di Francesco Fustaneo
Che la narrazione in TV, inclusa quella gestita dal servizio pubblico su quello che è accaduto negli anni passati e su quello che sta accadendo tutt'ora in Palestina sia spesso e volentieri unidirezionale, non è una novità, così come non sono nuovi episodi di censure o reprimende verso chi si approccia pubblicamente al tema anche solo timidamente da una prospettiva “pacifista” come ben insegna il caso Ghali, dopo la sua partecipazione a Sanremo.
La notizia che stiamo per raccontare dunque si colloca in tale filone solo come l' ultima in ordine cronologico e complici le giornate di fine estate e una certa ritrosia dei media a seguire alcuni temi scomodi, rischiava però di passare in sordina.
Ho scelto di tornarci sopra, nonostante i fatti risalgano alla fine di agosto, perché alcune “battaglie” meritano una visibilità per la dignità di chi li porta avanti e per il messaggio che veicolano.
Ma riordiniamo gli eventi: il 26 agosto la trasmissione Uno Mattina di RAI uno, faceva tappa a Campobasso in Molise nel quartiere San Giovanni per raccontare il progetto Draw the line che da anni colora i muri della città con opere di artisti internazionali. Era prevista e richiesta dalla stessa RAI la partecipazione di un rappresentante dell'associazione Malatesta per raccontare il loro progetto, a cui però è stata infine negata la possibilità d'intervenire a causa della maglietta che indossava. “La giornalista Ilaria Grillini- denuncia infatti l’associazione - con fare neanche troppo ortodosso, ha intimato al nostro rappresentante di indossare la maglietta al contrario se avesse voluto intervenire nella trasmissione”.
Il rappresentante in questione ha così declinato l'invito per questioni morali, abbandonando il set. La maglietta in questione è stata realizzata da operatori umanitari volontari appartenenti al collettivo Gaza FREEstyle , gruppo con il quale collaborano e con cui partecipano alle attività di scambio culturale promosse nella Striscia di Gaza da 10 anni. La maglietta riporta un piccolo logo sul cuore che rappresenta un aquilone con i colori della Palestina.
Come chiarisce un loro comunicato successivamente diramato: “Nessun tipo di indicazione è stata fornita in merito a loghi o marchi commerciali da non esporre. La mattina del 26, il nostro rappresentante era presente all’appuntamento concordato indossando la maglietta di un progetto umanitario promosso dall’Associazione Gaza Freestyle con la quale collaboriamo attivamente da alcuni anni attraverso attività artistiche e sociali nella striscia di Gaza. Questo anche prima del 7 ottobre. La t-shirt indossata mostrava un piccolo aquilone con i colori della bandiera palestinese e la giornalista ha intimato immediatamente al nostro associato di cambiare la maglietta se avesse voluto partecipare alla trasmissione. Allo scontato diniego di cambiare il proprio abbigliamento, la giornalista ha proposto di girare la maglietta per evitare di mostrare alle telecamere il loghetto con i colori della Palestina. Il nostro rappresentante, sconcertato ha spiegato più volte alla giornalista che quella maglietta appartiene ad una iniziativa del 2019 sostenuta dai Malatesta per una raccolta fondi da destinare al progetto Gaza Freestyle che ha come scopo di portare alla popolazione palestinese un supporto sociale, psicologico ed economico. Era del tutto normale e casuale per il nostro associato, indossare una delle magliette rappresentative dell’associazione Malatesta, d’altronde le opere scelte dalla stessa giornalista erano quelle riferite a temi, oggi purtroppo attualissimi, come la guerra, i potenti della terra e la sopraffazione. La dottoressa Ilaria Grillini dopo una breve telefonata ha confermato la decisione irremovibile di non consentire l’intervista indossando quella maglietta. A quel punto il nostro rappresentante ha deciso di abbandonare il set televisivo e a malincuore, ha rinunciato all’intervista ripercorrendo al contrario altri 70 km per far rientro alla propria attività lavorativa”.
Meritano poi una seria riflessione le ulteriori considerazioni da loro esternate: “Siamo fortemente preoccupati perché una giornalista della Rai, televisione di Stato e quindi servizio pubblico, abbia manifestato così tanto timore ed attenzione ai colori che rappresentano la bandiera di una nazione martoriata dalla guerra da quasi 80 anni. Sono state uccise, soltanto negli ultimi mesi, più di 40mila persone di cui circa la metà bambini (dati ufficiali). Sappiamo che il servizio pubblico ha regole stringenti per quanto riguarda loghi e stemmi rappresentativi di marchi commerciali, di pubblicità implicita o esplicita, di messaggi di odio, violenza o a qualsiasi messaggio anticostituzionale. Il resto è al buon senso, a quanto pare. É contrario al buon senso indossare un piccolo aquilone che esprime da sempre un ideale di sostegno e di pace? Tra l’altro trattasi di simbolo non registrato, che non costituisce pubblicità, non rappresenta messaggi di odio e violenza, né messaggi anticostituzionali. Dunque chi è colui che si arroga il diritto di decidere qual è il buon senso? Chi decide in questo caso? Il delegato di produzione della testata giornalistica? E che indicazioni ha costui? Basta sfogliare la pagina personale della giornalista per accorgersi che nelle foto pubblicate sul suo profilo, ci sono immagini della stessa trasmissione, con ospiti che indossano loghi e marchi di abbigliamento e di attività private che a quanto pare non hanno avuto la stessa attenzione che ha ricevuto l’aquilone....”
Per protestare contro quanto accaduto l'Associazione ha poi organizzato un sit-in il 30 agosto davanti la sede RAI di Campobasso.
Per chi volesse approfondire riportiamo il link al comunicato integrale diramato dal proprio account facebook.
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