Coronavirus, sopravvivere nella giungla globale

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Coronavirus, sopravvivere nella giungla globale



di Geraldina Colotti

Presentando le giornate di disinfezione sul territorio venezuelano, il presidente Maduro ha esplicitato la partita in corso in questa pandemia globale: da una parte gli interessi del profitto, dall’altra quelli di chi lo produce. Nel socialismo, vengono prima i lavoratori e le lavoratrici, mentre nei paesi capitalisti le loro vite sono subordinate agli imperativi del mercato.

Il presidente ha così messo al primo posto le condizioni di sicurezza e di protezione di chi deve pulire le strade e i mercati rionali. Ha precisato che lavoreranno a turno e in orari stabiliti, e che poi torneranno a casa in quarantena, come gran parte del paese. Una quarantena “sociale e radicale” che, finora, nonostante le enormi difficoltà dovute al crescente blocco economico-finanziario imposto da Trump, dall’Unione Europea e dai paesi subalterni agli USA, ha consentito al Venezuela di contenere il contagio e il numero di morti (fino al 15 di aprile, sono 9).

Maduro – che è stato sindacalista del metro e ha sviluppato la propria coscienza politica lottando contro le democrazie camuffate della IV Repubblica – sa che la crescita del PIL calcolata dalle statistiche degli organismi internazionali non tiene conto delle disuguaglianze, delle differenze di classe.  Infatti, del Venezuela bolivariano compare solo la fotografia – peraltro esagerata e distorta – delle conseguenze provocate da sette anni di persecuzione perversa e multiforme tesa a provocare la caduta del governo.

Non si parla, però, dei risultati positivi, perché costituiscono un pericoloso esempio da nascondere, tanto più eroico e indicativo in quanto condotto in simili condizioni di guerra. A questo riguardo, il silenzio dei media internazionali è davvero assordante. Nel vortice quotidiano delle notizie, delle statistiche e dei confronti, il Venezuela bolivariano non viene neanche citato.

Quando filtra qualche notizia, è difficile inquadrarla nel contesto, giacché, nella testa del lettore medio, nulla può mai venire di positivo dal “dittatore narco-trafficante” su cui pesa addirittura una taglia del gendarme nordamericano. La confusione si moltiplica perché, di solito, si dà voce ai potenti megafoni dell’opposizione golpista.

Come avvoltoi, costoro imitano le misure prese dal governo bolivariano, presentando presunte piattaforme internazionali di medici venezuelani o inesistenti aiuti erogati ai “cittadini all’estero” dalla banda dell’autoproclamato “presidente a interim” Juan Guaidó.

Quanto siano stati efficaci quegli “aiuti”, lo stanno indicando le fila di venezuelani che tornano dal loro “Eldorado” di cartapesta, incontrato nei paesi in cui le persone vengono lasciate morire per strada perché non possono pagare le cure. Le cifre, anche limitandosi a quelle ufficiali, parlano da sole.

Sono oltre 2 milioni gli infettati da coronavirus nel mondo. Un numero che aumenta di ora in ora, considerando che negli Stati Uniti si registrano, al 15 aprile, oltre 26.000 morti e una media giornaliera di oltre 2.000 decessi. La media resta alta anche in Europa, a partire dall’Italia (oltre 550 decessi al giorno), un paese che continua a mantenere il triste primato del rapporto tra morti e infettati (21.645 vittime e 105.418 contagiati).

Cifre certamente calcolate al ribasso. In Italia - le autorità sanitarie lo stanno ammettendo da giorni – il numero dei morti e degli infetti potrebbe essere almeno il doppio. Questo perché, anche in presenza di sintomi manifesti da Covid-19, non sono stati effettuati i tamponi, anche nelle zone più colpite. In tanti sono morti nelle loro abitazioni.

Ora s’indaga sulla mattanza di anziani nelle case di riposo private, soprattutto nelle regioni del nord, fulcro della pandemia. Si tratta delle 4 principali regioni industriali del paese, che rappresentano il 45% del Pil. Lo strapotere degli imprenditori ha impedito che si prendessero per tempo misure di prevenzione e contenimento. La gestione complice di una destra arrogante e incompetente ha fatto il resto, condannando a morte migliaia di persone.

