di Chiara Nalli per l’Antidiplomatico
Il 27 giugno il quotidiano tedesco Spiegel ha pubblicato un'analisi approfondita sullo stato dell’industria turistica, basandosi anche su un sondaggio condotto per il proprio giornale dall'istituto Civey. I risultati lasciano pochi dubbi riguardo le attuali condizioni della classe media mitteleuropea: già quest'anno, un quarto delle famiglie tedesche non avrà soldi sufficienti per una vacanza.
La crescita dell’inflazione nell’eurozona ha colpito infatti non solo le classi di reddito più basse, ma anche la solida classe media tedesca, ovvero quelle famiglie con un reddito netto mensile compreso tra i 2.500 e i 3.500 euro e il cui budget per viaggi varia per lo più dai 1.000 ai 3.000 euro. La dinamica dei prezzi rivela infatti che il costo giornaliero delle vacanze è letteralmente schizzato a una media di 103 euro al giorno a persona, segnando un aumento del 18% rispetto al 2019. D'altra parte, la stessa classe media tedesca sta fronteggiando perdite del valore reale dei salari per il terzo anno consecutivo e, con lo sfumare dei sogni vacanzieri, il timore per uno scenario di “declino sociale" inizia a serpeggiare nell’umore dei più (lo stesso Spiegel paventa il rischio di tensioni sociali).
E se l’estate di molti dei nostri amici d’oltralpe sotto le attese, non meno amara è la conclusione a cui giunge l’indagine di Spiegel: "Quello che accadrà sicuramente è che le abitudini di viaggio cambieranno perché l'era dei viaggi economici e di massa è chiaramente alle nostre spalle". Una sentenza che sembra porre la lapide su un’era, quella che dura da almeno due decenni, in cui città d’arte, resort termali e spiagge italiane, greche e croate erano affollate da biondi turisti germanici, intenti a spendere nel sud Europa i redditi prodotti dalla super economia teutonica. Lo stesso articolo ricorda infatti che fino al 2012 circa, la Germania era, insieme agli Stati Uniti, prima al mondo per numero di viaggi a livello globale.
E se la previsione di Spiegel è corretta per l’economia tedesca, possiamo assumere che a maggior ragione lo sia per noi italiani (considerato anche il fatto che i nostri salari reali sono complessivamente diminuiti dal 1990 ad oggi) e per tutte le economie dell’eurozona che nell’ultimo ventennio non hanno brillato al pari di quella germanica.
Il problema - peraltro - non si esaurisce alla conta dei calzini bianchi indossati con sandalo che vedremo sui nostri lidi. Credo al contrario che si possa affermare che l’inversione di trend segnalata da Spiegel, qualora confermata nell’arco dei prossimi anni, arriverà a coinvolgere (e travolgere) i connotati culturali di un’intera generazione: la nostra.
La possibilità di viaggiare in tutto il mondo infatti, ha plasmato, insieme a un’altra serie di elementi, l’identità culturale della nostra generazione: noi, i nati tra la fine degli anni ‘70 e i primissimi anni ’90, cresciuti e maturati sull’onda delle infinite possibilità che ci venivano offerte dallo sviluppo della tecnologia e dall’incalzare della globalizzazione: con mezzi non necessariamente superiori a quelli dei nostri genitori (anzi, a livello reale, inferiori!) abbiamo potuto concederci viaggi impensabili fino ai primi anni 2000, riversandoci in quella platea di cittadini del mondo che sapeva tutto dei posti ancora prima di visitarli, si organizzava con un clic e si spostava da una parte all’altra del globo su voli economici. E oggi possiamo serenamente ammettere che questo particolare aspetto della globalizzazione è piaciuto a tutti.
Del resto, proprio per la nostra generazione, i viaggi economici sono stati senza ombra di dubbio uno degli ingredienti che ha contribuito a creare “l’illusione del benessere”. Insieme alla moda economica prodotta in Bangladesh, Sri Lanka e Vietnam, insieme alla tecnologia a buon mercato e a tutti quei beni e servizi che grazie alla globalizzazione si sono riversati, a prezzi economici, nelle nostre economie. Vi chiederete quindi perché utilizzo il termine “illusione”.
È presto detto: il benessere basato su merci e servizi iper-economici, realizzati grazie allo sfruttamento di nuovi schiavi sull’onda della globalizzazione che travolgeva tutto il mondo, è stato l’ingrediente principale tramite il quale la mia generazione ha accettato la riduzione delle tutele sul lavoro, lo sradicamento fine a sé stesso e livelli crescenti di disuguaglianza. Una serie di cambiamenti crudeli e innaturali, che probabilmente non sarebbero mai stati accettati senza il “make-up” culturale operato in parallelo alla globalizzazione. Abbiamo viaggiato, è vero, ma abbiamo lavorato anche 12 ore al giorno, precari, senza futuro, lontani da casa e dalle reti sociali che ci eravamo costruiti nel tempo. Abbiamo comprato tonnellate di beni a buon mercato ma abbiamo accettato di perdere i diritti. E drogati dal nuovo benessere usa-e-getta non ci siamo resi conto che qualcuno guadagnava, sul nostro lavoro, infintamente più di noi.
Ed è qui che ci riporta Spiegel: mentre un quarto dei tedeschi non potrà andare in vacanza, cresce il numero di chi ha un budget superiore ai 7.000 euro. La ricerca fotografa una realtà in cui il dieci per cento più ricco dei tedeschi possiede quasi il 60 per cento della ricchezza totale, concludendo che le disuguaglianze si sono ulteriormente accentuate a partire dalla crisi del coronavirus. Mentre nelle destinazioni turistiche top cresce la quota di cinesi, indiani e russi.
E noi, noi cittadini oggi di mezza età che siamo stati e dovremo essere, ancora, l’energia vitale di questo continente, la sterminata “classe media”, ci ritroveremo probabilmente, nei prossimi anni, senza uno degli elementi che ha contribuito a costruire in termini positivi l’immagine che avevamo di noi stessi. La distruzione della classe media europea parte da un fatto economico ma travolgerà, in modi che si vanno via via delineando, la dimensione identitaria e culturale.
Dubito che qualcuno avrà la buona fede di raccontare la nuova condizione della nostra generazione. Ma forse, restare a casa per qualche anno – e con il condizionatore spento come proposto da qualche luminare – ci aiuterà a riflettere sul fatto che – nella storia che ci hanno venduto - qualcosa è andato storto.
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