Alla base della prostituzione non c'è autodeterminazione ma fame e austerità
di Antonio Di Siena
Durante le mie esperienze in Grecia ho conosciuto da vicino la realtà della prostituzione e dei bordelli a basso costo. Un fenomeno sommerso che interessa la vita di migliaia di ragazze, non soltanto straniere ma anche greche.
Giovani donne che, a causa di tagli e austerità, si sono ritrovate senza lavoro e senza prospettive e per questo costrette a prostituirsi per pagare il mutuo, l’affitto, le bollette, sostenere la famiglia, o anche soltanto sopravvivere.
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Storie drammatiche che non hanno niente a che fare con il sedicente ‘principio di autodeterminazione’ goffamente evocato dalle femministe di “Non una di meno” in questo ridicolo manifesto.
Una rivendicazione che mostra plasticamente l’irreversibile decadimento culturale delle sinistre, oramai incapaci di comprendere un assunto banalissimo.
All’interno del modello produttivo europeo il cui funzionamento si regge sulla disoccupazione - in assenza di prospettive - milioni di giovani donne (e non solo loro) sono forzatamente trasformate da produttrici di merce a merce di per sé.
Un contesto di miseria e marginalità in cui - nella stragrande maggioranza dei casi - alla base della prostituzione non c’è nessuna autodeterminazione.
Ma soltanto la fame.
Rivendicare questo principio di emancipazione farlocca, parlare di libera scelta in un contesto socio-economico che tale non è, equivale a schierarsi - per l’ennesima volta - con quel sistema che, in nome del progresso e della stabilità dei prezzi, ha delocalizzato e precarizzato il lavoro, chiuso le scuole, tagliato salari e welfare, compresso i diritti.
Togliendo alle donne la concreta possibilità di decidere se avere un lavoro dignitoso, uno stipendio giusto, una casa decorosa, magari un figlio e una famiglia e soprattutto un futuro.