Nell'Italia neoliberista Boric non andrebbe neanche in Parlamento
La vittoria di Boric alle presidenziali cilene è una grande notizia. Lo è anzitutto per l'aspetto simbolico: il Cile è il paese di Allende morto eroicamente nei giorni del golpe di Pinochet. Lo è inoltre sul piano più strettamente politico: il Cile è infatti il paese in cui sono state sperimentate per la prima volta le ricette neoliberiste della scuola di Chicago. Mi chiedo se possa essere una grande vittoria anche per la vecchia Europa o addirittura per l'Italia, il paese in cui questa ideologa ha raggiunto uno stadio avanzato, al punto da non aver bisogno della violenza e del supporto politico di un dittatore per poter governare incontrastata.
Tale è il livello di decadimento democratico dell'Italia che uno come Boric non vedrebbe il parlamento nemmeno in cartolina. Siamo infatti il paese in cui dopo trent'anni di neoliberismo schiere di intellettuali e di dirigenti politici continuano ad affermare, senza essere inseguiti coi forconi, che la precarietà nel lavoro fa aumentare l'occupazione, che i tagli sulla spesa pubblica hanno effetti positivi sulla ricchezza e che il privato è in grado di gestire meglio i servizi pubblici.
In compenso però in Italia anche la più blanda sinistra fatica ad emergere a causa dell'attacco concentrico di media, partiti e società civile.
Persino una misura redistributiva minima - un pannicello caldo - come il reddito di cittadinanza ha subito un furibondo attacco da più parti, addirittura col consenso delle fasce di popolazione più deboli.
Altro che Boric, nemmeno se ci affidiamo a San Francesco ne usciamo fuori.