente tra il 42 il 47 percento della produzione mondiale di petrolio potendo così influenzare potentemente il prezzo e soprattutto garantire alle due “fabbriche del mondo” (segnatamente due paesi fondatori del BRICS stesso: l'India e la Cina) l'energia necessaria per la loro manifattura. Al contrario è ormai quella che era la terza fabbrica del mondo ad essere tagliata completamente fuori dai grandi flussi energetici necessari ad alimentare i sistemi produttivi moderni: mi riferisco ovviamente all'Europa, ormai senza alcuna capacità di influire sul prezzo e per poter sopravvivere costretta ad inseguire la folle strategia americana della costosissima energia green. Ormai per l'Europa questa strada è peraltro una necessità di sopravvivenza visto che l'energia russa a basso costo è un miraggio appartenente al passato.
Spesso, come si sa, parallelamente al tema dell'energia vi è anche quello della tecnologia. Infatti i due temi non solo corrono paralleli ma sono inestricabili tra loro. Questo è certamente il caso dello sviluppo dell'energia atomica. E' proprio di questi giorni la notizia – rilanciata dal Wall Street Journal – che l'Arabia Saudita starebbe valutando una proposta avanzata dalla società statale cinese National Nuclear Corp (CNNC) per la costruzione di un impianto nucleare nella provincia orientale dell'Arabia Saudita, vicino al Qatar e agli Emirati Arabi Uniti. In precedenza, l'Arabia Saudita aveva cercato la collaborazione degli Stati Uniti per un programma nucleare civile, ma ha dovuto affrontare le condizioni di non proliferazione imposte da Washington che è da sempre molto attenti a garantire la sicurezza assoluta di Israele nella regione soprattutto quando si tratta di energia nucleare. Secondo il Wall Street Journal i funzionari sauditi considerano i colloqui con la Cina come un modo per fare pressione sull'amministrazione Biden affinché allenti tali requisiti. A Ryad preferirebbero che l'utility sudcoreana Korea Electric Power costruisca i reattori coinvolgendo le competenze operative degli Stati Uniti senza però sottostare ai controlli sulla non proliferazione. Nel caso in cui ciò non fosse possibile – argomenta sempre il giornale newyorkese – il principe ereditario saudita bin Salman sarebbe pronto ad accettare la proposta avanzata da Pechino, portando così l'Arabia Saudita ad un passo da quelle competenze anche per poter implementare in futuro progetti nucleari di tipo militare. Ora, certamente con l'entrata di Ryad nell'Organizzazione BRICS è probabile che la bilancia penda dalla parte della Cina. E anche questa sarebbe una novità clamorosa.
Energia e tecnologia che si intersecano sul piano geostrategico; la partita dell'allargamento dei BRICS ha anche questi risvolti assolutamente cruciali per gli equilibri mondiali.
(Fine prima parte – Domani la seconda e ultima parte)
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