Cinquant’anni fa l’Assemblea Onu sanciva che i delegati di Pechino fossero gli unici rappresentati legittimi della Cina. Dopo questa importante vittoria per il riconoscimento Pechino ha svolto un ruolo sempre più attivo e presente nella politica internazionale. Oggi si batte per la difesa di un multilateralismo vero, ossia nell’interesse di tutte le nazioni ed i popoli del mondo.
Con la risoluzione numero 2758, votata a stragrande maggioranza dei paesi membri, la 26° sessione dell'Assemblea Generale dell’ONU ripristinava tutti i diritti della Repubblica Popolare Cinese nelle Nazioni Unite e riconosceva i delegati del governo di Pechino come gli unici rappresentanti legittimi della Cina. Questo evento segnò un punto di svolta fondamentale della storia della Cina contemporanea e del suo lungo processo di riconoscimento: la Repubblica Popolare era stata fondata già da 22 anni e per tutto quel lungo arco di tempo Pechino era stata vittima di un embargo politico e diplomatico. Decisivo fu il ruolo dei paesi africani che, in massa, sostennero il diritto di Pechino di far parte dell’Onu e diventarne membro permanente del consiglio di sicurezza.
Proprio in quegli anni il processo di decolonizzazione entrava in una fase decisiva che permise alle Nazioni Unite di accogliere nuovi paesi indipendenti in via di sviluppo, il cui processo di liberazione ed indipendenza aveva molto in comune con quello cinese e nei confronti del quale mostravano profondo rispetto e forti simpatie. Nel 1971, per la prima volta, il tentativo statunitense di bloccare la restituzione a Pechino del suo legittimo seggio all’Onu fu sconfitto ed il testo adottato chiarisce inequivocabilmente che “i rappresentanti del Governo della Repubblica Popolare Cinese sono gli unici rappresentanti legali della Cina alle Nazioni Unite". Ciononostante gli Stati Uniti, anche dopo l’avvio delle relazioni bilaterali con Pechino ed il riconoscimento del suo legittimo Governo, hanno continuato a finanziare ed armare Taiwan soffiando sul fuoco del secessionismo e non risparmiando provocazioni ed ingerenze, come la recente dichiarazione del segretario di Stato Antony Blinken che proprio nel giorno in cui si festeggiava il cinquantesimo anniversario del ritorno della Cina all’Onu, ha invitato gli altri paesi a sostenere la «robusta e significativa partecipazione di Taiwan nel sistema delle Nazioni Unite».
Nel corso di queste decadi la Cina ha anche aderito a quasi tutte le organizzazioni intergovernative universali, firmando più di 600 convenzioni internazionali. Inoltre, ha promosso e partecipato ad organizzazioni regionali e internazionali ispirate al multilateralismo ed alla cooperazione internazionale, mantenendo però il principio che il mondo si governa rispettando l’esistenza di un solo sistema internazionale, con l’ONU al centro, ed un solo ordine internazionale, fondato sul diritto internazionale.
Ad oggi la Cina è il secondo maggior contribuente finanziario per le operazioni Peace Keeping dei caschi blu Onu e, dal 1990, ha partecipato a circa 30 missioni di pace, inviando 50.000 soldati e diventando così il principale contributore tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Come ha recentemente ribadito l’Ambasciatore italiano a Pechino, la Cina gioca da tanti anni un ruolo fondamentale nei consessi internazionali, cosa che si lega anche ad un maggiore impegno ed accresciuti doveri in virtù del suo acquisito status di grande potenza. In effetti l’apporto cinese alla governance globale è negli ultimi anni cresciuto in maniera considerevole.
Basti pensare agli impegni contro il cambiamento climatico e l’impulso all’energia verde, lo sviluppo della cooperazione internazionale e la lotta per la salute, soprattutto durante la pandemia da Covid, con l’assistenza ai paesi colpiti dall’emergenza sanitaria, l’impegno all’uso del vaccino cinese come bene pubblico e l’invio di oltre 1,5 miliardi di dosi di vaccini COVID-19 a oltre 100 paesi e organizzazioni internazionali.
Accanto a questo, e non meno importante, il contributo indiretto al benessere globale: l’uscita dalla povertà di oltre 700 milioni di persone ed il contributo cinese alla crescita globale (rimasto il più alto per 15 anni consecutivi) hanno dato un apporto decisivo al raggiungimento degli obiettivi mondiali della lotta contro la povertà ed alla creazione e distribuzione della ricchezza in tutto il mondo.
Di converso, nel discorso di Xi Jinping nel 50° anniversario del ripristino del seggio della RPC all'ONU, egli ha ribadito che «tocca a noi seguire la tendenza prevalente della storia, e scegliere la cooperazione al posto del confronto, l'apertura al posto dell'isolamento, e il beneficio reciproco al posto dei giochi a somma zero. Dobbiamo essere fermi nell'opporci a tutte le forme di egemonia e di politica di potere, così come a tutte le forme di unilateralismo e protezionismo».
Ma soprattutto, il presidente cinese ha ribadito il concetto del “vero multilateralismo” ossia, che «le regole internazionali possono essere fatte solo dai 193 Stati membri dell'ONU insieme, e non decise da singoli paesi o blocchi di paesi. Le regole internazionali dovrebbero essere osservate dai 193 Stati membri dell'ONU, e non c'è e non dovrebbe esserci alcuna eccezione. I paesi dovrebbero rispettare le Nazioni Unite, prendersi cura della famiglia dell'ONU, astenersi dallo sfruttare l'Organizzazione, ancor meno abbandonarla a proprio piacimento, e fare in modo che le Nazioni Unite svolgano un ruolo ancora più positivo nel portare avanti la nobile causa della pace e dello sviluppo dell'umanità».
Se cinquant’anni fa il ritorno della Cina all’Onu ebbe una vasta eco e rappresentava la vittoria del popolo cinese nella sua battaglia per il riconoscimento, oggi il suo ruolo proattivo sta fornendo un contributo essenziale per preservare l’ordine internazionale ed a non umiliarlo, ricorrendo a politiche e scelte che rappresentino l’interesse della vasta maggioranza dei pesi e dei popoli del mondo.
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