di Sara Reginella
La cooperante italiana Silvia Romano, rapita il 20 novembre 2018 a Chakama, un villaggio del Kenya, è stata liberata.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Adnkronos, su ricostruzione della Procura di Roma e dei carabinieri del Ros, Silvia Romano era tenuta prigioniera in Somalia da uomini vicini al gruppo jihadista Al-Shabaab, l'organizzazione somala affiliata ad Al Qaeda. Era considerata ostaggio politico, ritenuta colpevole di proselitismo religioso.
Sempre secondo quanto riportato dall’agenzia, non risulta che per il rapimento fosse stato richiesto alcun riscatto.
La giovane cooperante rientrerà finalmente in Italia il 10 maggio.
Il suo rapimento e la sua vicenda ci spingono a molte riflessioni, ma in primis colpisce il ruolo e il coraggio di questa giovane che ha sfidato schemi di subordinazione, ponendosi come protagonista attiva di un mondo che vorremmo migliore.
Al di là di una visione retorica che troppo spesso vede le donne confinate in ruoli sociali subalterni, Silvia Romano era impegnata attivamente in Kenya, operando a favore dell’infanzia con “Africa Milele”, una Onlus che offre supporto, servizi educativi e accoglienza ad una delle frange più fragili della società, quella dei bambini orfani.
Contro ogni logica pericolosamente assistenzialista, si legge nella mission della Onlus con la quale Silvia cooperava: “La nostra speranza è quella di renderci superflui all’interno della comunità del villaggio dove è situato il nostro primo progetto, lasciando l’attività autonoma e nelle mani degli abitanti del luogo (…). (Ciò) significa rispettare e valorizzare le diversità insite in ogni tradizione e in ogni essere umano. Il nostro fine è divenire un mezzo”.
All’interno dunque di progetti solidali e non degeneri, il coraggio di questa donna è ed è stato immenso, a soli ventiquattro anni ha sfidato e superato da sola i demoni della povertà, della sofferenza umana e quelli della privazione della libertà.
Silvia Romano, con la forza archetipica di una Demetra dei nostri giorni, ha curato e nutrito emotivamente le ferite di quei bambini e di quella terra, l’Africa, saccheggiata, sfregiata e martoriata in primis dall’abuso delle forze del nostro Occidente, che continuano indefesse nello sfruttamento e nella devastazione del continente.
Nell’atto di prendersi cura di quella terra e di quei piccoli senza genitori, Silvia Romano si è presa cura di tutti noi, con generosità e perseveranza.
Ha mostrato che è possibile agire attivamente per un mondo moralmente etico e con la sua vicenda è entrata nelle nostre vite con la delicata forza del suo altruismo.
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