Israeliani all'estero e il sionismo. Rapporto dell'Institute forJewish Policy Research

1993
Israeliani all'estero e il sionismo. Rapporto dell'Institute forJewish Policy Research


Un rapporto pubblicato dall'Institute for Jewish Policy Research (marzo 2025), curato da Daniel Staesky, offre una panoramica dettagliata sul fenomeno della migrazione di israeliani all'estero, mettendo in luce le tensioni tra l'ideologia sionista e la realtà della diaspora ebraica contemporanea. Il documento, che si concentra sui dati disponibili al 7 ottobre 2023, rivela come il mito fondante dello Stato di Israele – ovvero che esso rappresenti la patria naturale e irrinunciabile del popolo ebraico – sia sempre più messo in discussione dalle scelte migratorie degli stessi israeliani. 

Il rapporto inizia con un excursus storico che evidenzia come, sin dal primo secolo d.C., circa il 50% degli ebrei risiedesse in Israele, mentre l'altra metà viveva in aree limitrofe del Medio Oriente e del Nord Africa. Tuttavia, nel corso dei secoli, questa proporzione è cambiata drasticamente. Giunti al 1000 d.C., la maggior parte degli ebrei viveva al di fuori di quel paese che attualmente è identificato come Israele. Nel XX secolo, con la fondazione dello Stato di Israele nel 1948, milioni di ebrei – principalmente ashkenaziti (di origine europea) – sono immigrati in Israele, spinti dall'ideologia sionista che proclama Israele come la "patria" del popolo ebraico. 

Tuttavia, il rapporto solleva un punto cruciale: non esiste una "nazione ebraica"  come concetto storico o politico. Il sionismo, pur basandosi sul nazionalismo, non può essere equiparato ai movimenti nazionalisti che hanno creato stati moderni in Europa e nel Medio Oriente. Questa distinzione è fondamentale per comprendere le tensioni intrinseche nell'idea stessa di uno "Stato ebraico". 

Secondo i dati raccolti fino al 7 ottobre 2023, si stima che circa 630.000 israeliani vivano all'estero , rispetto a una popolazione totale di 9,453 milioni di persone in Israele. Questi emigranti si dividono in due gruppi principali: 

    Gruppo A : nati in Israele (circa 328.000 individui).

    Gruppo B : nati altrove ma vissuti in Israele prima di trasferirsi nuovamente all'estero (circa 302.000 individui).
     

La maggior parte degli israeliani all'estero si concentra nei paesi anglofoni, in particolare negli Stati Uniti, dove risiede quasi il 50% del totale. Altri paesi ospitanti includono Canada, Regno Unito, Australia e Germania. Sorprendentemente, l'Europa ospita quasi il 30% degli israeliani all'estero, con la Germania che si distingue come la nazione europea con la più grande comunità di nati in Israele. 

Negli ultimi anni, si è osservato un aumento significativo della popolazione israeliana in Europa orientale e centrale, con incrementi superiori al 70% in paesi come quelli baltici, Bulgaria e Repubblica Ceca. Anche Germania, Regno Unito e Paesi Bassi hanno registrato aumenti sostanziali, compresi tra il 20% e il 40%. 

Una delle tematiche centrali del rapporto riguarda l'identità degli israeliani all'estero. Molti di loro, pur essendo ebrei, non si identificano necessariamente in termini religiosi. Nelle indagini demografiche, alcuni individui dichiarano di non avere alcuna affiliazione religiosa, preferendo invece definire la propria identità in termini etnici o culturali. Questo fenomeno riflette un cambiamento generazionale nell'approccio all'ebraismo, che diventa sempre più legato alla cultura e alle tradizioni piuttosto che alla fede religiosa. 

Un esempio eloquente è rappresentato da Itay Garmy, consigliere comunale ad Amsterdam trasferitosi a Berlino nel 2012, che ha dichiarato: "La nostra connessione con Israele è più basata sulla cultura che sulla fede". Questa affermazione sottolinea come l'ideologia sionista, che proclama Israele come la patria del popolo ebraico, stia affrontando una sfida crescente da parte di chi cerca libertà e democrazia altrove. 

Come ha osservato Aaron Ciechanover, uno dei principali scienziati israeliani, molti di coloro che lasciano Israele "vogliono vivere in un paese libero e democratico". Questa dichiarazione mette in luce le contraddizioni interne allo Stato di Israele, che, nonostante si presenti come una democrazia, spinge alcuni dei suoi cittadini a cercare altrove valori che sembrano mancare nella società israeliana. 

Antoine Raffoul, commentando il rapporto, aggiunge una nota di contrapposizione storica: "Anche sotto il più orribile genocidio dei tempi moderni, non troverete un solo palestinese – specialmente a Gaza – che voglia lasciare la sua terra chiamata Palestina". Questa dichiarazione pone l'accento sul contrasto tra le dinamiche migratorie israeliane e l'attaccamento dei palestinesi alla propria terra, evidenziando ulteriormente la complessità del contesto mediorientale. 

Mentre gli israeliani scelgono di abbandonare Israele in cerca di migliori opportunità, i palestinesi continuano a resistere, nonostante decenni di occupazione e oppressione. Questo paradosso solleva interrogativi profondi sulle promesse del sionismo e sul suo impatto sulle vite di entrambi i popoli. 

Il rapporto conclude sottolineando che gli israeliani all'estero rappresentano una componente sempre più rilevante della diaspora ebraica globale. La loro presenza, in particolare in Europa, sta crescendo rapidamente, segnalando una nuova fase di trasformazione culturale e identitaria.  

Tuttavia, questa crescita mette in luce le contraddizioni dell'ideologia sionista. Se Israele è davvero la "patria" del popolo ebraico, perché così tanti israeliani scelgono di lasciarla? E se il sionismo è un movimento nazionalista, perché non riesce a creare un senso di appartenenza duraturo per i suoi cittadini? 

In ultima analisi possiamo affermare che il rapporto offre uno spaccato critico sulle dinamiche migratorie israeliane, ponendo importanti interrogativi sul futuro del sionismo e sulle relazioni tra Israele e le comunità ebraiche all'estero. La diaspora israeliana, lungi dall'essere un'anomalia, potrebbe rappresentare il fallimento stesso del progetto sionista. 

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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