DeepSeek R1 e la Quarta rivoluzione industriale

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DeepSeek R1 e la Quarta rivoluzione industriale



di Leonardo Sinigaglia per l'AntiDiplomatico


Questa settimana si è aperta con l’evaporazione di centinaia di miliardi di dollari  nella borsa di Wall Street per il crollo di Nvidia, Microsoft, Alphabet, OpenAI, Meta, Tesla e ogni soggetto quotato collegato al settore digitale, avvenuto poco dopo l’annuncio da parte di Donald Trump del progetto “Star Gate”, con la promessa di investire 500 miliardi di dollari nel settore dell’intelligenza artificiale. Il motivo è quello che Marc Andreessen, capitalista statunitense  fondatore di Netscape Communications, ha definito il “momento Sputnik1” dell'intelligenza artificiale: il lancio di DeepSeek R1, assistente virtuale basato sulla cosiddetta “intelligenza artificiale” da parte dell’omonima impresa cinese fondata da Lian Wenfeng. DeepSeek ha capacità in molti campi superiori rispetto a quelle offerte dai prodotti della concorrenza statunitense, in primis ChatGPT, i suoi costi di produzione sono stati limitatissimi, pochi milioni di dollari, e utilizza due migliaia i chip, decine di volte meno rispetto a quelli utilizzati da OpenAI. Si tratta inoltre di un modello open source, disponibile a chiunque sia interessato a usarlo come base di partenza per nuovi progetti. Questo insieme di fattori ha fatto scoppiare la bolla gonfiatasi grazie ai progetti occidentali legati all’intelligenza artificiale, spazzati via da un prodotto cinese realizzato a discapito delle terribili sanzioni imposte da Trump e Biden e con risorse contenute, e che per la sua natura “aperta” promette di negare significativi profitti al capitale americano. 

DeepSeek mostra come l’ottimizzazione delle risorse e il sapiente sfruttamento dei talenti disponibili possano competere, e vincere, con i progetti-vanità, l’anarchia del mercato e i finanziamente multi-miliardari messi in campo da Washington anche nel campo dell’intelligenza artificiale. Si tratta inoltre di un utile strumento facilmente impiegabile dai paesi del Sud del Mondo per sostenere i propri processi di sviluppo, contribuendo a strappare dalle mani dell’Occidente collettivo il monopolio sulla “quarta rivoluzione industriale”.

Non si deve pensare al lancio di questo “Sputnik” dell’intelligenza artificiale come a un prodotto del caso: si tratta del frutto dell’impulso dato dalla Repubblica Popolare Cinese allo sviluppo delle “tecnologie dirompenti” caratteristiche del processo di rivoluzione delle forze produttive ora in atto atto non solo a portare avanti la modernizzazione del paese, ma a rimuovere l’ostacolo posto allo sviluppo globale dal monopolio della tecnica per decenni detenuto dall’Occidente. Al pari delle precedenti rivoluzioni industriali, anche quella in corso presenta enormi opportunità per lo sviluppo e l’emancipazione materiale dei popoli. Ma, sempre similmente a quanto già avvenuto, questo carattere progressivo può essere minato in maniera più o meno significativa dalla direzionalità politica a cui sarà sottomessa la quarta rivoluzione industriale. Le sue contraddizioni potranno infatti essere gestite in due modi opposti: a favore degli interessi delle masse oppure a favore di quelli del capitale monopolistico finanziario. Da ciò dipende in che misura questo nuovo grande sviluppo quantitativo e qualitativo delle forze produttive sarà fonte d’emancipazione, e quanto invece porterà a nuove forme di sfruttamento e subordinazione. Non si tratta di una questione tecnica, come potrebbero pensare certi “neo-luddisti”, ma eminentemente politica. La rottura del monopolio statunitense, ossia di quell’entità che rappresenta completamente e integralmente gli interessi del capitale monopolistico finanziario, sulle tecnologie dirompenti, già ottenuta dalla RPC grazie ai grandi progressi in campo dell’IoT, del 5G, dell’intelligenza artificiale, delle biotecnologie, della robotica e della fusione nucleare, è il requisito essenziale affinché i benefici della quarta rivoluzione industriale non siano appannaggio della classe parassitaria e decadente di cui l’egemonia di Washington è espressione, ma diventino patrimonio dell’intera Umanità, favorendo un nuovo ciclo di sviluppo in un momento cruciale della Storia, capace non solo di garantire una distribuzione più equa delle risorse e una ridefinizione dei rapporti internazionali sulla base dell’eguaglianza, ma una più significativa ridefinizione dei rapporti sociali.

