Biden chiede scusa ai Nativi Americani: i commenti (negativi) e i retroscena

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Biden chiede scusa ai Nativi Americani: i commenti (negativi) e i retroscena

 

“Non avrei mai immaginato in un milione di anni che una cosa del genere potesse accadere”, ha dichiarato commossa al Time il Segretario degli Interni statunitense Deb Haaland, membro della tribù Pueblo. E se lo dice lei, possiamo credere che l’annuncio delle scuse di Biden fatte il 25 ottobre, pubblicato sul sito della Casa Bianca il 24 ottobre, sia stato frutto di una decisione “tempestiva”. I motivi? È facile immaginarli. Durante il suo mandato Biden non ha mai visitato una riserva indiana. Ecco che, a dieci giorni dalle elezioni, non solo si reca presso la Gila River Indian Community, riserva dei Pima e dei Maricopa, ma decide di porgere le scuse ufficiali per il sistema coercitivo delle scuole residenziali indiane, gestito dal Governo degli Stati Uniti per oltre 150 anni.

L’epoca delle scuse

«L'offerta di scuse è diventata così comune nella politica mondiale che alcuni l'hanno definita “l'epoca delle scuse”(Andrew Rigby, Justice and Reconciliation: After the Violence). Sì, perché le scuse sono innanzitutto una scelta politica e, se esercitate a nome di un Governo, si dà per scontato che il solo gesto di scusarsi sia seguito da un pubblico perdono. In sostanza, un atto di forza prima ancora di un reale pentimento. Quello che, però, dovrebbe accompagnare le scuse dovrebbe essere, in questi casi, un doveroso risarcimento, come ha parzialmente offerto Justin Trudeau alle First Nations in Canada.

Il più recente e illustre precedente di scuse, infatti, è in Canada: Papa Francesco, nella estate 2022, si è recato in viaggio penitenziale in Canada per scusarsi dei trattamenti orribili subiti dai giovani nativi nelle scuole residenziali gestite dalla Chiesa.

Se, dietro le scuse di Biden, ci sono motivazioni politiche, ovvero le pressanti elezioni che vedono in questi giorni, negli exit poll, un testa a testa tra Harris e Trump, dietro alle scuse del Papa c’è stata la scoperta di probabili e innumerevoli fosse comuni nei terreni adiacenti le scuole gestite dalla Chiesa (vedere in questa rubrica “Nativi” l’articolo “Cosa c’è dietro le scuse di Papa Francesco ai Nativi Americani”). A fare pressione, per dirla in breve, oltre all’ondata mediatica mondiale dai titoli macabri e accusatori, in questo caso troviamo la Canadian Conference of Catholic Bishops, CCCB, allarmatissima dopo a una serie di devastazioni di chiese da parte di Nativi canadesi furibondi.

I precedenti di scuse ai Popoli Indigeni

Frutto di politiche cruente di assimilazione e assoggettazione adottate da tutte le potenze coloniali, le scuole residenziali indiane non sono che uno degli esempi dei sistemi messi in campo contro le popolazioni indigene. Queste scuole, come detto in altri articoli, avevano lo scopo di annullare la cultura tradizionale dei giovani nativi, proibendo di parlare la loro lingua e di praticare la loro religione, tagliando i loro lunghi capelli – per loro sacri, assegnando loro nomi cristiani, allontanandoli dalle famiglie di origine con la forza. Queste scuole furono teatro di violenze inimmaginabili, diventando spesso anche una sorta di “buffet” per pedofili (la storia completa si trova nel mio “Le scuole residenziali indiane. Le tombe senza nome e le scuse di Papa Francesco). 

L'11 giugno 2008, in nome del Governo canadese e di tutti i canadesi, il Primo Ministro Stephen Harper si presentò alla Camera per porgere le proprie scuse e per chiedere perdono alle popolazioni indigene del Canada per il sistema delle scuole residenziali indiane. Le scuse sottolinearono la volontà di imparare da quei tragici eventi per garantire che non si ripetano mai più.

Il 13 febbraio 2008 lo aveva preceduto il Primo Ministro australiano Kevin Rudd, presentando scuse formali alle popolazioni aborigene, in particolare alle Stolen Generations (Generazioni Rubate), le cui vite sono state rovinate dalle passate politiche governative di rimozione forzata dei bambini e di assimilazione.

Entrambe le scuse — australiane e canadesi — sono degne di nota per diversi motivi: sono state emesse da capi di Governo e sono state pronunciate in modo ufficiale all'interno dello spazio di governo, i Parlamenti nazionali di entrambi i Paesi. Entrambe le scuse sono state circondate da festeggiamenti e polemiche, e tracciarne le conseguenze è un'impresa difficile. Le scuse, in generale, hanno molteplici funzioni: raccontano storie di misfatti, esprimono il dissenso rispetto a tali torti e si impegnano in forme appropriate di riparazione, risarcimento o cambiamento.

Ma è l'efficacia morale, più che politica, delle scuse che deve andare oltre un mero esercizio statale di “colpa performativa”.  Come accennavo prima, un processo di perdono spesso perpetua gli squilibri di potere che hanno portato alla violenza, in primo luogo, soprattutto quando il processo è gestito dallo Stato: “Lo Stato potente non solo decide se e quando saranno fatte le scuse (o se saranno fornite delle “quasi scuse”), ma anche il modo in cui tutto ciò sarà eseguito”. Questo vale soprattutto quando lo Stato persegue una politica di riparazione affermativa piuttosto che trasformativa. Si elimina così una parvenza di giustizia dal processo di riconciliazione.

