Dove porta la "Grand Strategy" di Washington per evitare la bancarotta

Dove porta la "Grand Strategy" di Washington per evitare la bancarotta

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di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

Sin dall'inizio del conflitto bellico scoppiato in Ucraina nel 2022 abbiamo sostenuto la tesi che le reali motivazioni della crisi andavano ricercate nello stato dei conti con l'estero degli Stati Uniti e, dunque, nello stato della competitività del suo sistema produttivo nell'agone del mercato globale nato dalle ceneri del Muro di Berlino.

 

Le due colonne del sistema dollarocentrico

 

Le colonne fondamentali del sistema dollarocentrico che ha consentito al “sistema-mondo” di funzionare dalla caduta del Muro di Berlino in avanti - a mio modo di vedere - sono essenzialmente due:

 

1) Gli USA devono avere una dominanza tecnologica sul resto del mondo,

così da poter produrre merci ad alto valore aggiunto lasciando la produzione dei prodotti maturi a basso valore aggiunto al resto del mondo e acquistandoli da questi a basso costo per il proprio mercato interno. Un sistema che consente agli USA di riequilibrare in larga misura l'andamento della bilancia commerciale e del saldo delle Partite Correnti.

Quest'ultima anche in relazione al fatto che gli enormi fondi finanziari di Wall Street acquistano partecipazioni nelle più importanti società in giro per il mondo garantendo al sistema statunitense di avere ogni anno ricchi dividendi che, appunto, aiutano a riequilibrare il saldo delle Partite Correnti. Con il trascorrere dei decenni però, la dominanza tecnologica americana è stata intaccata e poi dei tutto erosa. Certamente la prima scalfittura alla Tecnology Dominance a stelle e strisce fu data dal Giappone che negli anni ottanta del secolo scorso accumulò enormi saldi commerciali positivi nei confronti degli USA, basti pensare al settore delle automobili.

Ma gli USA riuscirono a rintuzzare l'assalto obbligando le economie occidentali avanzate - soprattutto  il Giappone (che è comunque un paese vassallo) - a sottoscrivere i cosiddetti “Accordi del Plaza” che, di fatto, svalutavano il dollaro rilanciando le produzioni americane. Successivamente il problema si è riproposto in maniera ancora più forte; infatti sia in Europa dove, grazie all'introduzione dell'Euro e agli accordi commerciali con la Russia che hanno garantito energia e materie prime a bassissimo costo, sia in Cina (ma anche in Corea del Sud) dove il tumultuoso sviluppo economico, favorito prima dalla migrazione delle imprese e dei capitali occidentali si è presto espanso anche al settore dei prodotti ad alto valore aggiunto; gli USA dunque hanno dovuto affrontare sia l'agguerrita concorrenza europea (soprattutto dei paesi del nord, a partire dalla Germania) che quella della Cina che hanno letteralmente disintegrato ll tessuto produttivo interno statunitense e conseguentemente demolito i conti con l'estero degli USA che hanno accumulato squilibri commerciali e un debito estero ormai insostenibile. Una situazione questa che ha spinto Washington a prendere provvedimenti di portata storica; innanzitutto è stata fatta esplodere la guerra in Ucraina grazie a fratture di tipo etnico e linguistico appositamente fomentate nel corso degli anni che hanno portato ad un conflitto  etnico tra gli ucraini occidentali e orientali.

La finalità di questa guerra in chiave di economia internazionale è facilmente spiegabile: distruggere il cordone ombelicale che legava Russia ed Europa garantendo una competitività enorme sui mercati mondiali alle merci europee che usufruivano di costi energetici particolarmente favorevoli concessi dalla Russia. Allo stesso modo la postura particolarmente aggressiva degli Stati Uniti in Estremo Oriente ha come finalità quella di strangolare la crescita economica cinese magari anche sulla falsariga usata in Europa facendo deflagrare qualche conflitto (basti pensare alla vicenda storica di Taiwan e alle dispute territoriali in corso tra Cina e Filippine).


2) L'altra colonna fondamentale del sistema dollarocentrico è certamente quella del petrodollaro,

ovvero dell'accordo esistente tra Arabia Saudita e Stati Uniti per il quale i primi si impegnano a vendere il proprio petrolio in dollari americani mentre i secondi si impegnano in cambio a difendere (sia diplomaticamente che militarmente se necessario) il trono dei Saud da qualsiasi attacco esterno. E' chiaro che questo accordo ha obbligato tutti i paesi del mondo necessitanti di petrolio saudita ad avere grosse riserve di dollari nella propria banca centrale.

