di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico
Il vertice della Nato di Washington, tenutosi tra il 9 e l’11 luglio, si è concluso con un documento finale in cui i Paesi membri si impegnano, tra le altre cose, ad adottare un approccio maggiormente aggressivo nei confronti della Cina e a rendere “irreversibile” il processo di adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica.
Sebbene non specifichi entro quale orizzonte temporale e in base a quali frontiere dovrebbe realizzarsi l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, il pronunciamento riveste un’indubbia rilevanza. Soprattutto se correlato al contenuto dell’intesa raggiunta a Davos lo scorso gennaio tra il presidente ucraino Volodymyr Zelen’skyj e alcuni dei massimi rappresentanti della finanza statunitense, come Jamie Dimon di Jp Morgan Chase, Stephen Schwarzman di Blackstone, Lakshmi Mittal di Arcelor Mittal, David Rubenstein del Carlyle Group e Philipp Hildebrand di BlackRock.
Quest’ultimo, in particolare, aveva convinto in quell’occasione gli altri partecipanti all’incontro a raccogliere circa 15 miliardi di dollari per la ricostruzione post-bellica dell’Ucraina attraverso un fondo ad hoc da istituire in Lussemburgo. A sua volta, l’accordo confermava quanto stabilito nel dicembre del 2022, quando lo stesso Zelens’kyj aveva incaricato Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, di «coordinare gli sforzi di tutti i potenziali investitori e partecipanti alla ricostruzione del nostro Paese». Come risultato, BlackRock si era impegnato a rastrellare e incanalare capitali internazionali in una vasta gamma di settori dell’economia ucraina, e a fornire a Kiev indicazioni su come strutturare i fondi per la ricostruzione della nazione.
La situazione sembra tuttavia aver preso una piega ben diversa da quella auspicata sia dalle autorità di Kiev che dai grandi fondi coinvolti nel progetto concepito da BlackRock. Le forze armate russe avanzano lungo gran parte del fronte e l’esercito ucraino manifesta preoccupanti segnali di cedimento in alcuni settori chiave, cosa che rende pressoché irraggiungibile l’obiettivo di riportare sotto il controllo dell’esecutivo ucraino le regioni attualmente controllate da Mosca. Nelle quali, come ha recentemente denunciato il senatore repubblicano della North Carolina Lindsey Graham in uno slancio di sincerità, si trovano materie prime critiche per un controvalore compreso tra i 10 e i 12 trilioni di dollari. «Se sostenessimo l’Ucraina al meglio delle nostre possibilità – ha spiegato Graham – potremmo trasformarla nel miglior partner commerciale che abbiamo mai sognato. Quei 10-12 trilioni di dollari di risorse minerarie essenziali potrebbero essere utilizzati dall’Ucraina e dall’Occidente, anziché da Putin e dalla Cina». Ragion per cui, conclude il senatore, «l’Occidente non può permettersi di perdere […]. Sono seduti su una miniera d’oro. Consegnare a Putin 10 o 12 trilioni di dollari di minerali essenziali che condividerà con la Cina è inconcepibile».
Le valutazioni di Graham riflettono i contenuti di un’analisi pubblicata nell’agosto 2022 dal «Washington Post», in cui si definiva la guerra in Ucraina come «una battaglia per la ricchezza mineraria ed energetica della nazione […].. L’Ucraina ospita alcune delle maggiori riserve mondiali di titanio, minerale di ferro, carbone e litio. Il loro valore ammonta a decine di trilioni di dollari». Senza contare la «miriade di altre materie prime fondamentali, tra cu gas naturale, petrolio e terre rare che potrebbero ostacolare la ricerca da parte dell’Europa occidentale di alternative alle importazioni da Russia e Cina». Nel complesso, conclude il «Washington Post», l’Ucraina è «sede di 117 dei 120 minerali e metalli più diffusamente utilizzati, nonché una delle principali fonti di combustibili fossili».
La questione era stata affrontata dai legislatori statunitensi già nel 2021, quando nel Code of Laws of the United States of America fu inserita una nuova sezione dedicata alla Cooperazione tra Stati Uniti e Ucraina in merito all’industria del titanio, in cui si afferma che «il governo degli Stati Uniti è chiamato a intensificare la cooperazione con le controparti ucraine in materia di sviluppo congiunto dell’industria del titanio quale potenziale alternativa alle fonti di approvvigionamento cinesi e russe da cui Stati Uniti ed Europa dipendono attualmente».
Le riserve di materiali critici situate in larghissima parte nei territori ucraini attualmente presidiati dalle forze armate russe risultano fondamentali non soltanto per alimentare il processo di reindustrializzazione messo in cantiere dagli Stati Uniti, di cui il cosiddetto friendshoring rappresenta un presupposto fondamentale, ma anche per porre Kiev nelle condizioni di onorare i propri impegni debitori nei confronti dei grandi investitori internazionali. I quali, dinnanzi all’invasione russa del febbraio 2022, avevano concordato con Kiev la posticipazione del pagamento del capitale e degli interessi per il biennio 2022-2023 su un ammontare di titoli del Tesoro ucraino dal valore complessivo di circa 20 miliardi di dollari, equivalenti al 15% del Pil ucraino. La moratoria scade tuttavia il primo agosto, cosa che obbliga l’esecutivo ucraino a intavolare trattative con creditori del calibro di BlackRock, Pimco, Fidelity e Amundi per la ristrutturazione del debito. La mediazione “benevola” di Bruxelles rappresenta un fattore di indubbio vantaggio per Kiev, che punta a una haircut del 60% (24 miliardi di dollari) a fronte del 20% proposto dalla comunità dei creditori privati, assai meno malleabili rispetto a quelli statali (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Germania e Giappone) che hanno manifestato la disponibilità a estendere la moratoria su un debito di 4 miliardi di dollari fino al 2027. Lo rivela il «Wall Street Journal», secondo cui i grandi creditori privati ??ucraini stanno «perdendo la pazienza» e premono affinché Kiev riprenda immediatamente a pagare gli interessi sul debito pubblico una volta scaduta la moratoria. Il quotidiano statunitense fa esplicito riferimento a BlackRock e Pimco, le quali esigerebbero il pagamento degli interessi sul debito per un importo complessivo di circa 500 milioni di dollari all’anno in cambio del placet alla svalutazione del debito ucraino, e sarebbero in procinto di costituire una commissione incaricata di negoziare la ripresa dei pagamenti sospesi dopo l’inizio della guerra. Anche le questione delle “pendenze” che l’Ucraina ha nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, pari a 15,6 miliardi di dollari più interessi, dovrà essere affrontata dalle autorità di Kiev, che si ritrovano così a ristrutturare in posizione di debolezza una massa debitoria colossale mentre le aree più ricche di risorse naturali del Paese rimangono sotto il controllo della Russia e la popolazione continua a diminuire per effetto diretto delle implicazioni della guerra. E in assenza di un accordo con i creditori, sottolinea il «Wall Street Journal», l’Ucraina potrebbe andare in bancarotta alla scadenza della moratoria sul debito.
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