Se è assolutamente giusto temere ciò che la quarta rivoluzione industriale può portare se diretta dalle forze dell’imperialismo, ossia nuove forme di oppressione, sfruttamento e controllo, non si deve cadere in errore e confondere lo strumento con la mano che lo impugna. Lo sviluppo delle forze produttive, per quanto abbia portato alla nascita di nuove contraddizioni, ha permesso una progressiva emancipazione dell’Umanità dal bisogno e dall’incertezza. La “libertà” dell’uomo primigenio, apparentemente negata dallo sviluppo tecnico, è in realtà superata dialetticamente, e con ciò recuperata in una forma più alta: una libertà più alta, materialmente creativa, resa possibile proprio dallo sviluppo delle forze produttive, e, con esse, della società. Il rigetto del ruolo rivoluzionario e progressivo dello sviluppo delle forze produttive non porta se non a un rafforzamento del potere di classe delle forze reazionarie. Se si vuole evitare che la quarta rivoluzione industriale sia l’opportunità per i vari oligarchi occidentali, da Gates a Musk, da Fink a Bezos, per difendere e ampliare il proprio potere grazie a disegni “distopici”, non si deve perdere tempo a “combattere” un processo di sviluppo oggettivo e inevitabile, ma lottare affinché esso sia sottomesso agli interessi della stragrande maggioranza dell’Umanità, e controllato politicamente dalle masse lavoratrici.

Il ruolo rivoluzionario delle forze produttive

Con “forze produttive” si intende la totalità degli elementi che contribuiscono all’attività produttiva degli esseri umani, dalla forza lavoro agli strumenti del lavoro, passando per le conoscenze tecniche che rendono il lavoro possibile. Stalin, nel 1952, definì le forze produttive come i “rapporti della società con le forze naturali, lottando contro le quali si procura i beni materiali indispensabili”2. Esse sono indissolubilmente legati ai rapporti di produzione,  in quanto, come detto da Marx, “[n]ella produzione gli uomini non influiscono solo sulla natura, ma reciprocamente tra loro. Essi non possono produrre senza associarsi in qualche modo per svolgere un’attività comune per scambiare reciprocamente la loro attività. Per produrre, gli uomini entrano in determinati legami e rapporti e solo per il tramite di questi legami e rapporti sociali esiste il loro rapporto con la natura, ha luogo la produzione”3.

E’ lo sviluppo delle forze produttive a costruire la base per ogni cambiamento dei rapporti di produzione, e quindi di ogni trasformazione sociale. Dato un certo livello di sviluppo delle forze produttive, una società assume determinate caratteristiche dipendenti dal suo percorso storico, e che non sono in nessun modo frutto unicamente della volontà dei suoi membri. Ciò significa che, per quanto possano coesistere diversi modelli sociali, è, per esempio, impensabile l’avvento del mercato come elemento rilevante dell’economia senza la divisione del lavoro e la produzione di beni destinati ad essere scambiati. Similmente, l’economia capitalista, la cui origine è rintracciabile tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna, non sarebbe potuta comparire millenni prima, magari sulla base di un’intuizione, ma ha visto come necessario alla sua formazione un certo livello di sviluppo delle forze produttive sorte dal commercio, dall’artigianato e dalla manifattura cresciute all’ombra del sistema feudale. Ciò significa che non vi possono essere Stato liberale, società democratico-borghese, globalizzazione e organizzazione politica delle masse lavoratrici senza un particolare sviluppo delle forze produttive.

