Argentina, Guyana e l'imperialismo britannico
di Alberto Fazolo
Sono passati appena pochi mesi dall’ondata di Colpi di Stato che ha investito i domini post coloniali francesi in Africa, che già si prefigura una nuova -per certi versi analoga- alterazione degli equilibri geopolitici globali. Quegli eventi erano la manifestazione più tangibile da un lato, dell’affermazione del nuovo ordine multipolare e dall’altro, del conseguente declino degli USA. Washington sa bene che sta scivolando verso il baratro, ma prima di precipitare vi ci butta tutti quelli che chiama alleati, ma che in realtà sono suoi sudditi. Dopo la Francia, ora forse è il turno della Gran Bretagna. In questa delicata congiuntura, a Londra c’è una leadership estremamente debole e ciò rende il paese oltremodo vulnerabile: Carlo non ha il carisma della madre, mentre l’esecutivo si sta dimostrando non all’altezza dei bisogni.
Il nuovo presidente argentino Javier Milei -detto “el loco”, cioè “il matto”- si pone come primario obiettivo strategico quello di abbandonare il percorso di avvicinamento dell’Argentina ai paesi che stanno costruendo il nuovo assetto multipolare. Lui vuole riportare l’Argentina sotto la totale dipendenza dagli USA. Vuole ridurre il Paese ad una sorta di porto franco extraterritoriale degli Stati Uniti. Ciò comporta sia la riaffermazione del ruolo egemonico degli USA nel “Cono Sur” (la parte meridionale dell’America Latina), sia scongiurare la creazione di un blocco regionale con il Brasile.
Notoriamente Milei è più vicino politicamente (e non solo) a Trump piuttosto che a Biden, ma il nuovo corso argentino -data la sua importanza strategica- è sostenuto in maniera bipartisan a Washington. Per questo allo stravagante Milei potrebbero essere fatte delle inimmaginabili concessioni, tanto sul piano interno che su quello internazionale. A prescindere dai vari deliri, Milei ha avanzato delle rivendicazioni sui domini britannici delle isole Falkland (o Malvinas, che dir si voglia). La dittatura argentina aveva occupato le isole nel 1982 ingaggiando una guerra fatale contro la Gran Bretagna, la Junta militare fu deposta poco dopo la sconfitta. Forse è ancora presto per dire se Milei stia facendo un bluff o voglia andare fino in fondo con le Malvinas, ma sia come sia, la sua presa di posizione ha impresso un forte scossone al processo di decolonizzazione dell’America Latina. Questo è un qualcosa di molto complesso e variegato, caratterizzato sia dalla presenza di elementi nazionalisti e reazionari, che da movimenti progressisti. Le varie anime sono inconciliabili e spesso in conflitto tra loro, ma hanno alcuni nemici comuni.
In questo contesto, assume un maggior interesse l’iniziativa intrapresa dal Venezuela per l’affrancamento dalla sudditanza verso gli inglesi di parte del territorio della Guyana. I cittadini venezuelani sono stati chiamati ad esprimersi in cinque referendum consultivi in merito allo status da riconoscere alla regione di confine della Guyana che Caracas rivendica da fine ‘800. L’esito “bulgaro” della consultazione non lascia margini di fraintendimento, ora il Governo di Maduro si deve fare carico di dare concreta attuazione alla volontà popolare. Ovviamente una sfida all’imperialismo inglese può essere lanciata più agevolmente in un momento di affanno della Corona che, schiacciata tra i problemi interni e quelli internazionali, potrebbe non essere in grado di rispondere in maniera efficace.
Se gli USA, sotto la pressione delle difficoltà della fase, avessero deciso di “scaricare” la Gran Bretagna, allora si aprirebbero degli scenari interessantissimi a livello globale e non solo in America Latina. Si tratterebbe di un’occasione storica per rompere il giogo neocoloniale e per accelerare nel processo di definizione di un nuovo ordine mondiale.