Alla notizia dell’attentato di ieri in Turchia che ha causato la morte di 5 persone e al ferimento di altre 22, portato a termine da due terroristi ancora non identificati contro la sede del TAI (Industria Aerospaziale Turca), il mondo ha fatto 2+2.
Ecco, non appena Erdo?an ha messo piede a Kazan per il vertice dei BRICS, qualcuno ci ha tenuto a far sentire il suo disappunto.
Gli Americani? Israele? Ed ecco che la manovalanza legata al PKK, così come ormai indicato da più voci in Turchia benché manchi la rivendicazione ufficiale, potrebbe davvero avere un senso.
Tuttavia c’è un’altra storia che si sta consumando in queste ore che non è affatto secondaria rispetto alle ricostruzioni dominanti.
Ed è una storia non facile da raccontare in lingua italiana perché non esiste al momento ancora una riga nella nostra lingua che l’abbia raccontata, benché ormai avvenuta un decennio fa (negli anni in cui mi trovavo fisicamente a vivere a Istanbul).
Mi ero proposto di raccontarla con una video intervista in cui, seduto sul prato del parco di Gezi a Istanbul, lo scorso settembre ripercorrevo sin dall’inizio tutte le tappe di questa vicenda, a partire appunto dalla protesta di Gezi che scoppiò a Istanbul alla fine del maggio 2013.
Questa video-intervista sarà pubblicata domani sul canale YouTube del’AntiDiplomatico, intitolata “Il sogno di Öcalan: da Gezi alla fine del PKK”.
Vale però la pena fin da subito accennare al filone nascosto che, benché ignorato ostinatamente in Italia (e in Europa) negli ultimi 9 anni, alimenta i fatti di questi giorni in Turchia.
Va ricordato infatti come Abdullah Öcalan fosse già un interlocutore stabile del governo di Ankara sin dalla fine degli anni 2000.
Va ricordato come la protesta di Gezi fu ispirata da Öcalan.
Va ricordato come da quella protesta nacque un nuovo partito, sempre dietro impulso di Öcalan, che si chiamava HDP (Partito Democratico dei Popoli, dall’anno scorso ribattezzato DEM ma su altri presupposti)
Va ricordato come nelle elezioni del maggio 2015 tale partito raggiunse dal nulla il 14%, mettendo alle corde Erdo?an.
Ma va ricordato (e forse è venuto davvero il momento di farlo), come Öcalan, nelle settimane precedenti le elezioni di maggio 2015, chiamò il PKK ad un disarmo unilaterale (cfr: https://www.bbc.com/turkce/
Per quale motivo?
Perché la protesta di Gezi aveva saldato insieme il movimento curdo con quello delle altre minoranze etniche della Turchia, ma anche con la sinistra storica turca, portando il nuovo partito HDP a sottrarre seggi in parlamento a Erdo?an necessari per la sua riforma in chiave presidenziale (poi votata dal parlamento e confermata con referendum costituzionale nel 2017).
Pertanto, fu opinione e richiesta esplicita di Öcalan, Inn quella primavera 2015, quella di deporre le armi, perché il partito curdo per la prima volta era riuscito a diventare ago della bilancia nel processo democratico della Turchia.
Come andò a finire?
Öcalan venne silenziato (se fino a quel momento poteva settimanalmente incontrare delegazioni di avvocati e giornalisti nel carcere di massima sicurezza sull’isola di ?mral?, dove sta scontando una pena all’ergastolo dal 1999, e a loro affidare il suo pensiero, dal maggio 2015 questo permesso fu revocato).
Erdo?an tornò dunque a provocare il PKK che rispose al fuoco. Il resto è storia.
Dopo un’estate di sangue, quella del 2015, con Öcalan impossibilitato a dirigere la “sua” creatura, nell’ottobre 2015 Erdo?an indisse nuove elezioni e finalmente raggiunse il suo obiettivo: la maggioranza assoluta necessaria per la riforma presidenziale.
Ma come Erdo?an ha raggiunto il suo obiettivo, anche i generali del PKK rifugiati a Qandil sui monti dell’Iraq, da dove dirigono le formazioni militari curde in regime di gerarchia piramidale (checché sostengano gli attivisti filo-curdi), anche loro raggiunsero il loro obiettivo: il PKK non era stato smantellato e loro potevano contare ancora qualcosa.
Torniamo a oggi.
Alcuni giorni fa Devlet Bahçeli, presidente del partito MHP, erede dei famigerati “lupi grigi”, in coalizione di governo con il partito di Erdo?an, l’AKP, rilascia alla stampa questa dichiarazione: “Se l’isolamento del leader terrorista viene revocato, lasciatelo venire a parlare (in Parlamento, ndr). Lasciamo che gridi che il terrorismo è completamente finito e che l’organizzazione è smantellata”.
Grazie, Bahçeli. Con 9 anni di ritardo qualcuno tra le fila del governo turco ci ha ripensato.
Passano solo pochi giorni e ieri mattina sulla stampa turca compaiono le prime parole di Öcalan da quel lontano maggio 2015 (dopo 9 anni di silenzio!!!), affidate come sempre a una delegazione di avvocati cui è stato dato di nuovo il permesso di fargli visita.
Queste le sue parole: "Se ci sono le giuste condizioni, ho il potere teorico e pratico per spostare questo processo dal terreno del conflitto e della violenza al terreno legale e politico”.
Mentre ancora i cittadini turchi leggevano sbalorditi, increduli, ma in fondo fiduciosi queste parole, il PKK (verosimilmente) compie l’attentato di Ankara.
Il messaggio è chiaro. I generali del PKK non vogliono deporre le armi, per nessuna ragione. Men che meno ora che da anni godono del sostegno diretto degli Stati Uniti.
Forse qualcuno nei BRICS, in vista del vertice di Kazan, deve aver incoraggiato Erdo?an a tirare fuori dal cilindro di nuovo Öcalan.
Adesso, con 9 anni di ritardo, il mondo apprenderà che i generali del PKK non sono più in linea con il pensiero di Öcalan.
I filo-curdi d’Italia e d’Europa potranno pure stupirsene.
Ma il mondo oggi, e il vertice di Kazan lo ha ribadito, ha bisogno della Verità.
Non perdere la video intervista “Il sogno di Öcalan: da Gezi alla fine del PKK” disponibile da domani sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico.
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