PICCOLE NOTE
All’inizio della guerra il senatore Lindsey Graham fece un pubblico appello ai russi perché uccidessero Vladimir Putin. Richiesta ribadita successivamente, come riporta il Wall Street Journal. Graham non è un quisling qualsiasi, ma un esponente di spicco dei neoconservatori, ambito al quale nell’occasione aveva dato voce. Anche un altro portavoce dei neocon, John Bolton, ha evocato la possibilità di uccidere lo zar, spiegando che tale iniziativa sarebbe stata intrapresa se Putin avesse usato l’atomica in Ucraina.
“Puoi chiedere all’iraniano Qasem Soleimani cosa succede quando decidiamo che qualcuno rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti”, disse l’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa ad Andrew Marr nell’intervista rilasciata alla radio britannica LBC News (The Indipendent).
Soleimani, figura eminente del governo iraniano in quanto capo dei Guardiani della rivoluzione, fu assassinato con dei droni mentre si trovava in Iraq. Per inciso, non rappresentava una minaccia per gli Stati Uniti, come hanno evidenziato i media statunitensi dopo aver analizzato i documenti che avrebbero dovuto giustificare l’omicidio (Axios).
Quell’assassinio fu deciso da una cerchia ristretta dell’establishment americano, presumibilmente tenendo all’oscuro l’allora presidente Donald Trump, il quale si trovò per le mani la patate bollente di una possibile guerra con l’Iran riuscendo a concordare nel segreto con Teheran una via di uscita (vedi Reuters e Piccolenote).
Se ricordiamo quanto avvenne nel gennaio del 2020 è perché è probabile che tale dinamica si sia ripetuta ieri notte, quando due droni hanno attaccato il Cremlino. È più che probabile, cioè, che la Casa Bianca e forse gli stessi capi del Pentagono non sapessero nulla di quanto si è ordito nel segreto.
Ma che sui droni che hanno attaccato la residenza dello zar ci siano le impronte digitali dei neocon è alquanto evidente. L’ipotesi che siano stati dei dissidenti russi, abbiamo scritto ieri, è semplicemente ridicola, dal momento che non avrebbero alcuna possibilità di portare un attacco tanto sofisticato (si può facilmente immaginare quante difese, elettroniche e non, presidino il Cremlino).
Ad ventilare l’ipotesi dei dissidenti sono le autorità Usa, che, nel caso specifico, denotano una scarsa fantasia, avendo accreditato a tale fantomatica spectre anche l’attacco al Nord Stream 2, sul quale sono chiare le responsabilità Usa.
L’altra ipotetica spiegazione, ancora più risibile, è che dietro l’attacco ci siano gli stessi russi, che in tal modo troverebbero giustificativi per un’escalation. Al di là di altre considerazioni, la reazione più che misurata di Mosca, che però sarà costretta in qualche modo rispondere, suona come secca smentita.
Ma al di là delle sciocchezze, resta la gravità dell’accaduto. Se, da una parte, la minimizzazione americana può risultare utile per evitare escalation, dall’altra, però, serve che dia un segnale rassicurante a Mosca, altrimenti questa dovrà prendere atto che il suo nemico globale ritiene che non ci sia una linea rossa che non possa essere superata.
Certo, il notevole ritardo con cui l’attacco è stato reso di dominio pubblico, come scrivevamo ieri, denota che tra Mosca e Washington sono intercorse comunicazioni riservate, che hanno evitato una risposta dura. Ma non basta.
Anzi, la noncuranza con cui viene trattato l’attentato non può che allarmare vieppiù Mosca, dal momento che tale understatement può legittimamente far ritenere ai russi che l’iniziativa potrà essere reiterata. L’Occidente può ritenere di poter gestire l’assassinio di un leader di una nazione nemica, come è avvenuto con Saddam e Gheddafi, ma se immagina che l’omicidio del leader di un Paese che ha oltre seimila testate atomiche possa non avere conseguenze catastrofiche qualcosa non va.
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