7 luglio 1973, Pietro Secchia: la rimozione di un progetto rivoluzionario
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di Fosco Giannini - direttore di Cumpanis
Il 7 luglio del 1973 è il giorno della morte di Pietro Secchia, uno dei più grandi dirigenti del movimento comunista italiano ed europeo. Fu uno dei leader più grandi ed amati della Guerra di Liberazione, della Resistenza Partigiana, il capo del Vento del Nord, con tutta la spinta e la forza rivoluzionaria che il Vento del Nord aveva entro sé. Proletario, operaio, aderì al PCI sin dal 1921. Per aver pubblicamente attaccato Mussolini ed il regime fascista, nel 1931 fu arrestato e nel 1932 condannato a 17 anni e 9 mesi di reclusione dal Tribunale Speciale.
Fu, dopo Togliatti, il numero due del PCI, il Vicesegretario Nazionale. Nel 1954 - pagina oscura della storia del PCI - fu allontanato dagli incarichi ed emarginato, all'interno del Partito. Per emarginarlo e batterlo politicamente Togliatti utilizzò "la strana coppia" Cossutta-Rossanda, un "doppio" ideologicamente lontano che si riuniva, attraverso la lotta contro Secchia, nell'antileninismo. Uno strano evento, la coppia Cossutta-Rossanda e la sua lotta contro Secchia, da utilizzare come una lente d'ingrandimento per la decodificazione dell'intera storia del PCI, della sua involuzione, della sua fine.
Secchia fu accantonato nel Partito, ma la sua figura di rivoluzionario, la sua densità umana e politica, il suo carisma rimasero nell'animo e nelle coscienze politiche della sua generazione e delle giovani generazioni del '68. Ed oltre, sino ai comunisti italiani odierni.
Arnaldo Bera (Soresina, 1915-1999), partigiano col nome di battaglia "Luciano", responsabile militare nel cremonese e poi comandante della Brigata Partigiana "Ferruccio Ghinaglia", torturato dai fascisti senza che mai una parola gli uscisse a tradire i suoi compagni di lotta, era uno di quei rivoluzionari d'acciaio che formavano, assieme ad Alessandro Vaia ed altri, l'area "secchiana" nel PCI. Un'area tutta emarginata assieme al leader. E anche qui: storia da studiare, storia che può portare alla "mutazione genetica" del PCI.
Chi scrive ha avuto la fortuna di conoscere Arnaldo Bera. Una sera Bera venne a cena a casa mia, ad Ancona, per un'iniziativa di "Interstampa", giornale leninista che si batteva contro la "mutazione genetica" del PCI. E mentre versava il vino rosso nella minestra ("impara: così fanno i contadini della mia terra"), mi raccontò di Secchia: "Inutilmente lo hanno emarginato. Il suo valore rivoluzionario non si è mai spento, come uno spettro si è aggirato e s'aggira tra i giovani e gli operai. Il suo internazionalismo, il suo valore di combattente partigiano ha travalicato gli oceani. Nel gennaio del 1972 fu chiamato in Cile da Salvador Allende, per il sostegno al governo rivoluzionario. Pietro tenne un grande comizio a Santiago, di fronte ad una piazza piena di comunisti, socialisti e di popolo. Avvertì il popolo cileno e i partiti dell'Izquierda Unida che la CIA, le forze reazionarie cilene, l'esercito cileno avrebbero tentato il "golpe" contro il governo Allende e chiese al popolo, ai comunisti, ai socialisti di prepararsi alla resistenza, alla difesa armata della rivoluzione". "Nel viaggio in aereo di ritorno in Italia - continuò Arnaldo Bera - fu avvelenato dalla CIA e morì dopo molte sofferenze il 7 luglio del 1973".
Ogni comunista, ogni rivoluzionario dovrebbe leggere e studiare la vita e le opere politiche di Secchia. Compresi i suoi interventi in Parlamento, poichè pochi come Secchia hanno saputo assumere la lezione di Lenin: "trasformare il parlamento borghese in cassa di risonanza della lotta di classe".
Qui, vogliamo ricordare solo una parte, ma centrale, dell'azione politica di Pietro Secchia, quella che portò avanti da Responsabile dell'Organizzazione del PCI dal 1946 al 1954, anno della sua emarginazione.
Da capo dell'Organizzazione Secchia portò il PCI a dotarsi, oltrechè di sezioni in ogni città e in ogni paese ed un esercito di iscritti e militanti, di ben 56mila cellule di produzione, 56mila organizzazioni del Partito nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e di studio, per un partito organizzato e radicato all'interno stesso del conflitto capitale/lavoro. Un'immensa struttura, di concezione leninista e gramsciana, per un partito comunista presente, innanzitutto, oltrechè nelle sezioni territoriali, nei luoghi di lavoro.
Ciò che accadde è che con l'allontanamento di Secchia dall'Organizzazione (responsabili ne furono poi Amendola, Berlinguer, Macaluso e Fassino) iniziò pian piano una parabola organizzativa, politica, teorica che allontanò il PCI dalla prassi e dalla concezione leninista e gramsciana del Partito, sfociando nella fine stessa (anni '70) dell'organizzazione in cellule di produzione. Il ritorno della sezione territoriale ad unica opzione organizzativa praticata riportò il PCI alla forma organizzativa "secondointernazionalista", alla forma partito delle organizzazioni socialiste precedenti Lenin e la Terza Internazionale.
Ripercorrendo la storia del PCI, possiamo a ragione affermare che la parabola involutiva dell'organizzazione post secchiana può esattamente sovrapporsi, accompagnandola, alla stessa parabola involutiva del PCI, quella parabola che porta agli "strappi" di Berlinguer, alla "Bolognina" di Occhetto e poi allo scioglimento stesso del PCI.
Così che non è retorico affermare che, fatto fuori Secchia, inizia quella lenta ma inesorabile fuoriuscita del PCI dal leninismo e poi dallo stesso comunismo.
La mutazione genetica del PCI non è solo addebitabile, certo, all'estromissione di Secchia e della sua area rivoluzionaria dalla direzione del Partito. Ma certo è che l'emarginazione di Secchia, Vaia, Alberganti, Bera e di tutta l'area secchiana dal gruppo dirigente del PCI nei primi anni '50 da la stura al cambiamento di natura politica e teorica del Partito.
E' per questo che oggi, 7 luglio, giorno della morte del compagno Pietro Secchia, nel 1973, noi non solo ricordiamo la grandezza di un rivoluzionario, ma anche la grandezza di un progetto rivoluzionario che prendeva corpo anche, e soprattutto, nella forma di un partito rivoluzionario.