Nella zona di Bergamo, fulcro della pandemia, i contagiati reali oscillerebbero tra 250.000 (un quarto della popolazione, che conta 60.317.000 abitanti) e 500.000. Secondo l’Istituto di statistica (Istat), durante la quarantena, il 55,7% delle aziende ha continuato a lavorare, continuando a infettarsi e a infettare. Ma quei lavoratori non compaiono nelle statistiche per settore, resteranno morti anonime, che hanno esalato l’ultimo respiro senza neanche il conforto di un familiare.
D’altro canto, prima del coronavirus, c’era un’altra strage silenziosa, quella dei morti sul lavoro: più di tre al giorno per infortuni. Gli effetti della pandemia si sono moltiplicati anche per via della precarietà e dell’assenza di condizioni minime di sicurezza sui luoghi di lavoro. Quando si parla di operai, in Italia, questi compaiono sempre in seconda o terza battuta, dopo le imprese e il mercato.

Nel senso comune, nella disaffezione generale alla politica essendo questa ridotta a teatrino elettorale, scompare così l’inconciliabile asimmetria tra capitale e lavoro, tra sfruttatori e sfruttati. E ci si può anche commuovere per la lettera del Papa ai movimenti popolari, in cui il pontefice argentino ha invitato a tener conto degli “ultimi”, travolti in questa pandemia.

Tanto, che paura possono fare questi “ultimi” se sono ridotti a “casi umani”, se non hanno la coscienza di classe che li rende soggetti attivi e li porta a mettere in questione la società divisa in classi? Quando questo avviene, come a Cuba o in Venezuela, tutti i grandi poteri – Vaticano compreso - si sentono messi in questione, e reagiscono con tutti i meccanismi a loro disposizione.

E ora, mentre siamo ancora in piena pandemia, mentre la flessione della curva al ribasso è tutt’altro che evidente, mentre mancano ancora strumenti diagnostici e mascherine, già si dà per scontato che siamo entrati nella “fase due”. Una fase in cui a fianco delle attività tutt’altro che essenziali come le industrie belliche, che sono sempre rimaste attive, stanno riaprendo fabbriche come la Ferrari o quelle di alta moda.

Al contempo, però, ai cittadini si chiede di rimanere a casa e le multe per chi esce senza motivo sono molto salate. A che servono, e soprattutto a chi servono auto da corsa e vestiti di lusso se si rimane confinati in quattro pareti? Ci dicono che le aperture sono “volontarie” come se non sapessimo a quanti ricatti sono sottoposti i lavoratori dopo anni di distruzione del sistema di garanzie e coperture sociali.

Come se non avessimo visto quali conseguenze drammatiche ha portato il taglio delle politiche pubbliche che hanno colpito soprattutto la sanità (oltre il 50% di finanziamento in meno in dieci anni). Ci dicono che mancano i soldi e che dovremo indebitarci ancora di più con i meccanismi-capestro dell’Unione Europea. Neanche una piccola parte dei profitti stratosferici che in questi anni il padronato ha sottratto ai lavoratori è stato però investito per riconvertire l’economia alle esigenze di questa emergenza che non finirà tanto presto.

Infatti ci avvertono che dovremo convivere con il virus. Ma in quali condizioni se mancano prodotti e attrezzature di sicurezza? Ci sono almeno due dati che, a fronte delle morti e del cinismo di questo sistema politico criminale, gridano vendetta: la forbice tra gli stipendi di manager e di banchieri e quelli degli operai, e l’ammontare delle spese militari. Perché non si riconvertono le spese del Ministero della Difesa e quelle della Nato per il settore sanitario e per il lavoro?

Perché il capitalismo non lo permette. Perché la tanto decantata libertà delle democrazie borghesi è quella della libertà d’impresa. La NATO ha chiesto all’Italia di portare a 26 milioni di euro annuali il proprio contributo. E un solo F-35 costa 100 milioni di euro. Gli altalenanti bollettini quotidiani delle autorità sanitarie mostrano tutta la potenza della manovra mediatica del capitale internazionale.

Sigle e concetti astrusi servono a marcare la distanza e a creare soggezione nei settori popolari. In Venezuela, nella democrazia partecipata che rende protagonista il popolo, questo non avviene. Il cittadino ha tutti gli strumenti per capire quel che sta accadendo. Bisogna convivere con il virus, ci dicono invece in Europa, perché possiamo fare solo ciò che il mercato ci consente di fare.

