Germania al voto: tutto quello che devi sapere
di Alessandro Borscia
Nella tormentata storia politica della Germania, le elezioni politiche per la formazione dei vari parlamenti tedeschi hanno sempre, o quasi sempre, attirato le attenzioni degli osservatori di tutto il mondo. Quelle indette per la formazione del ventesimo Bundestag – previste per la sola giornata di domenica 26 settembre 2021, con seggi aperti dalle 8:00 alle 18:00 – hanno più di una ragione per risultare, anche all’occhio del comune cittadino, come particolarmente importanti. Innanzitutto, l’eredità politica di Angela Merkel: 16 anni di governo (come Helmut Kohl), un periodo lunghissimo, in cui la Germania è uscita dalle ombre del suo passato e si è riaffacciata sulla scena della politica mondiale.
In secondo luogo, la posta in gioco: in cima all’agenda politica di tutti i maggiori partiti c’è un concetto espresso da un termine molto chiaro: Klimapolitik, ovvero la trasformazione post-fossile del più importante paese industriale d’Europa. Una sfida gigantesca. Sui modi con cui raggiungere l’obiettivo di una Germania ad economia climaticamente “neutrale” e con una società tecnologicamente avanzata, le posizioni delle più importanti forze politiche sono ben identificabili e le differenze evidenti.
Il terzo aspetto riguarda proprio le compagini politiche in campo. Per il cittadino tedesco il sistema elettorale è molto semplice: occorre esprimere due voti, Erststimme und Zweitstimme, primo e secondo voto. Con il primo voto (chiamato anche voto di circoscrizione o voto diretto) si vota per un candidato diretto nella propria circoscrizione. Il candidato con il maggior numero di Erststimmen nel suo collegio elettorale riceve il mandato diretto e va in Parlamento. In questo modo entrano in Bundestag 299 deputati, circa la metà del totale. Gli altri rappresentanti sono scelti con il Zweitstimme, che è il voto decisivo per l’assegnazione dei seggi ai partiti. Con il secondo voto l’elettore sceglie un partito i cui candidati sono compilati su liste statali (Landesliste).
Alle elezioni federali del 26 settembre parteciperanno circa 50 liste, ma i partiti che supereranno lo sbarramento del 5% sono quelli noti: i cristiano democratici della CDU/CSU (Union), i liberali del FDP di Christian Lindner (Freie demokratische Partei), i socialdemocratici dell’SPD, la sinistra di Die Linke, il partito Bündnis 90/Die Grünen (Verdi) presieduto dal duo Baerbock-Habeck e la destra populista e reazionaria di AfD, Alternativa per la Germania, che ha fatto il suo ingresso in Parlamento nel 2017 conquistando il 12,6% dei voti. Qualche speranza ce l’hanno anche i Freie Wähler, gli Elettori Liberi, che alcuni istituti di ricerca danno al 3%.
Tolti gli estremi di AfD e Die Linke, con i quali presumibilmente nessuno stringerà alleanze per governare, questa volta sono in tre a giocarsi il posto di cancelliere federale e una grossa fetta di potere in parlamento: Armin Laschet, candidato dell’Union, Annalena Baerbock, la giovane e risoluta leader dei Verdi, e Olaf Scholz, attuale vicecancelliere, ministro delle Finanze e candidato dell’SPD. Tutti con diverse personalità, programmi, visioni del mondo: «È un segno di vitale pluralismo. Senza pluralismo non c’è democrazia», ha scritto la rivista di cultura politica Cicero in un suo quaderno speciale dedicato alle elezioni 2021.
I sedici anni di guida di Angela Merkel sono stati caratterizzati da ben tre governi (2005-2009, 2013-2017 e 2018-2021) di schwarz-rote Koalition,la coalizione nero-rossa fra Union e socialdemocratici, che non ha fatto altro che spostare la SPD verso il centro, precipitandola negli anni a medio-piccola formazione politica, da grande partito popolare e trasversale che era e aprendo quindi spazi ai Verdi e, a sinistra, a Die Linke. Questo discorso di ridimensionamento dei grandi partiti in un’epoca, come scrive il sociologo tedesco Andreas Reckwitz, di individualismo e «Singularitäten», riguarda anche la CDU. Fra Adenauer, Kohl e Merkel, il grande partito cristiano democratico tedesco ha governato la Repubblica federale per 46 anni. Oggi, a poco più di due settimane dalle elezioni, i sondaggi registrano un calo vertiginoso dell’Union, che sprofonda come mai era accaduto nella sua storia al 19% (sondaggio dell’istituto Forsa pubblicato il 7 settembre 2021). Alla domanda: «Se le elezioni fossero domenica 12 settembre…», posta ai cittadini da un altro istituto di ricerca demoscopica (il Forschungsgruppe Wahlen), la CDU/CSU guadagna qualcosa e ottiene il 22% dei gradimenti, sempre comunque sotto quelli che sembrano essere tornati i rivali della SPD. Questi stabilizzano la tendenza in ascesa al 25%, quota da considerarsi ottima, viste le cifre da cui provengono dopo tre Große Koalitionen all’ombra di Merkel.
