Anche in Kenya l’imperialismo non è che una tigre di carta

Anche in Kenya l’imperialismo non è che una tigre di carta

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Le immagini della feroce repressione che sta investendo i manifestanti anti-governativi in Kenya stanno facendo il giro del mondo, per quanto gli Stati dell’Occidente collettivo siano piuttosto “cauti” nel condannare la violenza che solo nella giornata del 25 giugno ha portato alla morte di più di venti persone a Nairobi, la capitale del paese. Le proteste stanno andando avanti dal 20 giugno, coinvolgendo migliaia di persone di diversa estrazione sociale mobilitate dalla comune opposizione al presidente William Ruto e alla controversa riforma fiscale promossa dal suo partito.

Questa comprende un’ampia gamma di riforme e aumenti, tra cui un aumento fiscale del 5% sui pagamenti digitali come i bonifici bancari e i pagamenti con denaro digitale. Una misura particolarmente invisa in quanto nel paese sono particolarmente diffusi i pagamenti attraverso applicazioni digitali. Le misure più impattanti per i kenioti sono senza dubbio le proposte di introdurre un’imposta sul valore aggiunto (IVA) del 16% sul pane e un’accisa del 25% sull’olio da cucina vegetale grezzo e raffinato prodotto a livello nazionale, oltre che di una tassa aggiuntiva sul reddito del 2,75% per i lavoratori iscritti al piano di assicurazione medica nazionale del paese e una tassa annuale del 2,5% sui veicoli a motore. La riforma darà potere all’agenzia delle entrate locale di riscuotere le tasse direttamente dai conti bancari e dalle piattaforme digitali dei cittadini1.

Questo piano di vero e proprio saccheggio è stato reso necessario, nella parole dei vertici politici del paese, dalla grave situazione debitoria che sta affrontando il Kenya con un debito pubblico arrivato salito a 76 miliardi di dollari alla fine del 20232, ossia il 69% del PIL rispetto al 42% di dieci anni prima3, in un contesto di progressivo deprezzamento dello scellino kenyota e di rapida perdita di potere d’acquisto da parte dei cittadini.

Il rapido aumento del debito è stato causato sia dalle miopi e scenografiche scelte economiche delle ultime presidenze, sia dalle conseguenze dei programmi di “ristrutturazione” imposti al paese dalla Banca Mondiale e dal Fondo Economico Internazionale. A ricerca di liquidità, a questi istituti si è rivolto William Ruto, il quale, subito dopo essere entrato in carica nel settembre 2022, ha ottemperato a una condizione chiave imposta dal FMI eliminando i sussidi sulla farina di mais e sul carburante che i governi precedenti avevano offerto ai consumatori. Di conseguenza, il prezzo di questi beni di uso quotidiano è aumentato vertiginosamente: i prezzi del carburante in Kenya hanno raggiunto un livello record nella prima metà del 2023, con prezzi che hanno superato i 182,70 scellini kenioti. Nel settembre dello stesso anno il governo ha azzerato la spesa per i sussidi, come richiesto dal FMI, mentre nel luglio si era andati incontro a un primo innalzamento delle tasse, con il raddoppio dell’IVA sul carburante, arrivata al 16%, sempre su raccomandazione del Fondo Monetario Internazionale.

Nonostante ora molti commentatori occidentali puntino il dito contro la Cina per la situazione debitoria del Kenya, rievocando i sempre presenti spettri della “debt trap diplomacy”, è bene ricordare che, per quanto il debito verso la Cina, principalmente causato dalla costosa -e poco redditizia- ferrovia Nairobi-Mombasa, sia consistente4, il principale creditore del paese rimane nettamente la Banca Mondiale, che, assieme al Fondo Monetario Internazionale, è il principale promotore delle riforme austeritarie dell’ultimo anno, fortemente dannose per la vita dei cittadini.

Le proteste si sono evolute in un vero e proprio assalto al parlamento il 25 giugno. Folle di manifestanti hanno fatto irruzione nell’edificio saccheggiandolo e approfittandone per mangiare il cibo della mensa interna riservata ai loro rappresentanti. In risposta a ciò Ruto ha ordinato la linea dura, con decine di manifestanti falciati dal fuoco di cecchini e agenti di polizia. Invano si cercherà una “dura condanna” da parte dei paesi occidentali, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti per ciò che sta accadendo a Nairobi e in altre città del paese: Ruto è giustificato nel suo agire in quanto alleato strategico di Washington nel continente, in un’ennesima manifestazioni dell’applicazione di quei doppi standard che hanno reso famosa la nostra parte del mondo.

