7 ottobre, il NYT e lo stupro di Hamas inventato
di Piccole Note
La narrazione che Hamas abbia usato lo stupro di massa come arma ha ormai preso piede sui media mainstream, venendo rilanciata ogni giorno da alcuni di essi con storie sempre nuove. Una narrazione iniziata molti giorni dopo l’attacco di Hamas e alimentata inizialmente da un’agenzia di investigazioni e soccorso, la Zaka, le cui rivelazioni sullo stupro di massa sono state rilanciate a piene mani dai media internazionali, oltre che da politici israeliani e statunitensi.
Mentitori seriali
A tale organismo si deve l’invenzione dei 40 bambini israeliani decapitati, rilanciata anche da Joe Biden e poi smentita dalle autorità israeliane, tanto che la Casa Bianca ha dovuto rettificare. Altre, molteplici, invenzioni della Zaka sono riferite dal sito Grayzone. Noi ci limitiamo a ricordare che essa fu fondata da Yehuda Meshi-Zahav, finito in galera per pedofilia e stupro, avendo abusato di decine di donne e bambini (era noto come l’Haredi Jeffrey Epstein, dal nome del noto pedofilo americano).
L’organizzazione è sopravvissuta al suo fondatore, il cui lato oscuro è emerso nel marzo 2021 (Meshi-Zahav aveva appena vinto il Premio Israele). Le rivelazioni lo spinsero a tentare di togliersi la vita, atto che lo ha precipitato in un coma profondo che l’avrebbe condotto alla morte. Ora la Zaka è diretta da Yossi Landau, che ne fa parte da 33 anni, un veterano che presumibilmente aveva ruoli importanti anche negli anni ruggenti di Meshi-Zahav, sul conto del quale, però, non si accorse di nulla (ciò evidenzia quantomeno una scarsa capacità investigativa, di cui ora si vanta).
Rimandando, appunto, a Grayzone per i dettagli sulle falsità propalate dalla Zaka e da un’altra organizzazione israeliana a riguardo degli stupri di massa perpetrati dai miliziani di Hamas il 7 ottobre, ci limitiamo a interpellarci sul perché tali atrocità siano emerse decine di giorni dopo l’attacco, mentre degli stupri, di cui sono emersi anche testimoni oculari, nei primi giorni non se ne è mai parlato, neanche per accenno.
Non neghiamo che in quel giorno si siano consumate violenze sessuali, ma non accogliamo come verità rivelata la narrazione sullo stupro seriale. Al di là della querelle, più che importante ma sulla quale sospendiamo il giudizio, resta che si sta facendo di tutto per accreditare tale narrazione.
Anche ricorrendo a palesi falsità. E tale operazione di propaganda, discendente dalla Hasbara israeliana (che fa della propaganda aggressiva un’arma di convinzione di massa), interpella non poco sul tema in questione, che, data la sua drammaticità, dovrebbe invece essere affrontato con la serietà del caso.
La narrazione e le smentite dei famigliari
Nella foga di dare sempre nuova linfa alla narrazione, capita che un importante media mainstream come il New York Times il 28 dicembre scorso verghi un articolo commovente sugli stupri perpetrati in quel fatidico giorno, un articolo incentrato sulla tragica storia di Gal Abdush, “la donna vestita di nero”, stuprata e uccisa nell’attacco, che i cronisti del Times segnalavano come emblematica di quanto accaduto. Un articolo lungo, dettagliato, che riportava anche le testimonianze dei familiari tendenti ad accreditare lo stupro.
La storia del Times prendeva le mosse da un video pubblicato sui social da Eden Wessely che immortalava una donna vestita di nero, poi identificata come la Abdush. Secondo il Times, “Il video è diventato virale, con migliaia di persone che l’hanno visualizzato nella disperata ricerca di appurare se la donna vestita di nero fosse una loro amica, una sorella o la figlia scomparsa”.
“Il giornale – commenta Mondoweiss – non ha linkato il video, ma ne ha diffuso un’immagine lontana e indistinta che non rivelava nulla. Né è chiaro come il Times abbia confermato l’esistenza delle visualizzazioni, dal momento che l’account Instagram della Wessely è stato bannato e lei ha creato un nuovo account a metà dicembre”.
Peraltro, annota in seguito Mondoweiss, “al momento non c’è traccia del video su Internet nonostante il Times affermi che sia ‘diventato virale’. Inoltre, nonostante la stampa israeliana abbia riportato centinaia di storie sulle vittime del 7 ottobre, non ha mai menzionato ‘la donna vestita di nero’ nemmeno una volta prima della storia raccontata il 28 dicembre”.
Ma, cosa più interessante ancora, familiari e amici hanno smentito che ci sia stato uno stupro. Sul punto, Mondoweiss riporta le loro testimonianze rese ai media israeliani.
