“Iniziativa dei tre mari”: spinte russofobiche e scaramucce intestine


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


Si è tenuto a Bucarest, gli scorsi 6 e 7 settembre, l'ottavo vertice della cosiddetta “Iniziativa dei tre mari”, quella sorta di riproposizione del piano di “Miedzymorze”, di cui si ricorda soprattutto la sua edizione – fallimentare – novecentesca, tentata negli anni '20-'30 del secolo scorso dal dittatore polacco Iozef Pilsudski, idolo dei nazisti hitleriani.

L'Iniziativa, volta a riunire in blocco economico-politico i paesi dell'Europa centrale e orientale che si estendono tra Adriatico, Baltico e mar Nero, ha avuto sin dal suo sorgere un evidente carattere anti-russo, ereditato dal progetto antisovietico di Pilsudski e su cui continuano a costruire le proprie mire gli Stati Uniti, puntando alla sostituzione di Berlino con Varsavia, quale principale avamposto yankee in Europa. Era stato infatti il presidente polacco Andrzej Duda che nel 2016, forte dell'appoggio dell'allora omologa croata Kolinda Grabar-Kitarovic, aveva tenuto a battesimo il primo vertice del “Tre mari”, a Dubrovnik, presenti i leader di Austria, Bulgaria, Ungheria, Paesi baltici, Slovacchia, Romania, Slovenia, Rep. Ceca e, ovviamente, Polonia e Croazia. Tutti, come opportunamente ricorda Oleg Khavic, membri NATO, a eccezione dell'Austria.

Già il secondo vertice, l'anno successivo, a Varsavia, si caratterizzò per la presenza del presidente USA Donald Trump e per la formulazione dei principali obiettivi postisi: sviluppo delle infrastrutture, rafforzamento della sicurezza, militare e energetica e, immancabile, consolidamento delle relazioni atlantiche nel contesto delle «minacce provenienti dalla Russia». Dopo di che, l'Iniziativa allargò le strutture interne - Forum d'affari, Camera di commercio, Fondo d'investimenti, rimaste però in gran parte sulla carta – e vari progetti, sostenuti da UE e USA: Corridoio ferroviario balto-adriatico da Danzica a Bologna, autostrada “Via Carpathia” da Klajpeda a Salonicco, rete di trasporto del gas di scisto con terminali in Polonia e Croazia.

Nel 2019, di fronte alla richiesta di Vladimir Zelenskij di adesione ucraina all'Iniziativa, l'allora Ministro degli esteri polacco Jacek Czaputowicz aveva chiarito che nel momento attuale «ciò è impossibile, come anche per i paesi dei Balcani», dato che possono aderire solo paesi della UE.

Ma ecco che al settimo vertice di Riga, a giugno 2022, ancora Andrzej Duda proclama che «abbiamo deciso di dar vita a un nuovo tipo, particolare, di partnership con la “Iniziativa dei tre mari”: oltre a una partnership strategica, anche una partnership partecipativa. Si tratta di un nuovo tipo di partnership destinata non solo all'Ucraina. Oggi l'abbiamo assegnata all'Ucraina, ma contiamo che la stessa partnership possa esser condivisa anche da quei paesi dell'Europa centrale che, pur non essendo membri della UE, cercano di aderire a essa».

In realtà, solo all'attuale summit a Bucarest, Kiev ha ottenuto lo status di “partner partecipante”, insieme alla Moldavia, mentre non è stato detto nulla su Albania e Montenegro le quali, oltre che affacciarsi sull'Adriatico, da tempo conducono colloqui sull'adesione alla UE.

Unico dato di rilievo nella capitale romena è stato quello dell'ingresso nell'Iniziativa della Grecia quale membro a pieno titolo, così che ora l'area di “intervento si è estesa ai mari Egeo e Ionio. Peraltro, la Grecia partecipa già ad almeno due progetti globali: la “Via della seta”, di cui sono elementi cruciali il Pireo e la ferrovia che lo unisce a Budapest, e il cosiddetto IMEC (India-Middle East-Europe Economic Corridor), la cui creazione è stata decisa al recente G20 di Delhi.