La rinascita della SPD, più che per merito dei due presidenti Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans, alla guida del partito dal 6 dicembre 2019, sembra derivare dall’attuale ministro delle Finanze e vicecancelliere Olaf Scholz, che in questi giorni si sta presentando come il candidato più credibile. Questo, se vogliamo credere al portale web demoscopico Statista, che in un’indagine di inizio settembre chiede ai cittadini quanto siano contenti dei propri politici. Dopo Angela Merkel, prima con il 64% del gradimento, c’è proprio Olaf Scholz con il 56% di soddisfatti della sua azione politica, appena sopra a Markus Söder, ministro presidente del Bayern e leader della CSU bavarese. Nella stessa graduatoria Baerbock è al 25% di giudizi positivi, mentre solo il 20% degli interpellati è soddisfatto del lavoro di Armin Laschet.
Fra le gaffe di quest’ultimo e l’inesperienza di Baerbock, che non ha mai ricoperto un ruolo politico ufficiale importante, Scholz è sicuramente il più esperto e navigato. Nato 63 anni fa a Osnabrück, di professione avvocato, si definisce egli stesso un politico pragmatico e affidabile, come ha dichiarato in un’intervista al quotidiano berlinese Der Tagespiegel del 5 settembre 2021. Attivo in politica già dal 1975, è stato ministro del Lavoro durante il primo governo Merkel (2007-2009) e ha ricoperto la carica di sindaco di Amburgo dal 2011 al 2018, mettendo in mostra le sue doti di leader silenzioso, razionale, apparentemente senza emozioni, in questo simile al carattere di Merkel. Tenacia, meticolosità e ricerca del compromesso sono gli altri aspetti in comune con la cancelliera uscente. I due, infatti, hanno sempre lavorato in accordo e con fiducia, specie nel periodo di crisi causato dal Covid-19. I suoi critici lo accusano di presentarsi come un Merkel 2.0, imitando della cancelliera uscente perfino la Raute, il gesto di porre le dita delle mani a losanga. Fra le prime cose che intende fare, se eletto Bundeskanzler, c’è l’aumento del salario minimo a 12 euro all’ora.
Questa la situazione di Scholz, apparentemente positiva e rosea nelle previsioni. Almeno fino alla mattina di giovedì 9 settembre, quando alcuni investigatori della polizia e della procura di Osnabrück (in Bassa Sassonia) hanno perquisito le sedi berlinesi del ministero delle Finanze diretto da Scholz. Motivo delle perquisizioni sono alcune irregolarità riscontrate nell’operato del FIU (Financial Intelligence Unit), la più alta autorità tedesca contro il riciclaggio di denaro. La Procura della Repubblica di Osnabrück accusa la FIU, alle dipendenze del ministero di Scholz, di non aver effettuato tutte le dovute comunicazioni all’autorità giudiziaria. Il procedimento riguarda alcuni collaboratori del FIU e non il Ministero. Tuttavia, considerando che per la valutazione dei documenti sequestrati ci vorrà molto tempo, appare comprensibile la reazione seccata di Olaf Scholz che vuole sapere perché le perquisizioni siano state effettuate proprio a pochi giorni dal voto. Scholz, scrive Cicero, «emana ragione e affidabilità, ma anche grandissima noia». Mr. Verlässlich (Mr. Affidabile), come viene anche chiamato, si è guadagnato i galloni sul campo, ma su di lui occorre perlomeno accennare anche al fatto che nel 2002 era al fianco di Schröder nell’attuazione della riforma del mercato del lavoro conosciuta come Hartz IV, contro la volontà dei sindacati. E guidava il ministero delle Finanze nel giugno 2020, durante il clamoroso crack della Wirecard, la società fornitrice di servizi finanziari che faceva parte dell’indice DAX.
