I “mai più” pronunciati in passato si sono nel tempo affievoliti. Smuovono meno emotivamente le coscienze rispetto a quanto non faccia il No cristiano alla guerra, che ancora oggi scalda il cuore con il suo messaggio profetico di speranza e di salvezza.
“La storia sarebbe estremamente deludente e scoraggiante, se non fosse riscattata dall’annuncio, sempre presente della salvezza e dalla speranza. E non parlo naturalmente solo di salvezza e di speranza religiosa. Parlo, più in generale, di salvezza e di speranza umane che si dischiudono a tutti coloro che hanno buona volontà”.
Così scriveva Aldo Moro sulle pagine de “Il Giorno”, in occasione della Pasqua del 1977. Queste parole risuonano in questi giorni con particolare forza e si affiancano a quelle vigorose di Papa Francesco. D’altra parte è evidente che oggi il No alla guerra che scalda maggiormente il cuore è quello cristiano, con la sua voce intrisa di dolore e indignazione. Ma non è una voce ingenua o prigioniera di una visione intellettualistica e astratta della realtà, che parla di abolizione della guerra nel nome di un dover essere freddo e formale che mai sarà (le istanze della ragione possono farsi emozione se sorrette dall’eco della Storia: i “mai più” pronunciati dopo la tragedia della seconda guerra mondiale si sono nel tempo inevitabilmente affievoliti). Perché muove dalla consapevolezza che l’umanità, soprattutto al tempo del nichilismo imperante travestito moralisticamente, può precipitare facilmente nella barbarie, ovvero negli orrori della guerra più disumana che ci sia. Per questo il No alla guerra cristiano è anche un No tragico che contiene tanto l’elemento del freno (del katechon), quanto quello della speranza/invocazione di salvezza destinata a tutti gli uomini di buona volontà.
Insomma, l’unico No alla guerra in grado di smuovere emotivamente le coscienze è quello cristiano, da contrapporre sia al realismo scettico e rassegnato che alle diverse forme di normativismo astratto.
Si tratta, come si è scritto, di una forma di ripudio della guerra capace di cogliere il senso tragico della storia e che a partire da questa premessa si lascia andare ad un grido autentico di dolore e a un’invocazione veemente di pace e giustizia.
D’altronde, come sosteneva Pasolini, solo uno sguardo religioso oggi ci può salvare. Solo un sguardo religioso rappresenta un baluardo a difesa delle oasi di senso che rimangono “nel deserto che avanza”.
Queste oasi - la “pari dignità sociale” della persone, un diverso modo di relazionarci a noi stessi, agli altri e all’ambiente circostante - sono il territorio da preservare dalle logiche del nichilismo , dell’individualismo e della mercificazione.
Giulio Di Donato
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