Come si può capire questo accordo storico tra sauditi e statunitensi è un elemento fondamentale dell'egemonia del dollaro, anche perché ben presto tutti i paesi dell'OPEC (ora OPEC + Russia) si sono accodati alla decisione saudita di prezzare il petrolio con la divisa americana sancendo di fatto l'egemonia del dollaro sia come moneta di riserva che come moneta  standard per gli scambi internazionali. Anche su questo pilastro comunque appaiono le prime crepe: molti paesi ormai cercano accordi bilaterali per favorire gli scambi tra paesi con le monete nazionali (i cosiddetti swap tra banche centrali), in particolare ad aver scelto questa strada sono stati i paesi dei BRICS che ormai apertamente rivendicano il diritto di de-dollarizzare le proprie economie. Va detto che anche l'Arabia Saudita ha posto in essere un accordo con la Cina per la vendita del petrolio prezzato in Yuan cinese e il reinvestimento degli Yuan incassati dai sauditi nella stessa economia cinese (sulla falsariga di quanto fanno i sauditi con gli USA da molti decenni).

 

L'Architrave del sistema dollarocentrico

Una volta chiariti quali sono i due pilastri su cui si fonda il dominio del dollaro è necessario soffermarsi su quello che è il meccanismo di funzionamento del sistema. Molto semplicemente, gli USA “allagano” il sistema-mondo dei dollari necessari affinchè tutte le nazioni possano avere la quantità necessaria ai propri commerci e alle proprie riserve. Per compiere questa operazione gli USA accettano di acquistare beni e servizi dal resto del mondo anche a costo di avere uno squilibrio nella bilancia commerciale e nel saldo delle Partite Correnti. Ma come fanno gli USA ad evitare di dover stampare continuativamente nuovi dollari affinché tutti gli anni il mondo possa avere i dollari necessari ai propri commerci? Si tratta di un meccanismo semplice quanto efficace: i paesi con un saldo positivo di bilancia commerciale e di Partite Correnti nei confronti degli USA semplicemente reinvestono i loro capitali in surplus negli USA, e precisamente in quella macchina per la produzione di dollari sintetici che è Wall Street, garantendo così corsi di borsa in perenne rialzo e conseguentemente guadagni per tutti, compresa quella fetta di popolazione americana che investe in borsa e che conseguentemente sostiene i consumi sebbene ormai gli USA hanno un sistema produttivo ridotto ai minimi termini.


Perché il sistema si è definitivamento rotto: la necessità delle guerre per gli Usa

Dopo aver illustrato il meccanismo di funzionamento che ha assicurato il dominio del dollaro nei mercati internazionali dal 1971 in avanti, ovvero da quando Richard Nixon denunciò gli accordi di Bretton Woods sulla convertibilità aurea del dollaro, ora, vediamo di comprendere il motivo dell'attuale crisi monetaria che sta precipitando il mondo in quella che Papa Bergoglio ha definito “guerra mondiale a pezzi” (peraltro dove i pezzi si stanno sempre di più unendo creando un conflitto unico).

Certamente alla base della crisi del dollaro in corso vi è la crisi di Wall Street del 2008 dalla quale gli Stati Uniti non sono più riusciti a risollevarsi almeno a riguardo della competitività del loro sistema produttivo. Tutto questo è facilmente riscontrabile dall'andamento dei conti con l'Estero statunitensi che possono essere sinteticamente (in senso hegeliano) riassunto dall'andamento della grandezza contabile nota con l'acronimo di NIIP (Net International Investment Position).

 

Grafico storico dell'andamento del NIIP USA.fino al 1° Q 2024  - Fonte : Federal Reserve

 

Come si può vedere fino al 2008 - quando esplose la crisi finanziaria - il passivo di questo conto era inferiore ai 3000 miliardi di dollari, una cifra che ritengo fisiologica considerato che gli Stati Uniti devono “esportare” dollari verso il resto del mondo per consentire alle altre nazioni di scambiarsi beni e servizi tra loro usando la divisa americana. Dal 2008 però siamo di fronte ad un fenomeno assolutamente incredibile che testimonia lo sgretolarsi del sistema produttivo americano: il NIIP statunitense è crollato fino alla iperbolica cifra di – 21.281.804 miliardi di dollari. Il che significa che gli USA sono debitori verso il resto del mondo per questa iperbolica cifra.

Una cifra, sia detto chiaro, che comporta il meltdown del sistema finanziario americano sia pubblico che privato, così come avvenne in Argentina, giusto per citare un esempio.

Ma come si è potuto arrivare a tanto? Le teorie sono tante, ma certamente quelle più accreditate sono l'eccessiva aggressività europea (e tedesca in particolare) sui mercati mondiali, dovuta ad una super competitività raggiunta grazie a costi dell'energia bassissimi ottenuti dalla Russia, ovvero la fornitrice dell'Europa di gas, petrolio ed altre materie prime fondamentali. Possiamo dire comunque che le amministrazioni USA, sia quella Democratica di Obama che quella Repubblicana di Trump, hanno sempre visto con il fumo negli occhi gli accordi russo-europei e in più occasione hanno accusato l'EU di slealtà nei loro confronti proprio a causa di questi accordi.

