9 anni fa il golpe del "Fate Presto" contro Berlusconi

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9 anni fa il golpe del "Fate Presto" contro Berlusconi


di Thomas Fazi*, 16 novembre 2020
 

Oggi (Ieri ndr.) ricorre il nono anniversario di una delle pagine più buie della moderna storia italiana ed europea: l’insediamento del governo tecnico di Mario Monti a seguito del “golpe bianco” della BCE contro il governo Berlusconi. Purtroppo, come per tante delle trame oscure che hanno costellato la storia del nostro martoriato paese, è un episodio che molti ancora oggi fanno fatica a mettere a fuoco. Vediamo dunque di ricostruire per sommi capi gli eventi di quelle fatidiche settimane di nove anni fa.
 

È l’estate del 2011. Il paese è nel pieno della furia speculativa contro i titoli di Stato italiani. Ad agosto, un clima politico già surriscaldato si arroventa ulteriormente quando viene fatto trapelare sui giornali il contenuto di una lettera – in teoria destinata a rimanere segreta – inviata al governo italiano da Mario Draghi, che di lì a pochi mesi avrebbe assunto ufficialmente la carica di presidente della BCE, e dal suo predecessore Jean-Claude Trichet.


In essa, i vertici della BCE intimano al governo italiano «una profonda revisione della pubblica amministrazione», compresa «la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali», «privatizzazioni su larga scala», «la riduzione del costo dei dipendenti pubblici, se necessario attraverso la riduzione dei salari», «la riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale», «criteri più rigorosi per le pensioni di anzianità» e persino «riforme costituzionali che inaspriscano le regole fiscali». Tutto ciò, si dice, al fine di «ripristinare la fiducia degli investitori».  

Giulio Tremonti, l’allora ministro dell’Economia, in seguito dirà che quell’estate il suo governo ricevette due lettere minatorie: una da un gruppo terroristico, l’altra dalla BCE. «Quella della BCE era peggio», aggiunse sarcasticamente (ma forse non troppo).
 

A quel punto, il governo annuncia una serie di riforme strutturali e di tagli di bilancio per cercare di “rassicurare” sia i mercati che la BCE. Ma con l’arrivo dell’autunno i tassi di interesse sui titoli di Stato italiani continuano a salire. Si determina così una situazione di panico crescente, alimentato non poco dai media – è passato alla storia il famoso titolo a caratteri cubitali dell’edizione del Sole 24 Ore del 10 novembre del 2011: “FATE PRESTO” –, in cui viene paventato l’imminente default dell’Italia con conseguenti effetti catastrofici per il paese.

Vale la pena riprendere alcuni passaggi di quell’editoriale dell’allora direttore Sole, Roberto Napoletano (oggi sotto indagine per false comunicazioni sociali e aggiotaggio informativo), a cui fecero da eco, in quei giorni, centinaia di articoli ed editoriali dello stesso tenore:

“[U]n “terremoto” finanziario globale scuote le fondamenta del Paese, ne mina pesantemente la tenuta economica e civile; la credibilità perduta ci fa sprofondare in un abisso dove il differenziale dello spread BTP-Bund supera i 550 punti e i titoli pubblici biennali hanno un tasso del 7,25% [rischiando di ridurre in macerie] il risparmio e il lavoro degli italiani, il titolo Italia che molti, troppi si ostinano a considerare carta straccia. […]. [S]i impone la scelta di un governo di emergenza nazionale dove le forze politiche più responsabili (a partire dal PdL di Berlusconi) decidano di investire su persone che, per la loro storia e i loro comportamenti, abbiano dimostrato di conoscere la lingua dei mercati e degli Stati e abbiano, quindi, le carte in regola per negoziare alla pari nel mondo e convincere gli investitori della solidità e affidabilità dei titoli sovrani italiani. Questa è la via maestra, e a questo punto è anche l’unica via possibile per fare uscire il Paese dalle secche di un’emergenza drammatica e restituirgli il credito e l’onore che merita. […]. Per questo, a maggior ragione, cari deputati e cari senatori, cade sulle vostre spalle la responsabilità politica (dico politica) di garantire all’Italia un governo di emergenza guidato da uomini credibili che sappiano dare all’Italia e agli italiani la cura necessaria ma sappiano imporre anche al mondo il rispetto e la fiducia nell’Italia. Serve il vostro sostegno politico e la vostra spinta ideale perché si prendano quei provvedimenti complessi che restituiscano al Paese una prospettiva di crescita reale nell’arco di tre-cinque anni e convincano chi compra BOT (nel mondo e in Italia) che può tenere tranquillamente in portafoglio questi titoli perché saranno ripagati con gli interessi dovuti alle scadenze giuste.” (grassetti miei)
 

Due giorni dopo la pubblicazione di questo editoriale, il 12 novembre, Berlusconi, che quattro giorni prima ha perso la maggioranza, rassegna le dimissioni. Lo stesso giorno, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano incarica Mario Monti – ex commissario europeo e consulente internazionale della Goldman Sachs fino a pochi giorni prima – di formare un governo tecnico. Quattro giorni dopo, il 16 novembre, nasce ufficialmente il governo Monti.


Ciò che venne raccontato agli italiani in quei giorni – vedasi l’editoriale del Sole –, ma anche nei mesi e negli anni successivi se è per questo, è che la caduta del governo Berlusconi e l’arrivo di Monti altro non furono che la conseguenza della “naturale” reazione dei mercati all’eccessivo debito pubblico italiano e alla fallimentare gestione della crisi economica da parte del governo Berlusconi.


