Euro e Unione Europea. Draghi passa alla devozione mistica
Dice Draghi che per far parte del suo governo si deve considerare non solo l’euro ma anche la gestione della sua crisi “un grande successo dell’Unione”.
Ora, di come in Italia, negli ultimi vent’anni, siano crollati salari, occupazione, risparmio privato, comparto industriale/manifatturiero e, complessivamente, il benessere e la qualità della vita ne abbiamo già parlato centinaia di volte. Esercizio fra l’altro abbastanza futile, perché la reale condizione del Paese sta sotto gli occhi di tutti.
Il vero elefante nella stanza continua ad essere la Grecia. E non è, da parte mia, questione di pedanteria parlare sempre delle stesse cose. Perché della crisi greca e della sua gestione ne ha parlato indirettamente Draghi stesso, dicendo una cazzata colossale (qualcuno la chiamerebbe un’oscena fake news) che nessuno della libera stampa si è premurato di contraddire.
E allora lo faccio io.
Numeri, dati, statistiche e percentuali ufficiali di quella gigantesca catastrofe umanitaria li ho riportati decine e decine di volte e non li ripeterò. Chi vuole verificarli può sempre acquistare Memorandum. Ma pur senza citarli nuovamente, si può affermare senza timore di smentita che il “grande successo” della gestione europea della crisi greca ha prodotto in estrema sintesi e rispetto alla condizione di partenza pre 2008:
- esplosione del debito pubblico e aumento del rapporto deficit/PIL;
- tagli draconiani a sanità, istruzione, trasporti, pensioni, servizi e welfare;
- aumento spropositato di disoccupati, poveri, senza tetto, malati e morti (bambini compresi);
- violenta compressione salariale;
- privatizzazioni massicce con aumento dei prezzi e peggioramento dei servizi;
- deindustrializzazione, calo drammatico della produttività e riconversione orientata al terziario;
- emigrazione di massa di migliaia di giovani laureati e diplomati altamente specializzati e spopolamento di intere aree geografiche;
- saccheggio immobiliare da parte di fondi di investimento estero e radicale trasformazione di interi quartieri e città.
La Grecia, quindi, è stata semplicemente depredata e volontariamente infilata in un tunnel fatto di miseria e disperazione da cui non è ancora uscita. E difficilmente ne uscirà, quantomeno nel breve periodo. Altro che “grande successo”.
Ebbene se anche difronte a una realtà incontrovertibile come la condizione del popolo greco si ha ancora la faccia tosta di continuare a raccontare il contrario, allora diventa evidente che la fedeltà che chiede il presidente del consiglio non è di natura politico/ideologica. Ma dogmatico-religiosa.
Per stare dalla sua parte (e quindi provare a concorrere alla spartizione del potere) bisogna sottomettersi non tanto alla sua persona, ma alla religione di cui egli è sacerdote. Non è più politica, bensì purissimo atto di fede. In nome della quale si può impunemente mistificare la verità storico/economica al punto da stravolgerla completamente. Né più né meno quello che hanno sempre fatto le religioni di massa con la realtà naturale ed empirica.
Ed è questo il vero e più grande pericolo.
Una minaccia che non deriva tanto dagli atti compiuti o ancora da compiere, quanto piuttosto dal fanatismo di questa gente. Condizione che rende di fatto impossibile qualunque tipo di dialogo perché è il loro stesso metodo a porli al di fuori del terreno politico, luogo del confronto e dello scontro ma anche della composizione di interessi divergenti e contrapposti.
Coi fanatici non si può trattare. Li si può soltanto combattere.