Elezioni europee. I numeri reali dei partiti fanno impressione
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di Paolo Desogus
Questo è il dato dell'astensione confrontato al voto delle scorse europee. È un numero che fa impressione e che dovrebbe essere oggetto di attenta riflessione. Il 53% di astenuti per delle elezioni nazionali non ha nulla di fisiologico. E anzi, a me pare che indichi in primo luogo una profonda crisi democratica e in secondo luogo un impoverimento politico-culturale tendente al peggioramento, come su di un piano inclinato che ci trascina inesorabilmente verso il basso, verso cioè una condizione che favorisce la legge del più forte e dunque le destre.
Ora, di fronte a questi dati ci si può limitare a fare spallucce e pensare che in fondo si tratti pur sempre dell'espressione di una legittima scelta individuale, quantunque indiretta. Questo è il tipico atteggiamento liberale che ha avuto grande fortuna negli Usa, non esattamente un luogo in cui trionfa la civiltà democratica, considerato il classismo, il razzismo, le profonde differenze sociali, l'uso sregolato delle armi e per l'appunto la scarsa propensione al voto, peraltro scoraggiata dalle stesse istituzioni americane. A me pare che l'astensione debba essere invece studiata, anche per misurare il peso politico del voto al di là delle singole percentuali. Sapere che FdL ha il consenso del 13,5% degli italiani ci dà una percezione molto diverse del suo reale consenso.
A questo proposito ritengo inoltre che il dato dell'astensione debba essere oggetto di approfondimento per analizzare i modi e le forme attraverso cui una parte dell'elettorato è stato escluso dalla discussione politica. In un contesto in cui le differenze tra i partiti contano poco (in politica estera praticamente nulla) e in cui i margini di manovra del parlamento e del governo sono stati ristretti per via dei tanti vincoli esterni (mercati, UE, NATO), il voto è percepito da molti italiani come inutile, incapace di orientare la volontà politica, sottomessa invece a una governance anonima e autoritaria.
L'astensione dovrebbe essere allora oggetto di una riflessione non semplicemente sociologica, ma politica, indirizzata cioè a intervenire sulla crisi democratica e sui rapporti di forza che la determinano. Non bisogna illudersi con sciocchi velleitarismi. Qualsiasi istituzione è sempre condizionata dal contesto storico e da numerose costrizioni, da quelle materiali a quelle geopolitiche. Non si può tuttavia nemmeno pensare di subire deterministicamente la loro influenza, come se fossero un dato di natura. La politica serve anzi proprio a distanziarci da ciò che è considerato fatalisticamente naturale e ovvio.