FINANCIAL TIMES: «HA RAGIONE LA MMT»
di Thomas Fazi
Un articolo uscito ieri sul blog Alphaville del Financial Times sdogana definitivamente e senza mezzi termini la teoria monetaria moderna (#MMT). Anche su questo, insomma, avevamo ragione noi:
«Non c’è nulla di intrinsecamente socialista per ciò che riguarda il debito pubblico. Un governo può emettere debito per pagare qualunque cosa gli piaccia: per combattere una guerra, per abbassare le tasse, per attutire gli effetti di una recessione. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno sempre emesso debito per pagare per queste cose. I politici dicono che il debito pubblico spiazza gli investimenti privati, che è insostenibile e trasformerà il paese che ne fa uso nell’Argentina, nella Grecia o nel Venezuela. Ma indipendentemente da ciò che dicono, i politici americani finiscono sempre per fare ricorso al debito.
I sostenitori della moderna teoria monetaria sostengono che, per un paese sovrano che dispone della propria valuta, non esiste un livello intrinsecamente insostenibile di debito pubblico, sarebbe a dire che non esiste un livello oltre il quale il paese inizia crollare, che sia il 90 per cento o il 200 per cento del PIL. In qualunque momento il governo può appropriarsi delle risorse che ritiene necessarie per finanziare le sue politiche domestiche, indipendentemente dalle entrate.
Un tradizionalista considererebbe tale politica intrinsecamente inflazionistica, sostenendo che, come per qualunque altra merce, aumentare l’offerta di denaro ne riduce il valore. I sostenitori della teoria monetaria moderna sostengono invece che l’inflazione si verifica solo quando l’economia reale – gli impianti, le macchine, i lavoratori – non sono più in grado di assorbire la spesa del governo. Di conseguenza, la spesa va disaccoppiata dalla tassazione. Un governo può spendere finché non sono impiegate tutte le risorse reali di una economia e ricorrere alle tasse solo per raffreddare l’inflazione, una volta che l’economia raggiunge il suo massimo potenziale.
Noi di FT Alphavile riteniamo che [la teoria monetaria moderna] non sia né marxista, né bislacca. È semplicemente un modo diverso di guardare alla politica fiscale, un modo per descrivere i vincoli reali alla spesa pubblica. A ben vedere, il modo in cui la MMT guarda alla spesa pubblica è molto vicino a come i politici di Washington guardano alla spesa pubblica. Attenzione: non stiamo parlando di ciò che dicono, ma di quello che fanno.
Il Congresso degli Stati Uniti spende regolarmente in deficit per le cose che ritiene importanti. Negli ultimi quarant’anni, ha coperto la propria spesa con le tasse solo per un breve periodo, alla fine degli anni Novanta. … Esattamente come sostiene la teoria monetaria moderna, il Congresso spende finché le risorse reali non scarseggiano [cioè finché non viene raggiunto il limite oltre il quale si genererebbe inflazione]. Quel limite non è mai stato raggiunto negli ultimi due decenni.
Quando Washington vuole qualcosa – combattere una guerra, tagliare le tasse – autorizza la spesa necessaria e basta, senza preoccuparsi delle entrate. Dunque le discussioni sulla necessità di pareggiare il bilancio non riguardano i vincoli finanziari ma le priorità. I programmi ritenuti importanti vengono finanziati, sempre e comunque. I programmi che non sono ritenuti importanti devono essere finanziati con le tasse. Quando qualcuno a Washington dice: «Non possiamo permettercelo» in realtà intende «Non penso che sia importante».
In altre parole, [i politici americani] già seguono le prescrizioni della teoria monetaria moderna, anche se non lo ammettono».
Definitivo direi.