Il passato delle scuse degli Stati Uniti ai Nativi Americani

Nel 1993, il Congresso degli Stati Uniti dedicò un'intera delibera per scusarsi con i Nativi Hawaiani per aver rovesciato il loro regno nel 1893. Ma le “scuse” degli Stati Uniti ai Nativi nel loro complesso si sono fatte attendere fino al 2009, “nascoste”, però, in una legge di bilancio non correlata. Nel 2009 il Senatore Samuel Dale Brownback, infatti, promosse una risoluzione congiunta al Senato per riconoscere e scusarsi per la lunga storia di maltrattamenti degli Stati Uniti nei confronti dei Nativi Americani. Ma il testo della risoluzione fu solo aggiunto come emendamento alla legge sugli stanziamenti per il Dipartimento della Difesa del 2010. In esso, il Congresso “si scusa in nome del popolo degli Stati Uniti con tutti i popoli nativi per i numerosi casi di violenza, maltrattamento e negligenza inflitti ai popoli nativi dai cittadini degli Stati Uniti”. Il testo incoraggiava il presidente — all’epoca Obama — a riconoscere i torti commessi dagli Stati Uniti nei confronti delle nazioni native. Non veniva, però, ammessa in alcun modo la responsabilità in nessuna delle cause legali in corso contro il Governo degli Stati Uniti da parte delle popolazioni indigene.

Analisi delle scuse di Biden e reazioni

Come già detto, le scuse di Biden sono strumentali alle elezioni. Secondo i dati del NCLS, oltre 4,7 milioni di Nativi Americani hanno diritto al voto, anche se solo il 66% di loro risultano registrati per votare. Un buon bottino di voti laddove i giochi non sono fatti. La Harris, nonostante il grande supporto dei media e di tante personalità del mondo della politica e dello spettacolo, negli exit poll in questi giorni sembra alla pari con Trump, pur osteggiato pubblicamente da moltissimi. Se andiamo a “pesare”, Harris ha nel suo gruppo 5 candidati nativi al Congresso, e Trump 4 (vedere immagine di Indian Country Today). Sulla Harris pesa l’ombra delle vittime palestinesi, della guerra in Ucraina e di quattro anni da vicepresidente pressoché invisibile. Ora, si presenta come una propaggine al femminile di Biden (e di Obama, sempre alla regia del potere dem). Come finirà? Aspettiamo i risultati. Ma Biden avrà conquistato il cuore dei Nativi che votano?

Torniamo alle scuse.  Ho letto il testo delle scuse di Biden, che in realtà dice ben poco. Il succo è: “Mi scuso formalmente come Presidente degli Stati Uniti d'America, per quello che abbiamo fatto. Mi scuso formalmente. Ed è un atto dovuto da tempo”. Poi fa riferimento a diverse iniziative prese dalla sua amministrazione in favore delle comunità tribali, tra cui cita uno stanziamento di oltre un trilione di dollari (mille miliardi) a favore delle infrastrutture nelle riserve, nella Indian Country. Dovrebbe trattarsi, visto che non fa riferimenti, della Bipartisan Infrastructure Law (BIL), emessa a novembre 2021, di cui però solo 13 miliardi andrebbero direttamente ai governi tribali. Mi riservo di approfondire. Però, le scuse di venerdì 25 ottobre non sono state accompagnate da proposte di risarcimenti alle vittime e ai sopravvissuti delle scuole residenziali indiane.

Il problema è un altro. Alzi la mano chi crede che le scuse di Biden non siano state funzionali ai voti dei Nativi per la Harris.

Parlando delle scuole residenziali indiane, Biden ha sollevato un uragano emozionale profondo e complesso. Ha usato un trauma terribile, che ha sconvolto diverse generazioni di Nativi Americani, tra cui alcune tuttora viventi, per uno scopo politico. L’ondata emozionale è stata fortissima.

Quali sono state le reazioni? Il primo impatto delle scuse è stato enorme. Un popolo abituato a essere ignorato dai media e maltrattato dal Governo per secoli, si è trovato per la prima volta un Biden che visita una riserva indiana e che addirittura porge le sue scuse. Con le sue parole ha fatto rivivere ai Nativi Americani esperienze terribili e ha rievocato fantasmi che per decine di anni sono stati messi a tacere in ogni modo. Ho letto molti articoli di giornali nativi, e ho letto molti commenti sui social. I giornali rilasciano una maggior parte di articoli entusiastici e pieni di gratitudine per queste scuse. Ma i commenti dei lettori sono un’altra cosa. “Ipocrita” è la parola che ricorre più frequentemente. “Non voterò i dem”, aggiunge qualcuno. Jack K. scrive: “I Dem sono disperati per trovare voti, le scuse non valgono niente”; Christine B.: “Non vogliamo solo parole. Noi vogliamo indietro la nostra terra, la nostra cultura, la nostra lingua, tutto ciò che ci è stato rubato”; Dave S.: “Queste scuse servono a qualcosa? Che il governo onori i trattati e liberi Leonard Peltier! È disgustoso solo che pensiate che ciò è onorevole”; Kathleen E.: “Andate al diavolo con le vostre scuse! Esse non riportano indietro i bambini che sono stati abusati e che sono morti”.

Nel frattempo, sabato Waltz visita la Navajo Nation: un vero assalto ai voti nativi.

Occorre seriamente valutare se queste scuse di Biden non diventino un boomerang. Perchè l’orgoglio identitario dei Nativi Americani è la unica forza che li ha fatti sopravvivere a tanti misfatti. La unica forza che ha fatto affrontare loro l’inimmaginabile.

Raffaella Milandri

Raffaella Milandri

 

Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.
Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Attualmente conduce un programma radiofonico sulla musica nativa americana, "Nativi Americani ieri e oggi" e cura la riubrica "Nativi" su L'AntiDiplomatico.

 

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