Se l’Union sta precipitando nei sondaggi, la cosa in parte è dovuta anche alla tutt’altro che felice campagna elettorale, almeno finora, del suo candidato Armin Laschet. Hanno fatto il giro del mondo le imbarazzanti immagini dell’attuale ministro presidente della Renania-Vestfalia che, in visita a Erftstadt nelle zone colpite dalla devastante alluvione del 19 luglio, viene sorpreso dalle telecamere mentre ridacchia. In realtà, qualche metro dietro il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier che parlava ai microfoni dei giornalisti davanti alla caserma centrale dei vigili del fuoco di Erftstadt, c’erano molte autorità che partecipavano all’inopportuno motto di spirito, ma, come sottolinea in un articolo il Süddeutsche Zeitung del 4/5 settembre, «solo uno fra questi vuole diventare Bundeskanzler». Laschet si è subito scusato ma la sensazione è che sia troppo tardi. Quando ha preso la presidenza del partito, nel gennaio scorso, l’Union era al 35%. In aprile Armin Laschet diventa ufficialmente il candidato dell’Union e le preferenze calano al 27%, per arrivare, dopo una campagna elettorale che Der Spiegel definisce come «provenire da un altro secolo», agli ultimi rilevamenti che danno la CDU/CSU al 21-22%. Laschet è un politico navigato, ma al momento sembra essere il candidato perdente. Tuttavia, la volatilità e l’instabilità del sistema politico tedesco in questi giorni preelettorali – i dati di circa un mese fa dicevano che la SPD era sotto l’Union di 5 punti, mentre nelle ultime rilevazioni è sopra di 5 punti percentuali- potrebbero aiutare Laschet. Molti si chiedono dove sarebbe l’Union nei sondaggi, se avesse avuto Markus Söder come candidato Bundeskanzler.
Anche per i Grüne del duo Annalena Baerbock-Robert Habeck le previsioni ad aprile erano addirittura entusiasmanti, vicino al 30%. Oggi, invece, i sondaggi ridimensionano il partito ecologista intorno al 17%. Molto del favore per i Verdi è andato perduto in seguito all’inesperienza della giovane candidata Baerbock, della quale l’opinione pubblica è venuta a sapere di alcune inesattezze nel suo curriculum e anche di un’accusa di plagio, per aver copiato parti del suo libro.
Ma la ragione principale per la quale queste elezioni federali risultano così importanti, tanto da spingere il Süddeutsche Zeitung a scrivere che questa «è una delle elezioni più complicate nella storia del paese», è sicuramente la frammentazione dell’intero scenario politico tedesco. «L’appiattimento dei partiti di centro su un più/meno 22 per cento. La caduta pressoché inarrestabile dell’Union, l’ottovolante dei Verdi, la SPD come Lazzaro: il sistema politico della Germania è entrato in una centrifuga, si fa largo la paura», scrive Stefan Cornelius, secondo il quale, ma sono in tanti a pensarlo, il 26 settembre 2021 segnerà una data storica per la politica tedesca e «niente sarà più come prima».
Le elezioni in ballo, in effetti sono due: la prima è quella del 26 settembre, a cui prenderanno parte i cittadini, che si conclude alle 18 di domenica, e l’altra inizia immediatamente dopo, appena chiude l’ultimo seggio elettorale. A questa consultazione i cittadini non parteciperanno, anzi, magari vorrebbero sapere qualcosa in più su cosa si sta già tramando dietro le quinte, scrive il SZ. Nessuno sa quando ci sarà la conclusione di questo secondo atto, l’elezione del cancelliere o della cancelliera, nessun algoritmo può prevederlo. La fatidica questione di questi giorni, ovvero: «Chi sia in grado di governare con chi», comincerà a prendere concretezza solo a partire dalla mattina di lunedì 27 settembre.
Oggi, nella grande incertezza e preoccupazione del clima preelettorale, l’arcobaleno delle probabili coalizioni assume proporzioni importanti. Se togliamo le due alleanze formate da due partiti, proprio per mancanza di massa elettorale per raggiungere il 50%, rimangono realisticamente cinque possibili soluzioni. Si presentano secondo la modalità in uso qui in Germania di associare un colore ad ogni singolo partito, per formare quindi diverse “bandiere”. Le due con le più alte probabilità di successo sono la coalizione Deutschland, ovvero l’alleanza fra Union, SPD e FDP: nero-rosso-giallo, e Kenia, che è come sopra ma con i Verdi al posto dei liberali: nero-rosso-verde. C’è poi la coalizione Ampel, semaforo, formata da SPD, Verdi, FDP, e infine Jamaica (nero-verde-giallo), Union e FDP con i Grüne. Naturalmente, l’ordine dei colori sarà deciso dal voto e avrà un peso relativo importante nel governare. Se ognuna di queste quattro coalizioni può essere definita come altamente probabile, soprattutto le prime due, c’è anche una quinta alleanza (rot-rot-grün) che però è solamente possibile, ed è quella fra SPD, Linke e Verdi. Ciò che rende solo teoricamente possibile questa soluzione è soprattutto la posizione di Die Linke nelle questioni di politica estera.