Le forze produttive rappresentano quindi il fattore chiave dello sviluppo sociale. A tal riguardo così si espresse il presidente Jiang Zemin nel 2001, in occasione dell’80° anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese: “Le forze produttive sono il fattore più dinamico e rivoluzionario. Sono la forza decisiva dello sviluppo sociale. Le contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione e tra la base economica e la sovrastruttura costituiscono la contraddizione sociale di base. Il movimento di questa contraddizione di base determina la direzione dei cambiamenti nella natura della società e la direzione dello sviluppo sociale, economico, politico e culturale. La differenza fondamentale tra socialismo e capitalismo risiede nella differenza tra i loro rapporti di produzione e le loro sovrastrutture. L'instaurazione e il costante miglioramento del sistema socialista hanno aperto un'ampia strada alla liberazione e allo sviluppo delle forze produttive sociali del nostro Paese. Tutti i rapporti di produzione e le sovrastrutture, indipendentemente dalla loro natura, si sviluppano con lo sviluppo delle forze produttive. Se non  riescono a stare al passo con le esigenze dello sviluppo delle forze produttive e quindi diventano ostacoli allo sviluppo delle forze produttive e al progresso sociale, sicuramente si verificheranno aggiustamenti e cambiamenti”4. E’ infatti riscontrabile come, dopo un periodo più o meno lungo, a seguito dello sviluppo delle forze produttive i rapporti di produzione vengano modificati progressivamente in modo conseguente, prima come effetto della stessa espansione economica, poi attraverso l’azione politica delle classi progressive, arrivate a contendere e a strappare il potere alle classi reazionarie. 

Il ruolo essenziale dello sviluppo delle forze produttive ai fini della trasformazione sociale non è mai stato messo in dubbio da chi ha portato avanti processi rivoluzionari volti al superamento della società capitalista e alla costruzione dello Stato socialista. E’ il grado di sviluppo delle forze produttive, e non i desideri degli individui, a permettere il passaggio da una forma sociale inferiore a una superiore, è in funzione dello sviluppo delle forze produttive che variano i rapporti di produzione e quelli tra base e sovrastruttura.
Nel dicembre del 1922 Vladimir Lenin disse “Il comunismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese”5, ad indicare come la costruzione del socialismo richiedesse il mantenimento della dittatura del proletariato e lo sviluppo impetuoso delle forze produttive. Stalin gli fece eco, affermando come “sarebbe stupido pensare che il socialismo possa essere edificato sulla base della miseria e delle privazioni, sulla base della riduzione dei bisogni personali e dell’abbassamento del tenore di vita degli uomini al livello dei poveri”, in quanto “il socialismo può essere edificato soltanto sulla base di un impetuoso sviluppo delle forze produttive della società”, sulla base “di una vita agiata dei lavoratori e sulla base di un impetuoso sviluppo della cultura”6. Decenni dopo Deng Xiaoping notò come “socialismo povero” fosse una contraddizione in termini: “La povertà non è socialismo. Per portare avanti il socialismo, un socialismo che sia superiore al capitalismo è imperativo prima di tutto eliminare la povertà”7. Lo sviluppo delle forze produttive è il compito essenziale del socialismo, con la superiorità di questo sistema che si manifesta proprio attraverso “una crescita delle forze produttive più rapida e vasta che sotto il sistema capitalista”8. D’altronde, già nel Manifesto del Partito Comunista, Marx ed Engels avevano sostenuto l’idea che il proletariato dovesse prendere “a poco a poco” il controllo del capitale borghese, e aumentare “con la massima rapidità possibile la massa delle forze produttive”9. 

