La guerra mondiale a pezzi e l'Europa


di Paolo Desogus

Stiamo sprofondando in un contesto da guerra generalizzata. Al papa va riconosciuta la definizione di “guerra mondiale a pezzi”, poi ripresa da molti osservatori. Credo che sia corretta. Senza la Russia occupata in Ucraina sarebbe stato più difficile immaginare Israele in Libano. Allo stesso modo, la necessità di coprire contemporaneamente più scenari internazionali, dal medio oriente, al Mediterraneo al Baltico, sino all’Indopacifico, impedisce agli USA di definire il proprio raggio di azione e di impostare (o limitare) lo spazio di manovra dei propri alleati. Proprio questo disorientamento ha permesso a Israele di spingersi in ben quattro fronti: Libano, Gaza-Cisgiordania, Huthi e Iran. C’è da chiedersi cosa potrebbe accadere a Israele se i vari soggetti in questione dovessero trovare un accordo di massima per agire congiuntamente.

Capita di leggere molte teorie che vedono gli USA dietro ogni scelta di Israele e che interpretano i fatti che si sono susseguiti entro un disegno politico molto razionale e ben congegnato. A me pare invece tutto il contrario. Gli USA sono in balia di se stessi, delle proprie contraddizioni, della contesa tra interessi economici, aspirazione alla leadership mondiale e psicodramma identitario. Netanyahu sta sfruttando questo stato di confusione, ma nemmeno lui ha un grande piano. Finora ciò che gli è riuscito bene è solo uccidere in modo feroce rincarando ad ogni passo con una dose di bestialità difficile da immaginare. Ora cerca di trascinare gli USA in una guerra con l’Iran che, però, in caso di coinvolgimento, necessiterebbe enormi di risorse e mezzi militari che potrebbero indurre altri paesi a prendere iniziative militari consapevoli dei troppi impegni americani. Da tener presente poi la possibilità che a qualcuno passi per la testa l’idea di prendere il tasto della bomba nucleare. Il paese che ha mostrato di non avere scrupoli e Israele. Non sono però l’unico paese armato di atomica.

Quello che mi pare evidente è che l’eccesso di violenza di Israele è il segno di una tracotanza che rivela l’assenza di una strategia. Mi perdonerete dunque se credo poco alle letture economicista che vedono Israele muoversi solo per ragioni di interesse. Non dico che siano sbagliate, dico che tendono a conferire un ordine logico a un contesto agitato da pulsioni irrazionali. Israele vive al proprio interno fortissime tensioni esasperate da una parte dallo stigma dell’infamia per i delitti efferati commessi a Gaza e dall’altro da un delirio fondamentalista religioso fuori dal tempo e dalla storia.

In Europa assistiamo a tutto questo come se fossimo al cinema, come se non ci riguardasse. È davvero stupefacente come nemmeno in Italia, nonostante le grandi tradizioni del passato, non vi sia un ampio movimento di pace. Gli stessi governi balbettano. Sì straparla di antisemitismo per vigliaccheria, per volgere la testa dall’altra parte e cercare un rifugio morale là dove cresce l’ipocrisia e l’irresponsabilità. Nelle cancellerie europee domina l’imbarazzo: la logica seguita per l’invasione dell’Ucraina non vale per la Russia. È sparita l’indignazione contro gli aggressori, ma non si sa bene che espediente retorico usare per giustificare questo palese doppiopesismo.

È una guerra mondiale a pezzi, ma è anche una guerra che rivela la crisi identitaria dei paesi occidentali. Più che per i colpi inferti dall’esterno, il fronte a cui nostro malgrado apparteniamo rischia di cedere per autoconsunzione e per manifesta protervia, quella di chi crede di poter vivere di privilegi economici e geopolitici insostenibili, tenuti in piedi per arricchire élite ottuse e potentati ideologici che detengono il controllo mediatico e politico.

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