I programmi elettorali dei partiti, a parte i Verdi, su molti punti e per molti versi si somigliano. Sulla Klimapolitik, Union e SPD intendono raggiungere la neutralità climatica (emissioni nette di anidride carbonica pari a zero) nel 2045, la FDP nel 2050. Per Verdi e Linke, invece, sono necessarie un’accelerazione e un rafforzamento delle misure politiche nella lotta contro la crisi. Barebock ha promesso investimenti nelle infrastrutture per 50 miliardi di euro all’anno. AfD nega il fattore antropico della crisi del clima e vede l’obiettivo dell’impatto zero del carbonio, con la conseguente trasformazione della società, come una minaccia alla libertà.
Un altro tema che sta in cima alla lista delle preoccupazioni dei tedeschi, come rivela un sondaggio pubblicato su Der Tagesspiegel il 10 settembre scorso, è l’aumento delle tasse a causa dei danni provocati dalla pandemia: Union e FDP rifiutano gli aumenti, mentre SPD, Linke e Verdi vorrebbero invece un maggiore aggravio sui redditi più alti. Nella politica finanziaria, sul tema delle pensioni e nelle politiche abitative SPD e Verdi sembrano avere molte cose in comune.
Un altro timore rilevato dalle indagini demoscopiche è quello del rincaro del costo della vita. Solo al quarto posto il tema dell’immigrazione, preceduto dalla preoccupazione dei tedeschi di far fronte con le loro tasse alla crisi del debito nell’Unione Europea. Armin Laschet ha dichiarato che reintrodurrà al più presto lo Schuldenbremse (il pareggio di bilancio). In politica estera, per i tre candidati valgono delle condizioni, prime fra tutte quella di un impegno con la Nato e la cooperazione transatlantica. Questo è il maggiore ostacolo alla formazione di una coalizione SPD-Verdi e Linke, e questo è anche il punto su cui Laschet attacca l’avversario Scholz.
È quello che è successo durante il secondo dei tre appuntamenti televisivi di sfide preelettorali con i tre candidati a confronto (das Triell), andato in scena domenica 12 settembre negli studi berlinesi della televisione nazionale ARD/ZDF, davanti agli occhi di quasi 30 milioni di telespettatori. Laschet, che in questi ultimi giorni sta cercando disperatamente di recuperare la sua immagine (grazie anche al supporto di una squadra di esperti, colpevolmente creata troppo tardi), cambia tattica e va all’assalto di Scholz, su tutti i fronti (i risultati del primo sondaggio blitz effettuato da Infratest/Dimap dopo la sfida televisiva dicono che Scholz è piaciuto al 41% dei telespettatori, mentre Laschet e Baerbock sono più lontani, rispettivamente al 27 e 25 percento). I media rilanciano l’impressione che il candidato dell’Union abbia trovato la strategia adatta per la battaglia elettorale. Gli ultimi sondaggi a due settimane dal voto non evidenziano grandi spostamenti: i due (ex) grandi partiti popolari mantengono le posizioni, con la SPD ferma al 25% e l’Union che oscilla fra il 21/22 percento. Per quanto riguarda gli altri partiti, le previsioni indicano i Verdi al 17%, AfD e FDP appaiati all’11%, e Linke ad un pericoloso 6%. Gli altri partiti minori raggiungono insieme il nove percento. Elevato il numero degli indecisi e delle indecise, come mostra un’indagine Allensbach, pubblicata dal Frankfurter Allgemeinen Zeitung: solo il 60% di chi ha diritto al voto sa quale candidato votare. E poi ci sono tutti quelli che non vogliono andare a votare.
Quasi certamente, ma chissà, per Laschet è tardi, ma quantomeno sta contribuendo a evitare il crollo verticale della CDU, cosa che trasformerebbe profondamente il sistema politico della Germania, e non solo.