L’essenza del socialismo non è altro che “la liberazione e lo sviluppo delle forze produttive, l’eliminazione dello sfruttamento e della polarizzazione, con l’obiettivo di raggiungere la prosperità comune”10. Fermo restando il riconoscimento del “carattere duplice” dei rapporti di produzione capitalistici notato da Marx, “che nelle stesse relazioni in cui si produce ricchezza si produce anche povertà; che negli stessi rapporti in cui c'è sviluppo delle forze produttive, c'è anche una forza che produce repressione”11, la questione che si pone non è certamente quella di un’impossibile e reazionaria lotta contro lo sviluppo delle forze produttive, ma anzi di una lotta per la direzione di questo sviluppo, che è la condizione per la costruzione del socialismo. E’ insensato identificare nella quarta rivoluzione industriale un nemico da combattere, come sarebbe farlo con  i cicli lunari, le reazioni chimiche o il passaggio del tempo. Non si tratta di un “progetto” promosso da particolari individui, ma di un processo di trasformazione oggettivo che, al pari delle precedenti rivoluzioni industriali, procede in maniera “inconsapevole”, senza la necessità che tutti i soggetti coinvolti siano coscienti della portata delle proprie azioni.


Da cosa deriva una rivoluzione industriale e le implicazioni globali della quarta rivoluzione industriale

Una caratteristica del modo di produzione capitalistico che lo separa nettamente da tutte le forme economiche precedenti è la sua capacità poderosa di sviluppare le forze produttive. I risultati ottenuti dall’umanità negli ultimi 500 anni dal punto di vista materiale superano di numerose volte quelli ottenuti nelle decine di migliaia di anni precedenti. Come si spiega questa particolarità? Essa è data da quello che è l’imperativo fondamentale del capitalista, ovvero l’estrazione del plusvalore. Il valore di una merce è inversamente proporzionale alla produttività del lavoro che la produce. Da ciò ne consegue che anche il valore dei mezzi di sussistenza,  che stabilisce quello della forza-lavoro, diminuisce all’aumentare della produttività. Questo significa che il valore della forza-lavoro può essere prodotto in una frazione minore della giornata lavorativa, che vedrà una parte crescente di essa dedicata alla creazione del plusvalore a favore del capitalista. Questa dinamica spiega perché il capitale abbia “una spinta immanente, e una tendenza costante, ad aumentare la produttività del lavoro, al fine di rendere meno costose le merci e, rendendo meno costose le merci, rendere meno costoso lo stesso lavoratore”12, e quindi a sviluppare le forze produttive. 

Ciò porta sia miglioramenti nei processi produttivi attraverso la razionalizzazione di questi, sia all’introduzione di nuovi processi di produzione grazie all’introduzione di nuove tecnologie. Ciò non può mai essere confinato a un singolo settore: una rivoluzione nel modo di produzione di un settore si estende rapidamente a ogni altro settore grazie alle applicazioni creative delle nuove tecniche e per la necessità di sostenere una maggior capacità produttiva con un più grande volume di risorse e strumenti necessari alla produzione. Ciò si estende rapidamente anche ai mezzi di comunicazione e di trasporto, portando a una rivoluzione generale delle condizioni del lavoro come processo sociale. Ciò porta  a una ridefinizione della divisione del lavoro non solo  in seno a una singola nazione, ma a livello internazionale. La prima rivoluzione industriale creò i mezzi e pose le necessità per la divisione del mondo tra un piccolo numero di paesi industrializzati e un vasto numero di paesi agricoli politicamente subordinati. La seconda rivoluzione industriale, connessa alla maturazione del sistema imperialista, ha rafforzato questa gerarchizzazione tramite una più generale spoliazione delle risorse dei paesi subordinati, colonizzati dal capitale finanziario dei paesi più sviluppati. Un tardivo processo di industrializzazione ha in seguito attraversato anche i paesi arretrati e subordinati al sistema imperialista, ma ciò fu, nella maggior parte dei casi, collegato proprio alle esigenze di questo, con la delocalizzazione delle attività produttive a maggior intensità di lavoro al di fuori del centro capitalista e l’avvento della terza rivoluzione industriale. Non si deve però pensare che lo sviluppo produttivo e tecnico sia associabile unicamente a un rafforzamento delle gerarchie del sistema capitalista nelle sue diverse fasi: proprio questo sviluppo pone le basi per una diversa configurazione dei rapporti di forza sociali e internazionali. Le prime rivoluzioni industriali hanno reso materialmente possibile la presa del potere da parte della classe lavoratrice e la costruzione dello Stato socialista, come dimostrano i fatti successivi all’ottobre del 1917. Il campo socialista e antimperialista ha offerto al mondo un diverso paradigma di sviluppo per il quale i frutti della modernizzazione non sarebbero andati unicamente all’oligarchia finanziaria internazionale e ai suoi vassalli locali, ma a beneficio delle masse. La rottura del monopolio tecnologico occidentale costruito con la terza rivoluzione industriale rende la fruizione di questo paradigma alternativo di sviluppo un’opportunità concreta in misura ancora maggiore rispetto al secolo passato. Non è un caso che l’incipiente quarta rivoluzione industriale sia connessa a livello internazionale a una ridefinizione dei rapporti economici e politici all’insegna di una maggiore eguaglianza e partecipazione, ossia alla costruzione di un mondo multipolare  e di una comunità umana dal futuro condiviso.

