di Pietro Fiocchi
“...difficilmente il Vaticano si schiererà con Taiwan, privilegiando gli appelli al dialogo ed al confronto”
E’ di questi giorni la visita in Vaticano dell’ex vice presidente di Taiwan Chen Chien-jen, epidemiologo, che papa Francesco lo scorso anno ha nominato membro ordinario della Pontificia accademia delle scienze.
Di questa visita di Chen Chien-jen, che dal 2016 al 2020 è stato il vice dell’attuale presidente Tsai Ing-wen e ora della stessa è inviato speciale alla cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo I, ci informa l’agenzia di informazione del Pontificio Istituto Missioni Estere AsiaNews, per cui Chen Chien-jen, citando le sue stesse parole, sarebbe in Vaticano per un'iniziativa diplomatica volta a mostrare al mondo i valori democratici del proprio Paese.
Della stessa “iniziativa diplomatica” ci raccontano anche i media di Taiwan, in particolare qui https://udn.com/news/story/6656/6584672 , dove si da notizia del viaggio e visita a papa Francesco, il pontefice che tutti invocano, salvo poi rimproverarlo quando si accanisce in difesa del dialogo ad ogni costo.
A fondo testo troviamo, come spesso accade, anche qualche commento, non certo da prendere come oro colato, ma che potrebbero servire da appoggio per chi volesse, quando ne ha voglia, esercitare il pensiero critico.
Parlando dell’ex vice presidente si fa riferimento ad un gruppo di interesse di cui quest’ultimo farebbe parte secondo l’autore del commento (non pochi gli interessi in gioco, solo a pensare alle mire geopolitiche di Usa e Giappone, che nella regione Asia Pacifico hanno un lungo curriculum non sempre nobile, e che si danno tuttora un gran da fare).
Pareri tutt’altro che positivi vengono espressi anche al suo operato in qualità di vice presidente, facendo riferimento al suo non interesse per le condizioni di vita del popolo, con un affondo molto pesante sull’uso delle finanze pubbliche e sulla gestione “fallimentare” della crisi pandemica.
Per cominciare a chiarirci le idee, rivolgiamo qualche domanda a Marco Pondrelli, direttore dell’ottimo osservatorio politico Marx21:
Direttore, come possiamo valutare la visita di questi giorni in Vaticano dell’ex vice presidente di Taiwan, in un momento così critico? E comunque è lecito pensare che si stia macchinando qualcosa dietro le quinte?
L'analisi dei retroscena e di quello che dietro le quinte si sta muovendo è sempre un esercizio molto pericoloso, con il rischio di essere contraddetti dalla realtà. Oggi la Chiesa cattolica è profondamente divisa, il Papa ha dato all'inizio del suo pontificato un segnale preciso nominando come segretario di Stato della Santa Sede (un vero e proprio Ministro degli esteri) l'arcivescovo Pietro Parolin, il quale già durante il papato di Benedetto XVI aveva tentato di consolidare le relazioni diplomatiche con Pechino, scontrandosi però con le resistenze di Ratzinger. La divisione interna al Vaticano non riguarda solo la Cina ma la più ampia idea di mondo multipolare, Bergoglio pensa che la Chiesa non possa vivere ancorata al suo eurocentrismo e per quanto il Vaticano sia uno dei 14 stati al mondo a riconosce Taipei i segnali di dialogo verso Pechino continuano ad intensificarsi.
La visita dell'ex vice presidente taiwanese Chen Chien-jen va letta a mio avviso dentro questa contrapposizione. Nel caso di un peggioramento della situazione nello stretto difficilmente il Vaticano si schiererà con Taiwan, privilegiando gli appelli al dialogo ed al confronto.
Rispetto alla questione sullo status di Taiwan, crede che i politici italiani siano realmente preparati sul tema per eventualmente prendere posizione in maniera autonoma da ingerenze esterne?
Parafrasando Georges Clemenceau potremmo dire che in Italia la politica è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai nostri politici. La tanto vituperata Prima Repubblica riusciva a garantire all'Italia una relativa autonomia. Vivevamo però in una situazione internazionale diversa ed avevamo una classe politica diversa forgiata dalla Resistenza. Oggi abbiamo un ceto politico che in gran parte è totalmente succube dei desiderata statunitensi, incapace di riconoscere e difendere gli interessi nazionali. Probabilmente molti di questi politici non conoscono la storia e sono convinti che il principio di una sola Cina sia un'invenzione di Pechino.
La Repubblica Popolare cinese può essere un importante partner, anche economico, per l'Italia continuarla ad additare come nemico è un grave errore che, come le sanzioni alla Russia, pagherà il popolo italiano.
Deve essere chiaro che la Cina considera il ritorno di Taiwan come un processo da realizzare con il consenso di tutti gli attori coinvolti e non vuole perseguire questo risultato con un atto di forza, le provocazioni statunitensi rischiano però di surriscaldare il clima. Quello che gli USA hanno accettato nel 1979 è che esiste una sola Cina rappresentata dalla Repubblica Popolare, soffiare sul fuoco dell'indipendenza di Taiwan è controproducente per tutti.
Dal Suo punto di vista, i media italiani interpretano e raccontano in maniera obiettiva e completa questo via via ultimamente di delegazioni ufficiali nell’isola cinese, le reazioni di Pechino ecc?
Ovviamente no! Non dobbiamo stupirci che nel Paese in cui il primo quotidiano italiano pubblica liste di proscrizione manchi un resoconto oggettivo di quello che succede nello stretto. Io rimango convinto che quando si parla di temi sconosciuti ai più, come quello dei rapporti fra Cina e Taiwan, nei media alla malafede si aggiunga l'ignoranza. Si parla però dei cosiddetti media mainstream perché importante voci, come la vostra, ci danno una visione più corretta della politica internazionale.
Purtroppo per loro i grandi media non capiscono che questo tipo di propaganda è controproducente, ore ed ore di urli e strepiti sulle televisioni e di articoli che trasudano odio e disprezzo verso la Russia ed il suo popolo non hanno convinto gli italiani che continuano ad essere contrari all'invio di armi ed alle sanzioni contro Mosca.
Perché gli Stati Uniti sono pronti quasi a tutto per l’indipendenza dell’isola cinese di Taiwan, ma allo stesso tempo farebbero di tutto per negare la stessa indipendenza alle Hawaii?
Perché del principio dell'autodeterminazione si fa un uso politico. È quello che anche una certa parte della sinistra non capisce, finendo per diventare oggettivamente alleata dell'imperialismo statunitense. Come vi è una contraddizione fra negare l'indipendenza alle Hawaii ed auspicarla per Taiwan vi è anche fra bombardare un Paese per dare l'indipendenza al Kosovo e non riconoscere lo stesso diritto alle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk.
Questa contraddizione si spiega con il declino americano, più gli USA perdono capacità egemonica più spostano la loro azione sul piano militare, quello che però Washington dovrà capire è che la crescita della Cina non è solo economica ma anche militare ed una guerra non conviene a nessuno.
P.S. Nei prossimi giorni uscirà per la casa editrice L.A.D. "Taiwan: la Provincia ribelle" di Giacomo Gabellini. Per info e preacquisti: info@ladedizioni.it
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