Perciò, ecco spuntare in Italia una commissione di “esperti” deputata a risolvere quella che il Fondo Monetario Internazionale ha definito la più devastante recessione dopo la crisi del 1929. Uomini che rispondono al grande capitale internazionale, che continueranno a consegnare il pubblico nelle mani dei privati, quei privati che hanno mostrato la loro inutile e devastante presenza in questa pandemia. È come dire ai pipistrelli di proteggerci dal coronavirus.

Lo Stato, se non è uno stato socialista, non è la panacea. Di certo, però, avere il controllo delle leve produttive porta a prendere decisioni razionali, e non alla giungla del “tutti contro tutti” che stiamo vedendo in Europa e negli Stati Uniti. La Cina ne ha dato dimostrazione, ma – al di là di qualche tardiva ammissione – nessuno, in Europa, sembra averne voluto trarre la principale lezione.

Nell’anarchia del capitalismo, i poteri forti si abbarbicano al loro stesso disastro che, paradossalmente, può portare a rafforzarli. Le statistiche dicono che questo sta avvenendo persino per governanti sempre più impresentabili come Donald Trump. In presenza di pericoli o catastrofi, si ha bisogno del conforto di un’autorità, di ritrovarsi intorno al concetto di unità nazionale purchessia.

Lo chiamano “rally around the flag” (stringersi intorno alla bandiera). Sempreché non vi sia una forza capace di coagulare e indirizzare la rabbia e lo scontento delle classi popolari, per spingerle a liberarsi degli ostacoli che impediscono la costruzione collettiva del bene comune. Una forza capace di sfruttare le contraddizioni reali, e anche gli scontri fra apparati, che negli USA appaiono in tutta la loro evidenza.

Vi è un conflitto di poteri tra i governatori e il cowboy del Pentagono, mentre tutto il paese è stato dichiarato in stato di emergenza nazionale. Peccato che, però, anche negli Stati in cui governano i democratici le attività siano state tenute aperte in piena pandemia: perché, appunto, a governare davvero sono le leggi del mercato e quelle della guerra. 

Infatti, oltre alla spesa compulsiva di prodotti, negli Stati Uniti c’è anche quella all’acquisto di armi, per la paura che le classi popolari impoverite vadano a riprendersi il maltolto. “È eccitante vedere ammutinati che hanno bisogno del loro capitano”, ha ironizzato Trump rispetto ai governatori, e ha ricordato il film “Gli ammutinati del Bounty”.

Ma, intanto, per l’alto numero di operai morti nelle imprese di distribuzione della carne, molte aziende hanno chiuso i battenti. Il Covid-19 sta provocando una crisi economica che è anche crisi politica e che si riflette nelle sfere militari. Un esempio detonante è stato quello della portaerei nucleare USS Theodore Roosevelt, e del suo capitano, che è stato rimosso per aver denunciato il cinismo dei superiori nei confronti dei marinai colpiti dal coronavirus.

Mai prima d’ora gli USA avevano vissuto una paralisi del loro apparato militare come quella in corso. Il Pentagono ha cercato di nascondere fino all’ultimo le cifre del contagio, ma sono ben oltre 3.000 i militari contagiati. Al primo posto c’è la Marina, seguita dall’Esercito e dall’aviazione. Secondo un’inchiesta del Newsweek, oltre 150 basi militari in 41 stati sono state colpite dal coronavirus, e questo ha provocato anche un rallentamento delle missioni all’estero “non essenziali”.

Purtroppo, anche in piena pandemia, i militari USA di stanza alle basi italiane come quella di Sigonella scorrazzavano ancora nei locali pubblici, e nessuno parla della responsabilità che hanno avuto nell’estensione del contagio. E neanche il Covid-19 ha fermato le deliranti minacce di Trump contro il Venezuela bolivariano. Anzi, proprio a fronte del plateale fallimento delle sue politiche, il cowboy della Casa Bianca cerca di sfruttare il “rally around the flag”.

Per questo, si fa sempre più pressante la necessità di amplificare la richiesta di por fine alle misure coercitive unilaterali imposte a Cuba e al Venezuela. Ora lo chiede anche il Papa, ma lo chiedono soprattutto quei movimenti popolari a cui Bergoglio si è rivolto affinché alla logica dell’individualismo oppongano quella del bene comune.
 

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