Attorno alla quarta rivoluzione industriale i settori più lungimiranti delle classi dirigenti occidentali hanno sviluppato riflessioni fondate sul riconoscimento della necessità di mantenere saldamente il controllo politico del processo trasformativo, sfruttandolo per aumentare i il proprio controllo sulla vita politica degli Stati, da ristrutturare in senso tecnocratico e sui quali scaricare gli inevitabili costi sociali di una rivoluzione industriale attraversata avendo come bussola unicamente gli interessi dei detentori dei grandi capitali. Tra tutti i promotori di simili visioni è sicuramente necessario citare quello che fino a poco tempo fa è stato il volto del World Economic Forum, Klaus Schwab13. 

La realtà delle cose rischia però di essere ben diversa dalle speranze del WEF. Il capitale monopolistico finanziario, l’oligarchia di cui è espressione il regime egemonico di Washington, a causa delle sue crescenti contraddizioni, troverà sempre più difficoltà nel portare avanti la quarta rivoluzione industriale e nel raccoglierne i frutti. Come dimostrano i fatti legati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie dirompenti da parte della Cina socialista, solo il potere politico della classe lavoratrice permette di mettere in campo la programmazione strategica necessaria e di mobilitare in maniera razionale le risorse disponibili, e solo il potere politico della classe lavoratrice permette di affrontare le contraddizioni portare dalla quarta rivoluzione industriale. Grazie ai decenni di vantaggio tecnologico di cui ha goduto e alla grande disponibilità di capitali, l’Occidente potrà sicuramente avere parte in questa rivoluzione, ma non sarà in grado né di controllarla, né di far fronte a quelle contraddizioni irrisolvibili all’interno del sistema liberal-capitalista. La finanziarizzazione dell’economia e l’affermazione di un’ottica speculativa rendono difficile un’allocazione razionale delle risorse, che inevitabilmente si riversano verso prospettive di guadagno a breve termine, viziate dagli umori della borsa e dall’apparenza dei progetti più che dalla loro sostanza. I necessari investimenti pubblici non possono quindi che inserirsi in questo scenario, evaporando senza un reale impiego produttivo e gravando su una situazione debitoria sempre più insostenibile. Questa, peraltro, accomuna lo Stato alle aziende private, dipendenti da un costante flusso di credito reso possibile solo grazie ai capitali attratti proprio grazie alla promessa di rapidi profitti di natura speculativa. 
La questione del debito pubblico si pone anche in relazione alle conseguenze sociali della quarta rivoluzione industriale. Ogni rivoluzione industriale ha portato alla sostituzione di un certo numero di lavoratori da parte dei macchinari, dai primi telai meccanici sino ai contemporanei processi di digitalizzazione e automazione. Nonostante questa “distruzione” di posti di lavoro, l’aumento della produttività non ha visto sul medio-lungo periodo la diminuzione del numero di occupati, che anzi è andato aumentando parallelamente alla popolazione umana. Nel 1991, a fronte di 5,3 miliardi di esseri umani, vi erano 2,23 miliardi di lavoratori occupati; nel 2023, con 8 miliardi di esseri umani, vi erano 3.5 miliardi di lavoratori occupati. Al netto del peso relativo dei vari settori, ciò è reso possibile dallo sviluppo complessivo dell’economia. Come notato da Karl Marx in relazione agli effetti del primo sviluppo industriale: “Tuttavia, nonostante la massa di braccia effettivamente spostate e virtualmente sostituite dalle macchine, possiamo capire