Medesimo discorso va fatto per la Cina, secondo gli USA l'ipercompetitività cinese che ha devastato il sistema produttivo statunitense è dovuta a regole eccessivamente generose concesse a Pechino in ambito di World Trade Organization. Organizzazione questa, con la quale Donald Trump entrò in polemica furibonda minacciando addirittura l'uscita degli Stati Uniti dall'organizzazione.

Va detto, ad onor del vero, che le regole del World Trade Organization che sovraintendono al commercio mondiale sono state scritte e concordate quando la Cina era un paese in via di sviluppo; è dunque evidente che le agevolazioni di cui oggi gode la Cina sono da ridiscutere, considerato che il Celeste Impero non può essere considerato come un paese sottosviluppato.

Il punto è che gli statunitensi, anziché far valere le proprie ragioni in sede diplomatica hanno dato fuoco alle polveri incendiando varie aree di crisi nel mondo con l'intento di ottenere importanti benefici geopolitici ed economici. Certamente sotto questa ottica può essere vista la guerra russo-ucraina che è stata platealmente sobillata da Washington (avete in mente quando Victoria Nuland diceva “Fuck the EU”?) con la finalità di rompere i rapporti commerciali intercorrenti tra Russia ed Europa che hanno garantito un enorme vantaggio competitivo soprattutto ai paesi nordeuropei a partire dalla Germania. E poi come dimenticare il bombardamento del gasdotto North Stream arteria fondamentale che portava il gas russo in Germania e nel cuore dell'Europa? Non abbiamo di certo prove che a demolire questo gasdotto siano stati gli statunitensi (magari per mano dei loro vassalli polacchi o baltici) ma, una cosa è certa, chi ne ha tratto vantaggio è Washington e ciò è particolarmente indicativo. 

Meglio non è andata in Estremo Oriente dove la strategia di assedio della Cina da parte degli Stati Uniti (Pivot to Asia) è in fase di realizzazione: basti pensare alla creazione dell'alleanza nota come AUKUS (Australia – United Kingdom – USA) che è chiaramente in funzione anticinese. Così come, allo stesso modo, lo è il programma di riarmo giapponese e taiwanese. Non solo, oltre alla costruzione delle alleanze, gli USA stanno fomentando dispute territoriali tra paesi loro vassalli e la Cina: innanzitutto mi riferisco a quelle nel Mar Cinese Meridionale che coinvolgono oltre al Celeste Impero anche le Filippine e in secondo luogo Washington sta fomentando in tutti i modi l'indipendenza di Taiwan da Pechino, ovvero di quella che la Cina popolare considera una provincia ribelle ma comunque sempre parte integrante del proprio territorio.

Quello che possiamo dedurre da questa enorme scacchiera che sostanzialmente abbraccia tutta l'Eurasia è che la Grand Strategy di Washington è incentrata sull'obbiettivo di distruggere la competitività europea da un lato (obbiettivo questo ampiamente raggiunto), e quella di tarpare le ali al nuovo blocco antagonista formato da Russia e Cina dall'altro lato, così da guadagnarsi almeno un altro secolo di egemonia, o quantomeno di evitare una bancarotta, altrimenti certa, grazie alla forza delle armi.

Ciò che possiamo dedurre da questa disamina è che la possibile fine del conflitto in corso che Papa Bergoglio ha mirabilmente definito “guerra mondiale a pezzi”, è ben lontana da vedersi. Gli americani continueranno a fomentare scontri con l'obbiettivo di debilitare il blocco antagonista sino-russo, almeno fino a quando non avranno la certezza della loro salvezza finanziaria con un accordo generale che garantisca loro quantomeno la sopravvivenza finanziaria e monetaria e anche una sfera di influenza in un quadro generale di de-globalizzazione (reshoring).

Allo stato attuale, tutto ciò è ben lontano dal venire. Anzi, va detto, che ogni volta che dall'area BRICS+ arriva una dichiarazione sulla creazione di una valuta di conto che sostituisca il dollaro come moneta standard degli scambi internazionali o che si annuncia la costituzione di un sistema dei pagamenti alternativo allo SWIFT. si sta sostanzialmente fomentando la continuazione del conflitto, perchè simili iniziative - al di fuori di un quadro di accordo generale che veda Washington coinvolta equivalgono al lancio di un missile su Wall Street è sulla economia americana ormai esangue come ampiamente dimostrato dal tracollo della sua posizione finanziaria netta.

Chiunque in un simile frangente parli di possibile pace e di possibile grande accordo non ha colto precisamente i termini e i motivi di fondo dello scontro in corso. Siamo ancora davvero ben lontani da una possibile nuova Bretton Woods.

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