Riguardo all'Ucraina, ci si è limitati a parlare genericamente di “integrità territoriale” del paese. Ma Vladimir Zelenskij, presente in video-conferenza, ha chiesto in tono ultimativo che non sia prorogato oltre il 15 settembre il divieto di importazione di grano ucraino nei paesi dell'Europa orientale: nei mesi scorsi erano stati infatti proprio i cinque paesi confinanti con l'Ucraina - Ungheria, Bulgaria, Polonia, Romania e Slovacchia - a chiedere alla Commissione europea di prorogare il divieto di importazione di prodotti agricoli ucraini anche dopo il 15 settembre, per ovviare alle conseguenze che il dumping ucraino sta provocando sui produttori agricoli locali. «Se sarà necessario lottare per l'Ucraina e le basi della nostra Europa comune in sede arbitrale... per la libera concorrenza e le promesse fatteci» ha minacciato il golpista-capo, allora Kiev arriverà fino «agli arbitrati. Anche se non lo vogliamo. Se sarà necessario battersi nelle sedi internazionali, ci batteremo anche lì».

Ma il comunicato finale del vertice ha ignorato la richiesta ucraina, tanto più che gli agricoltori rumeni hanno già comunicato al governo di aver intenzione di bloccare porti e accessi doganali dal prossimo 1 ottobre, nel caso il divieto di importazione non venga prorogato. E anche la Polonia, per bocca del Ministro dell'agricoltura Robert Telus, annuncia che se la Commissione europea non deciderà, entro i 2-3 giorni che separano dal 15 settembre, di prorogare il divieto, allora Varsavia stessa adotterà propri provvedimenti per proibire l'importazione di quattro tipi di cereali ucraini.

Ma, oltre all'ormai sempre più accentuato e sempre più manifesto “disamore” per le pretese dell'Ucraina golpista, tra vari attori della “Iniziativa dei tre mari” non mancano nemmeno i dissapori reciproci e, tra cosiddetti “sovranisti”, come d'obbligo, essi riguardano in gran parte questioni territoriali.

È così che, ad esempio, quello che sembra l'astro nascente del “populismo rumeno”, la “Alleanza per l'unificazione dei rumeni” (AUR), che appena quattro anni fa, alla proclamazione, raccoglieva 7-8% di consensi, viene oggi accreditata di un 27% per le prossime elezioni al Parlamento europeo. Ebbene, i capi di AUR, tanto per dire, dichiarano di prendere a modello, più che la tedesca “Alternative für Deutschland”, gli italici neo “sciarpa littorio” governativi e, contando su un balzo delle stesse proporzioni, annunciano l'idea della rinascita di una “Grande Romania”, che torni a inglobare Bessarabia e Bucovina settentrionale e, più in generale, l'intera Moldavia, manifestando nel frattempo forte rancore per la Croazia che, a detta di AUR, sarebbe favorita dalle decisioni economiche della UE e dai suoi aiuti finanziari.

E se ormai è data come cosa “trita e ritrita” l'ambizione polacca nei confronti di Kiev, ecco che nemmeno Budapest fa mistero dei propri livori verso Bucarest, brandendo, anche a livelli ufficiali, la “clava” dell'autonomia degli ungheresi della Transilvania romena. Il parlamento romeno risponde con l'innalzamento dal 5 al 7% della soglia di sbarramento, che mette seriamente in discussione l'accesso della Unione democratica degli ungheresi di Romania (Romániai Magyar Demokrata Szövetség, RMDS), che nel 2020 aveva ottenuto il 6,2% al Senato e il 6,1% alla Camera, raccogliendo però tra 35 e 85% nei quattro distretti della Transilvania a forte maggioranza ungherese. In base a un progetto presentato nel 2020 da RMDS, si dovrebbe dar vita a un circondario autonomo ungherese, con centro amministrativo Targu Mures, uso di simboli e lingua ungheresi a livello ufficiale.

Ora, la Costituzione romena non contempla la creazione di regioni autonome; ad ogni modo, non è un caso che la presidente ungherese Katalin Novak, abbia di recente ripetuto per gli ungheresi di Transilvania, lo show che aveva riservato poco tempo prima ai magiari della Transcarpazia ucraina, suscitando le proteste ufficiali di Bucarest.

Insomma, se la „Iniziativa dei tre mari” può contare sul sostegno yankee nei limiti della sua ispirazione anti-russa decretata ufficialmente dai pan polacchi, poi, al proprio interno, deve risolvere molte questioni che, proprio riguardo le relazioni politiche e soprattutto economiche con Mosca, lasciano campo libero alle scaramucce intestine.

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