come gli operai delle fabbriche, grazie alla costruzione di altre fabbriche e all'ampliamento di quelle vecchie in un determinato settore, possano diventare più numerosi degli operai manifatturieri e degli artigiani che sono stati allontanati; il loro numero cresce grazie alla costruzione di altre fabbriche o all'ampliamento di quelle vecchie in un determinato settore”14. Non è quindi la semplice innovazione a garantire l’aumento degli occupati, ma l’unione di questa allo sviluppo complessivo della produzione, che necessariamente deve essere accompagnata da un incremento della capacità da parte della popolazione di appropriarsi dei suoi frutti e, in cosa resa possibile da un sistema socialista, dalla diminuzione dell’orario di lavoro con conseguente conquista di tempo libero da parte dei lavoratori. Gli Stati sottomessi all’egemonia di Washington mostrano chiaramente segni di stagnazione in certi casi pluridecennale, e gli stessi Stati Uniti riescono a sostenere una crescita apparente solo e soltanto grazie ai capitali sottratti ai propri paesi-satellite grazie all’uso del dollaro e alle pressioni politiche. Interi paesi, in primis l’Italia, hanno conosciuto processi di deindustrializzazione marcati, difficilmente reversibili. Le preoccupazioni espresse anche dal World Economic Forum, espressione di settori apicali del capitalismo internazionale, riguardo alle difficoltà di riassorbimento dei lavoratori resi disoccupati dalla quarta rivoluzione industriale sono più che giustificate, essendo qualsiasi prospettiva di sviluppo reale semplicemente incompatibile col sistema egemonico statunitense. Quote crescenti della forza lavoro sono impiegate in settori non produttivi, che, oltre a non generare ricchezza, sono sempre più caratterizzati da condizioni precarie e da retribuzioni ai limiti della sussistenza. L’unione di ciò alla spirale inflazionistica, a cui contribuisce non per parte trascurabile il crescente numero di dollari messi in circolazione per sostenere il deficit statunitense, rende sempre più necessario la creazione di sussidi statali atti a permettere i consumi, e sostenere quindi il mercato. Non è infatti un caso che proprio gli ambienti del WEF abbiano a più riprese sostenuto l’idea di un “reddito di base universale”. Misure del genere presenterebbero non poche complessità in un clima segnato dalla necessità da parte dell’egemonia statunitense di aumentare significativamente le spese militari per reggere il confronto strategico con i propri avversari e di un indebitamento già insostenibile. La privatizzazione dei servizi sociali, delle assicurazioni e dei sistemi pensionistici, se da un lato libera risorse per lo Stato, dall’altro contribuisce proprio al clima di incertezza e precarietà che rende necessaria l’introduzione di sussidi pubblici.

La quarta rivoluzione industriale rafforza la portata rivoluzionaria della questione dello sviluppo già individuata anni fa da Samir Amin, una questione che porta inevitabilmente alla messa in discussione delle gerarchie internazionali e quindi dei rapporti di classe per come esistono nella realtà: “Il concetto di sviluppo è un concetto critico del capitalismo realmente esistente, l’obiettivo di una costruzione nazionale autocentrata resta imprescindibile, la messa in opera di strategie al servizio di questo obiettivo esige lo sganciamento. Con quest’ultimo termine intendo non una assurda autarchia, ma la sintesi di una lunga perifrasi che ho formulato nei termini seguenti: la soggezione dei rapporti internazionali alle esigenze della costruzione interna e non a rovescio”15.

