La prima è una lettura economicista che vede nella rivolta una contestazione della propria condizione di povertà e sfruttamento.
La seconda è una lettura di tipo etnico-culturale che vede nella rivolta una contestazione della civiltà e cultura autoctona da parte di una cultura differente d’importazione, legata agli immigrati.
Il fatto di utilizzare queste due chiavi di lettura come oppositive ed alternative è l’ennesimo esempio del fatto che oggi le categorie unilateralmente coltivate da destra e sinistra sono obsolete e inutili. È inoltre un segno della povertà categoriale sempre più diffusa, che non è in grado di uscire da schemi astrattamente semplificati.
Molte cose restano nascoste e dissimulate dall’adozione di quella doppia lettura.
In primo luogo questa interpretazione divaricata si rende cieca verso il fatto che il denaro, il successo economico, in società come quelle del moderno capitalismo liberale, rappresenta la prima forma di riconoscimento sociale.
Qualcuno viene riconosciuto come pieno e legittimo rappresentante della società nella misura in cui possiede un certo reddito. Se stare dalla parte dell’insuccesso economico, della povertà relativa, coincide, più o meno, con l’essere di stirpe non autoctona (immigrato) è chiaro che ci si autoidentificherà come gruppo in condizione di inferiorità stabile in quanto etnicamente o religiosamente “altro” (per quanto questa ragione sia del tutto contingente).
In secondo luogo questa lettura bicefala non vede come il denaro nelle nostre società non sia essenzialmente mezzo per raggiungere i mezzi di sussistenza, ma mezzo (e simbolo) di potere. Nella configurazione di valori delle liberaldemocrazie, non è mai la povertà assoluta ad essere un problema, ma la povertà relativa. È significativo che queste rivolte siano tipicamente promosse da immigrati di seconda generazione. (Questo, per inciso, è la ragione per cui in Italia questo stadio di degrado non è ancora comparso: noi siamo prevalentemente ancora alle prese con immigrazione di prima generazione).
Gli immigrati di prima generazione provengono da contesti valoriali differenti che li spingono a concentrare l’attenzione sulla povertà assoluta, parametro su cui il passaggio da un paese in via di sviluppo ad un paese industrializzato rappresenta generalmente un progresso: ci sono meno possibilità di morire di stenti nelle banlieue che nelle aree povere del Nord-Africa. Ma una volta assimilati i “valori” occidentali, essere stabilmente dalla parte dei perdenti nell’allegra competizione liberale viene percepito semplicemente come un abuso inaccettabile.