Recentemente, a seguito di una visita di tre giorni di Ruto a Washington, il presidente americano Joe Biden ha annunciato che al Kenya sarà garantito lo status di “major non-NATO ally”, ossia di alleato principale al di fuori dell’Alleanza Atlantica, l’unico paese dell’Africa subsahariana a godere di ciò. Una nomina che testimonia lo stretto legame economico e militare che unisce la Casa Bianca -e le istituzioni finanziarie di cui è espressione- a Nairobi. Infatti, se i piani di aggiustamento strutturale delle istituzioni internazionali permettono l’agevole saccheggio delle risorse del paese a detrimento degli indigeni, le forze militari kenyote si stanno dimostrando utili allo Zio Sam come proxy per le sue operazioni di polizia internazionale. Proprio oggi, 26 giugno, mentre la polizia di Ruto sparava sulla folla in patria, ad Haiti sono sbarcati i primi contingenti militari kenioti, inviati sull’isola su indicazione di Washington in sostituzione alla forza d’invasione americano-canadese di cui si era ventilata la partenza nello scorso anno.

Lo stretto allineamento del Kenya all’Occidente collettivo ha ovviamente portato i commentari liberali a incolpare la Russia dell’esplosione delle rivolte. Il portavoce del governo Isaac Mwaura ha dichiarato di sospettare che ”potenze straniere” stiano sponsorizzando le proteste, ricordando in particolare la partecipazione di Ruto al vertice di pace ucraino in Svizzera, accusando con ciò Mosca, per quanto indirettamente5. Una lettura promossa da chi ha sottolineato la presenza di numerose bandiere russe alle manifestazioni.

E’ bene notare che il tricolore russo è diventato per i dissidenti africani un simbolo di protesta contro l’ingiusto ordine internazionale e contro le proprie oligarchie corrotte, espressione del neocolonialismo. Non si tratta di una “firma” del Cremlino, ma di una netta presa di posizione a favore del multipolarismo e dell’abbattimento dell’egemonia internazionale degli Stati Uniti e delle strutture finanziarie di cui rappresentano il braccio armato.

A seguito del perdurare delle proteste, il presidente Ruto si è visto costretto a rinviare al parlamento il progetto di legge affinché sia modificato, mentre l’esercito è stato ritirato dalle strade. Passi che accennano alla distensione, che però non possono che essere indizio di tentativi più scaltri di introdurre le riforme richieste dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale: nel migliore stile neoliberista “There is No Alternative”.

Tra il 1952 e il 1969 migliaia di patrioti kenioti insorsero contro la dominazione coloniale britannica sotto la bandiera del Kenya Land and Freedom Army. Chiamati dispregiativamente “Mau Mau” dai colonialisti, i combattenti antimperialisti riuscirono a mettere in seria difficoltà l’occupante e i suoi servitori collaborazionisti. Per questo la Corona britannica reagì intensificando la repressione, facendo leva sulla superiorità aerea, sulla guerra psicologica e sulla deportazione di massa. Più di centomila kenioti morirono nei campi di concentramento allestiti dagli inglesi per privare il movimento di liberazione del supporto materiale della popolazione locale. La rivolta del KLFA fu quindi soppressa, e per il Kenya si aprirono decenni di sfruttamento neocoloniale culminati nell’attuale presidenza di William Ruto. Ma anche per questo paese le trasformazioni rivoluzionarie in atto garantiscono la possibilità di riprendere in mano il proprio destino. La forza dimostrata dal popolo lavoratore keniota negli ultimi giorni ne è soltanto l’ennesima prova.

Anche in Kenya l’imperialismo non è che una tigre di carta.

1 https://www.aljazeera.com/news/2024/6/25/kenya-on-edge-will-anti-tax-protests-erupt-again-amid-national-strike

2 https://www.theeastafrican.co.ke/tea/business/kenya-s-public-debt-surges-past-sh11trn-on-weak-shilling-4530882

3 https://www.imf.org/en/News/Articles/2020/11/20/pr20351-kenya-imf-staff-completes-virtual-mission

4 https://www.chathamhouse.org/2022/12/response-debt-distress-africa-and-role-china/02-case-studies-chinese-lending-africa

5 https://www.the-star.co.ke/news/2024-06-23-foreign-powers-behind-gen-z-protests-isaac-mwaura-alleges/

Leonardo Sinigaglia

Leonardo Sinigaglia

Nato a Genova il 24 maggio 1999, si è laureato in Storia all'università della stessa città nel 2022. Militante politico, ha partecipato e collaborato a numerose iniziative sia a livello cittadino che nazionale.

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