E’ errato vedere la questione dello sviluppo come appannaggio esclusivo dei “paesi emergenti” o del Sud del Mondo. In realtà essa si pone con sempre più impellenza anche nei paesi parte del blocco occidentale, afflitti da anni di stagnazione economica e mai come ora saccheggiati apertamente dal cosiddetto “alleato” statunitense. In particolare per l’Italia, parte dei PIIGS, la quarta rivoluzione industriale potrebbe essere l’occasione per riscoprire una dimensione dell’economia nazionale che vada oltre al settore turistico. Ovviamente ciò sarebbe possibile solo in un contesto di ritrovata indipendenza nazionale, il che presupporrebbe come minimo una modifica dei rapporti di forza a netto vantaggio delle classi lavoratrici. 

Al momento è la Repubblica Popolare Cinese a guidare la quarta rivoluzione industriale, così come la prima era stata guidata dall’Inghilterra e la seconda e la terza dagli Stati Uniti. Nella PRC questa si fonda sul concetto di “nuove forze produttive di qualità” proposto da Xi Jinping, e di cui DeepSeek non è che l’ultima manifestazione.


Le nuove forze produttive di qualità

Il concetto di nuove forze produttive di qualità proposto dal presidente Xi Jinping è l’ultimo sviluppo della riflessione marxista sulle forze produttive, e si fonda sulle concrete necessità della Cina giunta a questo particolare stadio nel suo cammino di sviluppo e modernizzazione.
Il 31 gennaio del 2024, parlando a una sessione di studio di gruppo dell’ufficio politico del Comitato Centrale, Xi Jinping ha dedicato un’ampia trattazione al significato e al ruolo delle nuove forze produttive di qualità nello sviluppo del paese: “Il motivo per cui ho proposto il concetto di nuove forze produttive di qualità e ho stabilito il compito di svilupparle è che le forze produttive sono ciò che fondamentalmente guida lo sviluppo della società umana e sono la causa finale di tutti i cambiamenti sociali e politici. Lo sviluppo di alta qualità dovrebbe essere guidato da nuove teorie delle forze produttive, e le nuove forze produttive di qualità sono emerse nella pratica e hanno dato un forte impulso e sostegno allo sviluppo di alta qualità. Dobbiamo concettualizzare le nuove forze produttive di qualità e sviluppare modelli teorici per guidare le nuove iniziative di sviluppo.  [...] In breve, le nuove forze produttive di qualità, in cui l'innovazione svolge un ruolo di primo piano, sono la produttività in una forma avanzata che ha superato il tradizionale modello di crescita economica e il percorso di sviluppo della produttività. Le nuove forze produttive di qualità sono caratterizzate da alta tecnologia, alte prestazioni e alta qualità e sono coerenti con la nostra nuova filosofia di sviluppo”. Lo sviluppo delle nuove forze produttive di qualità pone la questione della corrispondenza di esse con i rapporti di produzione: “I rapporti di produzione devono essere in linea con lo sviluppo delle forze produttive. Per sviluppare nuove forze produttive di qualità, dobbiamo approfondire ulteriormente le riforme a tutto campo e creare un nuovo tipo di rapporti di produzione compatibili con esse”16.

La formulazione del concetto di nuove forze produttive di qualità riflette la realtà sia del contesto nazionale cinese, in cui l’inizio della “nuova era” ha portato all’affermazione dello sviluppo di alta qualità come compito primario per la costruzione di un moderno paese socialista, sia del contesto internazionale, caratterizzato dalla contraddizione tra il crescente desiderio della stragrande maggioranza dell’umanità di sviluppo, pace e cooperazione e le pratiche parassitarie, bellicose e unilaterali dell’egemonia statunitense. Esso non solo preannuncia un nuovo, più grande, salto in avanti delle capacità produttive umane, ma pone concretamente le basi per una forma avanzata di socialismo: “Le forze produttive di nuova qualità sono il risultato dell'evoluzione delle forze produttive e del progresso tecnologico; rappresentano un potenziamento rivoluzionario della capacità dell'umanità di migliorare la natura in modo olistico e fondamentale. In quanto elementi di base delle forze produttive di nuova qualità, i lavoratori, gli strumenti del lavoro e i soggetti del lavoro sono inevitabilmente dotati di un nuovo significato. Consideriamo i lavoratori, che rappresentano l'elemento più proattivo delle forze produttive. I più adatti alle forze produttive di nuova qualità non saranno i lavoratori ordinari che si impegnano in un semplice lavoro ripetitivo, ma il personale con competenze di importanza strategica che è in grado di creare effettivamente forze produttive di nuova qualità e il personale applicato che ha familiarità con i mezzi di produzione di nuova qualità. [...] Le nuove forze produttive di qualità si riflettono quindi nello sviluppo innovativo non solo dei vari fattori produttivi, ma anche dei mezzi con cui questi fattori si combinano. Man mano che i lavoratori, gli strumenti di lavoro e i soggetti del lavoro che compongono le forze produttive di nuova qualità continuano a evolversi, anche la loro combinazione ottimale subirà cambiamenti rivoluzionari, dando origine a nuove industrie, nuove forme di business e nuovi modelli, nonché a nuovi motori e forze per spingere la crescita economica.