La cornice ideologica alla base di questa narrazione la conosciamo fin troppo bene. È l’idea per cui lo Stato è come una famiglia o un’impresa e come tale va amministrato, perché come una famiglia o un’impresa può finire i soldi; come una famiglia o un’impresa, se vuole spendere più di quello che incassa (con le tasse), è costretto a indebitarsi sui mercati alle condizioni (tassi di interesse ecc.) dettate da questi ultimi; e come una famiglia o un’impresa può andare incontro al default se i mercati si rifiutano di prestargli i soldi: che è più o meno quello che sarebbe successo all’Italia nel 2011, secondo la vulgata dominante.


Oggi anche i più duri di comprendonio (c’è arrivato persino Cottarelli!) si stanno accorgendo che questa narrazione è completamente infondata. Da diversi mesi, per contrastare la pandemia, la BCE si vede costretta ad agire come una “vera” banca centrale, cioè ad acquistare titoli pubblici con denaro creato dal nulla per sostenere i disavanzi di bilancio degli Stati, di fatto monetizzando questi ultimi; di conseguenza, nonostante un significativo aumento del deficit e del debito pubblico, i tassi di interesse sulle obbligazioni italiane sono scesi a livelli record. Da ciò ne consegue che il tasso di interesse può sempre essere determinato dalla banca centrale, indipendentemente dal livello di deficit e/o di debito pubblico dello Stato in questione; e che uno Stato che gode della garanzia della propria banca centrale non può mai essere costretto a fare default. Ne consegue anche che l’unica ragione per cui l’Italia sperimentò una “crisi del debito sovrano” nel 2011 fu il fatto di aver rinunciato alla propria sovranità monetaria e dunque alla garanzia di una banca centrale, e di aver messo il proprio destino nelle mani di una banca centrale – la BCE –, che solo nell’estate del 2012 si decise finalmente ad intervenire per mettere un argine alla speculazione finanziaria. Ma a quel punto il danno era fatto.


Perché la BCE aspettò così tanto prima di intervenire? Tale ritardo è solitamente attribuito agli obblighi statutari della BCE, alla testardaggine ideologica dei vertici della banca centrale egli equilibri di potere che governano la complessa politica intergovernativa della zona euro. C’è del vero in tutto ciò. Eppure lo stesso ex presidente della BCE Jean-Claude Trichet non ha nascosto che il rifiuto della banca centrale di sostenere i mercati delle obbligazioni pubbliche nella prima fase della crisi finanziaria aveva lo scopo di spingere i governi dell’eurozona a consolidare i propri bilanci.


Tuttavia, nel 2011 in Italia, la BCE non si è solo limitata a guardare dall’altra parte mentre i mercati facevano il lavoro sporco, un fatto che già di per sé sarebbe gravissimo, ma ha attivamente contribuito ad esacerbare la crisi dello spread. Secondo il Financial Times, la BCE «costrinse Silvio Berlusconi a dimettersi a favore di Mario Monti», facendo intendere al governo e al parlamento italiani che le dimissioni del premier erano la condizione necessaria perché la banca centrale continuasse a sostenere le obbligazioni pubbliche e le banche del vostro paese. Lo stesso Monti in un’intervista del 2017 al Corriere della Sera ha affermato che alla fine del 2011 «Draghi decise […] di cessare gli acquisti di titoli di Stato italiani da parte della BCE, che avevano dato ossigeno al governo Berlusconi nell’estate e autunno 2011». È difficile immaginare uno scenario più inquietante di una banca centrale suppostamente “indipendente” e “apolitica” ricorrere al ricatto monetario per costringere alle dimissioni un governo democraticamente eletto ed imporre la propria agenda politica (delineata nella lettera dell’agosto del 2011), ma questo sembra essere esattamente quello che è successo in Italia nel 2011.


Tuttavia, sarebbe un errore pensare che questo sia stato un piano ordito unicamente dalla BCE. Gli attori coinvolti erano molteplici. Nel 2015, l’ex premier spagnolo José Luis Zapatero ha raccontato a La stampa gli eventi di cui fu testimone al G20 che si tenne a Cannes il 3-4 novembre del 2011, pochi giorni prima delle dimissioni di Berlusconi:


“Non dimenticherò mai quello che ho visto al G20 di Cannes. Andai con il timore che potessimo essere nel mirino dai sostenitori dell’austerità, ma l’obiettivo era l’Italia. Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio dell’FMI. Loro non cedettero applicando un catenaccio italiano e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti, mi sembrò strano. [Non so se si trattò di un golpe]. Io mi limito a raccontare quello che ho visto: […] i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo. Era certamente vero che l’Italia aveva problemi finanziari e politici, ma qui stiamo parlando della sovranità di una nazione. È un caso che va studiato.”


Indubbiamente è un caso che va studiato. E invece sappiamo bene che in questi anni, in Italia, è stato calato un velo omertoso su questo episodio gravissimo. Che la dice lunga sul valore che viene dato alla democrazia all’interno della UE e dell’euro.


P.S. Ovviamente il governo Monti, lungi dal “restituire al paese una prospettiva di crescita reale”, come auspicava il Sole 24 Ore, ha determinato un nuovo drammatico crollo del PIL, dopo la timida ripresa del 2011. Lo conferma nientedimeno che uno studio nascosto nei recessi di un allegato al documento programmatico di bilancio 2017 del governo italiano, secondo cui le misure di consolidamento fiscale (tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse) perseguite nel periodo 2012-15 hanno ridotto il PIL italiano di quasi il 5 per cento (circa 75 miliardi di euro l’anno, per un totale di circa 300 miliardi), i consumi del 4 per cento e gli investimenti del 10 per cento, per via degli «effetti recessivi del consolidamento fiscale sia sul PIL che sulle principali componenti della domanda (consumi e investimenti)». Oltre alla beffa, il danno…


*Articolo già pubblicato su La Fionda

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