Gideon Levy - La barbarie di addossare ad Hamas la tragedia di Gaza
Il 14 dicembre, una corrispondente della CNN, Clarissa Ward, ha fatto un reportage di Gaza. Un evento in sé: è la prima volta che la più importante Tv americana manda un suo corrispondente a documentare quanto si sta consumando nella Striscia. Sintomo di una nuova sensibilità nell’Impero, che potrebbe essere foriera di sviluppi o soffocata.
Gaza: la colpa? Solo di Hamas…
Il servizio ha ovviamente destato un certo scalpore in Israele, uso a ben altro trattamento da parte dei media mainstream USA. Molto interessante quanto scrive in proposito Gideon Levy su Haaretz.
Dopo aver salutato con gratitudine il reportage della CNN, che ha “aperto una finestra sull’inferno” di Gaza, Levy riferisce il commento postato su X di Breaking the Silence, movimento israeliano che si oppone all’occupazione dei territori palestinesi: “Non distogliere lo sguardo”.
Quindi annota con sconcerto il commento dell’autorevole cronista israeliano Ben Caspit – persona “moderata e rispettabile” – all’invito di cui sopra: “Perché dovremmo guardare? Onestamente, hanno guadagnato il loro inferno. Non ho un briciolo di empatia.” Caspit, annota Levy, è il “portavoce del mainstream israeliano”.
“Ottomila bambini sono responsabili della propria morte; – commenta Levy – 20.000 persone sono responsabili della propria morte; 2 milioni di persone hanno causato il proprio sradicamento […] Dopo il 7 ottobre [l’attacco di Hamas ndr], si possono incolpare 10.000 bambini e neonati per la propria morte senza che Israele abbia nemmeno il minimo accenno di una qualche responsabilità o colpevolezza. Nell’Israele post-7 ottobre ci si può sentire irreprensibili solo perché a commettere per primo le atrocità è stato Hamas”.
“Un paese giace in rovina e tutti i suoi abitanti vivono in un inferno e chi ha causato questo inferno non ha nessuna colpa, nemmeno un po’, nemmeno una qualche corresponsabilità con Hamas. La narrativa mainstream israeliana non ha nemmeno un briciolo di empatia per i bambini amputati mostrata nel coraggioso e orribile reportage di Clarissa Ward da un ospedale di Rafah”.
“Che gli siano amputati gli arti, che i bambini muoiano, che tutti gli abitanti di Gaza periscano, che soffochino all’inferno, non sono affari nostri. Loro, e solo loro, sono responsabili delle proprie disgrazie. Caspit ha capito qualcosa: la vittima è responsabile della sua tragedia”.
“Mettiamo da parte la questione del senso di colpa e delle responsabilità, – queste ricadono tutte su Hamas, per nulla su Israele, i cui soldati e piloti si scatenano senza freni a Gaza – noi non c’entriamo nulla, l’importante è che non ci sentiamo in colpa per niente di quanto sta accadendo”.
“Ma mettendo da parte tutto ciò per un momento, ci vuole un incredibile grado di ottusità, crudeltà e persino di barbarie per non provare almeno un po’ di empatia per i bambini che muoiono sul pavimento di un ospedale, per un padre che piange sul corpo di suo figlio, per un neonato ricoperto della polvere della sua casa appena bombardata, che cerca invano qualcuno al mondo, per tanta gente che vive da due mesi nel terrore, nella disperazione e senza aver più nulla; per gli affamati, i malati, i disabili e gli sfollati della Striscia di Gaza”.
Non sono esseri umani…
“Anche l’empatia è vietata agli occhi di Caspit e dei suoi simili, per timore che si insinui un pensiero pericoloso e proibito: che a Gaza vivano degli esseri umani. Questo è qualcosa che gli israeliani non possono affrontare”.
“Si tratta di superare una linea pericolosa, superata la quale possono affacciarsi alla mente pensieri estranei agli israeliani riguardo a quanto in là sia lecito spingersi per una giusta causa; su ciò che è consentito e, soprattutto, su ciò che è vietato in qualsiasi circostanza”.
“Ci sono cose che sono vietate in ogni circostanza. L’uccisione di 8.000 bambini in due mesi, per esempio. Caspit e i suoi vogliono soltanto tifare per l’eroico esercito, senza però vedere quel che fa”.
“L’umanità è vietata, siamo israeliani. Quando si verifica un terremoto in qualsiasi parte del mondo inviamo aiuti e siamo orgogliosi di noi stessi, ma le uccisioni di massa a Gaza non sono affari nostri. Questo è il modo in cui funziona la moralità di Israele. Ha lo scopo di consentire a Caspit […] di sentirsi bene con se stesso nei confronti di Gaza”.
Quindi Levy accenna a un suo recente intervento in una conferenza internazionale tenutasi a Istanbul, durante la quale “non mi sono mai vergognato così tanto di essere israeliano come quando ho guardato le immagini di Gaza”; e riferisce gli insulti ricevuti successivamente dai suoi concittadini per quelle parole.
“Tuttavia, la distanza tra i liquami che scorrono verso di me e le parole apparentemente rispettabili di Caspit è minore di quanto si possa immaginare. Non c’è differenza tra l’odio per gli arabi e la loro disumanizzazione, espressa nel linguaggio volgare e inarticolato dei miei interlocutori e i concetti ben articolati di Caspit”.
“Sia l’Israele più basso che le élite hanno perso ogni parvenza umana. Questo è un motivo sufficiente per vergognarsi di essere israeliani”. Generalizzare è sempre errato, come dimostra peraltro lo stesso Levy col suo scritto. Ma l’intemerata del pluripremiato cronista di Haaretz resta una testimonianza di rara umanità, oggi bene tanto prezioso quanto aggredito dalla barbarie in corso.