I rapporti di produzione sono determinati e reattivi alle forze produttive. Pertanto, l'emergere di nuove forze produttive di qualità porterà inevitabilmente a cambiamenti rivoluzionari nei rapporti di produzione e richiederà la creazione di un nuovo insieme di relazioni ben adattate che serviranno a proteggere, liberare e sviluppare queste forze. Riformando e migliorando costantemente i rapporti di produzione e stabilendo nuovi modelli, sistemi e meccanismi di gestione, forniremo importanti garanzie per il continuo sviluppo di nuove forze produttive di qualità”17.

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1 https://x.com/pmarca/status/1883640142591853011
2
I. Stalin, Problemi economici del socialismo nell’URSS, Roma, Editori Riuniti, 1953, p. 83.
3
K. Marx, Lavoro salariato e capitale, in K. Marx, F. Engels, Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1966, pp. 340-341.
4
Jiang Zemin, Speech at the Meeting Celebrating the 80th Anniversary of the Founding of the Communist Party of China, 1 luglio 2001, testo al collegamento http://www.china.org.cn/e-speech/a.htm
5 V. Lenin, Rapporto del Comitato esecutivo centrale e del Consiglio dei Commissari del Popolo sulla politica estera e interna, in Economia della Rivoluzione,Il Saggiatore, Milano, 2017,  p. 317.
6 J. Stalin, Rapporto al XVII Congresso del PC(b)US, in Questioni del leninismo, Roma, Edizioni Rinascita, 1952, p. 577
7 Deng Xiaoping, To Uphold Socialism We Must Eliminate Poverty, in Selected Works, Vol. III, Beijing, Foreign Languages Press, 1994, p. 223.
8 Deng Xiaoping, Building a Socialism With a Specifically Chinese Character 
9 K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, in Opere Scelte, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 312.
10 Deng Xiaoping, Excerpts from Talks Given in Wuchang, Shenzhen, Zhuhai and Shanghai, in Selected Works, Vol. III, Beijing, Foreign Languages Press, 1994, pp. 363.
11 K. Marx, The Poverty of Philosophy, Beijing, Foreign Languages Press, 1977, p. 113.
12 K. Marx, Capital, Vol. I, Londra, Penguin Books, 1990, p. 437.
13
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-quarta_rivoluzione_industriale_al_grande_reset_il_pensiero_di_karl_schwab_e_la_crisi_del_capitalismo/39602_48284/
14 K. Marx, Capital, Vol. I, Londra, Penguin Books, 1990, p. 557.
15 Samir Amin, Il capitalismo del nuovo millennio, Milano, Edizioni Punto Rosso, 2001, p. 102.
16 http://en.qstheory.cn/2024-11/12/c_1044189.htm
17 http://en.qstheory.cn/2024-05/29/c_991191.htm


 

 

 

 

 

Leonardo Sinigaglia

Leonardo Sinigaglia

Nato a Genova il 24 maggio 1999, si è laureato in Storia all'università della stessa città nel 2022. Militante politico, ha partecipato e collaborato a numerose iniziative sia a livello cittadino che nazionale.

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