“Il 1° gennaio, Nissim Abdush, fratello di Nagi, è apparso in un’intervista sul canale israeliano 13. Durante l’intervista di 14 minuti, Nissim ha ripetutamente negato che sua cognata sia stata violentata. Ha spiegato che suo fratello Nagi lo aveva chiamato alle 7:00 del mattino, dicendo che sua moglie era stata uccisa e lui era accanto al suo corpo”.
“Quindi ha continuato a comunicare fino alle 7:44 e non ha mai accennato a nulla legato alla violenza sessuale. Nissim ha inoltre affermato che nessuna autorità li ha informati di questi dubbi o di questa indagine, né la polizia né gli esperti forensi. Nell’intervista, Abdush ha ribadito che la moglie di suo fratello non è stata violentata e che “l’hanno inventato i media’”.
“Allo stesso modo, Miral Altar, la sorella di Gals, ha scritto un commento su Instagram in risposta a un video di un account hasbara. Altar ha scritto: ‘Non riesco a capire tutte queste storie. Ci sono state molte storie drammatiche, perché parlare di questa storia in particolare? Si basa su un solo video pubblicato all’insaputa della famiglia… È vero che le scene del video sono drammatiche, ma è chiaro che il vestito è sollevato verso l’alto e, non nel suo status naturale, e metà della sua testa è bruciata perché l’auto è stata distrutta da una granata”.
“Non voglio essere interpretato come se stessi giustificando quello che hanno fatto; sono animali, violentano e decapitano persone, ma nel caso di mia sorella questo non è vero. Alle 6:51 Gal ci ha inviato un messaggio su WhatsApp nel quale diceva: ‘Siamo al confine e non potete immaginare le esplosioni che si sentono intorno a noi”. Alle 7 mio cognato ha chiamato suo fratello e ha detto che avevano sparato a Gal e che stava morendo. Non ha alcun senso che in quattro minuti l’abbiano violentata, massacrata e bruciata’”.
“Anche le sorelle di Gal hanno negato le denunce di stupro. Sua sorella Tali Barakha ha postato su Instagram: “Nessuno può sapere cosa ha passato Gal. Né, quello che ha passato Nagi, ma non posso collaborare con chi dice molte cose che non sono vere. Vi prego di smetterla di diffondere bugie, dietro c’è una famiglia e dei bambini, nessuno può sapere se c’è stato uno stupro o se è stata bruciata mentre era viva. Siete diventati pazzi? Ho parlato personalmente con Nagi! Alle 7, Gal è stata uccisa da quegli animali e le hanno sparato al cuore. Nagi è rimasto vivo fino alle otto e un quarto…’”.
La Wessely . che ha pubblicato il video con relativa denuncia di stupro, era ingaggiata nella destra estrema ed era palesemente mendace anche su altro, come suggerisce quanto ha affermato nei giorni successivi al 7 ottobre.
Così Mondoweiss: “Ad esempio, nei primi giorni della guerra, Wessely ha pubblicato notizie false, smentite dai media israeliani, sui ‘traditori israeliani che sostenevano i combattenti di Hamas durante l’attacco del 7 ottobre’. Wessely ha anche condiviso molti post dell’organizzazione di estrema destra ‘Im Tirtzu’ e post del rapper di estrema destra ‘Hatzel‘, considerato un simbolo del razzismo fascista israeliano. In un altro post, la Wessely ha condiviso una foto dell’avvocato israeliano per i diritti umani Lea Tsemel, definendolo: ‘Il diavolo incarnato'”.
La superficialità del NYT
Per quanto riguarda i cronisti del Times che hanno propalato al mondo la falsa storia della donna vestita di nero, Mondoweiss scrive che essi hanno contattato la famiglia spiegando che volevano raccontare la tragedia che l’aveva investita.
“Secondo la sorella di Abdush, Miral Alter – riferisce Mondoweiss – è per questo motivo che la famiglia ha accettato di parlare con il giornalista. Lo spiega Alter in un commento su Instagram sui giornalisti del Times: ‘Hanno detto di voler scrivere una storia in memoria di Gal e basta; se avessimo saputo che il titolo sarebbe stato sullo stupro e la macellazione [della sorella ndr], non avremmo mai accettato”.
Vicenda di grande interesse. A fronte di una famiglia che ha avuto il coraggio di smentire un media tanto importante, e di media altrettanto coraggiosi che hanno riferito le loro smentite, altre, vittime di simili distorsioni, potrebbero aver provato soggezione o potrebbero aver lasciato correre, provati dal dolore della perdita subita. Ma la nostra è solo una suggestione, nient’altro.
Resta lo sconcerto per come sia stata possibile tanta leggerezza da parte dei cronisti del Times e dello stesso giornale, che pure si vanta della sua autorevolezza. Peraltro in danno di una famiglia distrutta dal dolore, che ha dovuto farsi forza per smentire.
Vicenda istruttiva di come funziona l’Hasbara, il cui scopo, taciuto ma evidente, è portare i media a focalizzarsi su altro che non sulle migliaia di bambini uccisi a Gaza e di disumanizzare il nemico, contro il quale, dal momento che si tratta di subumani, tutto è permesso.
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