Egemonia (4). Dove è finita la classe dirigente europea? - Alberto Bradanini

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Egemonia (4). Dove è finita la classe dirigente europea? - Alberto Bradanini


di Alessandro Bianchi


“Tutto quello che ha riguardato l'Ucraina in questi due anni di guerra può essere ricapitolato in un solo termine: menzogna. Si è trattato di una montagna di falsità costruite a tavolino dai detentori del potere mediatico (che sono poi quelli che dirigono il cosiddetto pilota automatico che adotta quelle decisioni che i volti pensosi dei nostri ministri vorrebbero farci credere essere frutto di loro scelte)”.

Per “Egemonia”, con l’Ambasciatore Bradanini - ex ambasciatore d’Italia a Teheran e Pechino - abbiamo ragionato sulla coscienza attuale delle società europee, sulla macchina della manipolazione che plasma le scelte “di cittadini sprovveduti, ingenuamente persuasi” e, soprattutto, sull’indirizzo intrapreso dal continente con il conflitto ucraino. Come mai è scomparsa la classe dirigente europea? Dove si nascondono le élite della vecchia Europa che dovrebbero difenderne gli interessi strutturali dei loro paesi e del continente?

Nel rispondere l’Ambasciatore sottolinea che una classe dirigente europea come tale (vale a dire unita da coesione che vada oltre i singoli interessi nazionali) non è mai esistita. “Esistono invece ceti dirigenti nazionali, in particolare quelli del direttorio europeo, Germania e Francia, con qualche musicante di contorno, come l’Italia, nella classica posizione del missionario.” Secondo i semidotti (“assai più pericolosi di coloro che con umiltà riconoscono di svolgere altro mestiere”), normalmente fluttuanti tra politica e giornalismo, prosegue Bradanini, si tratta di un destino senza via d’uscita, frutto ineludibile della sconfitta dell’Europa nel secondo conflitto mondiale. “Qualcuno potrebbe semmai indicarci quanti secoli devono trascorrere prima che i paesi europei possano recuperare la loro indipendenza, caratteristica essenziale di ogni statualità che si rispetti”.

Ma la morsa dell’asservimento agli Usa, afferma l’Ambasciatore, non riguarda solo Germania e Italia, ex nazioni nazista e fascista, ma anche tutti gli altri, “Francia compresa, solo formalmente vincitrice della guerra. Va detto che essa non ha truppe di altri paesi sul suo territorio e sulla carta mantiene dunque qualche spazio d’autonomia. In realtà il guinzaglio è solo appena un po’ più lungo, perché il potere della Nato-Usa si estende anche sulla Francia. Sono, del resto, lontani i tempi del Gen. De Gaulle, quando nel 1966 espulse la Nato da Parigi, uscendo dal comando militare integrato (pur restando nell’Alleanza Atlantica), dopo aver scoperto che generali americani e francesi stavano tramando contro di lui perché intenzionato a uscire dall’Algeria e troppo disinvolto in politica estera. Dobbiamo aspettare fino al 2009, quando Sarkozy - per partecipare alla divisione della torta dell’ex-Jugoslavia - decide che la Francia deve rientrarvi”.

Per spiegare la ragione essenziale dell’eutanasia della classe dirigente europea, Bradanini cita “il nostro Macchiavelli” secondo cui “uno stato non può dirsi davvero sovrano se vi sono truppe di altri paesi sul suo territorio e se non è padrone della propria moneta”. Per l’Europa dunque (e ancor più per l’Italia) il verdetto è spietato. “La condizione di protettorato Usa, che vale anche per la Germania, spiega perché non abbia reagito in alcun modo all’atto terroristico (la distruzione di una sua cruciale infrastruttura logistica, il Nord Stream) commesso dall’alleato atlantico contro gli interessi tedeschi e di tutta l’Europa." Come affermato da H. Kissinger, del resto: “essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso, ma essere amici degli Stati Uniti è fatale”.

Inizialmente – sottolinea Bradanini - la macchina delle Menzogna aveva persino attribuito la responsabilità di tale sabotaggio alla Russia, “che beninteso lo avrebbe fatto in nome del piacere per l’autodistruzione, annientando una fonte straordinaria di reddito, quando le sarebbe bastato chiudere il rubinetto”. L’acquiescenza di un giornalismo privo di etica e professionalità – agli ordini di chi siede lassù! - si fa gioco di una popolazione indifferente che digerisce ormai i più plateali attacchi alla sua intelligenza.

Vassallaggio e manipolazione mediatica sono centrali nel ragionare di Bradanini. Sulle cause remote e contingenti, e sugli sviluppi del conflitto in Ucraina “sono disponibili montagne di libri e approfondimenti alternativi, che per inerzia e acquiescenza sono pochi a consultare”. Sia sui temi dell’Ucraina che sulla tragedia di Palestina, il suggerimento dell’Ambasciatore è di evitare giornali e spegnere la TV, “tenendosi alla larga anche dai cosiddetti esperti o santoni della geopolitica, che quando si scava si scoprono quasi sempre sul libro paga del grande fratello”. Quando in TV, prosegue, un noto esperto di tutto attribuisce con disinvoltura all’Iran la responsabilità degli eventi di Gaza, come se Hamas fosse agli ordini ciechi della Repubblica Islamica (senza alcuna prova, beninteso, se non parole in libera uscita da semicolti, notoriamente i peggiori esperti in circolazione), l’impronta della menzogna resta indelebile in milioni di sprovveduti, convinti di aver afferrato un brandello di verità sino ad allora sfuggito all’analisi dei professori da bar. Della macchina della propaganda “che costruisce da zero” Bradanini paventa più di ogni cosa "la rassegnazione di chi ascolta”.

Se l’asservimento all'egemonia americana non è certo nell’interesse dell'Europa, cosa induce le classi dirigenti europee a piegarsi all’alleato-padrone americano? “Inerte davanti ai propositi Usa in Ucraina (almeno in astratto, destrutturare la Russia per acquisirne le immense risorse di cui dispone), l’Europa ha anche consegnato ai padroni del mondo (la finanza di Wall Street e della City) le chiavi del proprio benessere e del proprio futuro. È così che i paesi europei si deindustrializzano, divenendo ormai dipendenti persino su gas e petrolio, che importano dagli Stati Uniti più che qualsiasi altro paese”, argomenta Bradanini.

La guerra in Ucraina, secondo un’altra linea di pensiero, non aveva l’obiettivo di sconfiggere la Russia. Non è credibile che gli Usa pensassero davvero che l’Ucraina (43 mln di abitanti, oggi dieci in meno), potesse sconfiggere la Russia (143 milioni, grande potenza militare con sei mila testate nucleari). Gli obiettivi erano altri. “Questa guerra consente il definitivo asservimento dell’Europa e l’estrazione della sua ricchezza a vantaggio dell’impero Usa, tiene in alto il corso del dollaro, oggi in palese difficoltà, favorisce i profitti energetici e gli eterni produttori di armi, tiene separata la Russia dall’Unione Europea, per evitare si scoprirsi relegati al di là dell’Atlantico, in posizione marginale”. Con la guerra ucraina, la Nato ritrova inoltre una seconda vita e torna a fare la guerra. “La Nato, è bene ricordarlo, è l’aggregazione degli eserciti europei in un’avvilente gabbia di comando agli ordini americani invece che dei governi del continente. Essa avrebbe dovuto sciogliersi nel 1991 insieme al Patto di Varsavia e si sarebbero così evitate le guerre da allora susseguitesi, compresa quella in Ucraina”.

Se uno degli obiettivi del conflitto, sottolinea con lucidità Bradanini, era quello di separare la Russia dall’Europa, allora occorre andare oltre a quanto afferma, ad esempio, un politologo di fama mondiale come J. Mearsheimer secondo il quale “gli Stati Uniti sbagliano nemico, perché il vero sfidante è Pechino, non Mosca, che invece occorrerebbe reclutare nel fronte occidentale in funzione anticinese (il contrario di quanto concepito da Nixon/Kissinger nel 1971-72), impedendo così quella saldatura Cina/Russia, che tanto inquieta l’egemone mondiale”.

In realtà, prosegue Bradanini, e questo non è rilevato da Mearsheimer, gli Usa si sono trovati di fronte a un’alternativa secca, perdere la Russia a favore della Cina o l’Europa a favore della Russia (due poli che si attraggono come calamite). Gli Stati Uniti, dunque, avrebbero scelto il male minore, nel possibile convincimento di riuscire a sconfiggere contemporaneamente sia l’una che l’altra, oltre che il sorgere di quell’embrione che un giorno darà vita a un mondo finalmente plurale”. Va detto che entrambe le posture sono il frutto di una patologia egemonica bellicista che andrebbe abbandonata, se si vuole salvaguardare la vita su questo pianeta. L’analisi del noto economista Usa, Jeffrey Sachs, conclude Bradanini, appare sotto questo profilo più convincente: “gli Stati Uniti - da intendersi come l’oligarchia al potere non certo i 335 milioni di cittadini, oppressi come altri popoli, oltre che politicamente tra i più analfabeti al mondo – dovrebbero rinunciare alla nota hybris di potere e ricchezze, accettando di convivere con il resto del mondo su basi di parità e mutuo rispetto, diventando una nazione normale”.

Poiché in seno alla società americana un tale radicale cambiamento non sembra alle viste, ciò che farà la differenza sarà l’imporsi di un mondo nuovo, composto da un crescente numero di nazioni con economie in crescita e non più disposte a rinunciare a un futuro di libertà e sovranità, mentre in Europa, in cambio di un’umiliante prostrazione, i ceti dirigenti si muovono come zombi, attenti solo ai loro onori, carriere e prebende. “Eppure, più che di materialità, si vive di sogni e ideali. Una vita degna di questo nome, e questo vale sia per gli individui che per le nazioni, si può viverla solo nella posizione eretta!”


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