Gilet gialli: una rivolta dalle grandi potenzialità progressive
di Alessandro Pascale - Marx XXI
Lorenzo Battisti ha già fatto per Marx21 una completa e dettagliata analisi del movimento dei “gilets gialli”. Alcune considerazioni sul suo pezzo e più in generale sulla situazione francese, oltre che sulle sue possibili implicazioni per l'Italia:
1) Non è ancora chiara la genesi delle proteste francesi. La storia del movimento operaio e della lotta di classe spinge a ritenere difficile, seppur non impossibile, che esse siano totalmente spontanee. Finché non si dispongono di nuovi elementi si può esprimere il dubbio che lo scoppio di quella che in altri contesti avremmo chiamato “una rivoluzione colorata” non sia totalmente casuale.
Ci si può e deve domandare se tale esplosione sociale sia da mettere in collegamento con la fase di particolare debolezza delle relazioni internazionali tra UE (cioè asse franco-tedesco) e USA. Gli sviluppi recenti del conflitto tra USA e Cina, specie sulla “questione Huawei”, sembrerebbero escludere tale possibilità, dato che sia la Francia che la Germania hanno finora tenuto una certa ostilità nei confronti alla Belt and Road Initiative. Ciononostante i motivi ulteriori di tensione tra USA e Francia non mancano e non è totalmente da escludere un intervento politico “esterno”, una cabina di regia finora rimasta occulta, capace di contribuire ad accendere la scintilla che ha fatto esplodere il malessere sociale del popolo francese.
2) C'è da sperare che Battisti non abbia ragione nel suo giudizio pessimistico sulla possibilità per le sinistre francesi di conquistare l'egemonia del movimento. C'è da sperare che ci sia ancora spazio per un ruolo politico da protagonista svolto da la France Insoumise e dalla CGT, finora tenute ai margini dei processi organizzativi e decisionali. Il PCF difficilmente sarà invece in grado di intervenire proficuamente, vista la crisi interna all'organizzazione, che sta avviando l'iter congressuale con un profondo dibattito interno sulle strategie politiche di lungo termine.
3) Al di là di ogni dubbio la piattaforma dei 41 punti espressa dal movimento esplicita che la rivolta ha grandi potenzialità progressive. Il programma espresso è, per quanto piccolo-borghese (e in questo molto simile al M5S nostrano) potenzialmente disgregatore del carattere imperialista della Francia, e quindi destabilizzante anche per l'UE. Lo scollamento tra piccola e grande borghesia in Occidente è una caratteristica sempre più marcata degli anni del “neoliberismo”, accentuata dal decennio successivo alla crisi capitalistica del 2007-08. Tale scollamento si manifesta nel conflitto generalizzato tra capitalismo finanziario e capitalismo produttivo, diventato la contraddizione principale per la gran parte delle classi popolari. Non è ancora diffusa la consapevolezza che la vera contraddizione sia tra capitalismo e socialismo. È al momento dominante l'idea che il capitalismo attuale non funzioni ma che esso possa essere migliorato con una serie di riforme strutturali tese a riacquistare almeno una parte della sovranità nazionale e popolare. Il fatto che il 70% dei francesi appoggi la protesta, così come il fatto che da Sarkozy in poi ci sia stato un consenso imbarazzante per ogni presidente francese (di qualsiasi colore politico fosse) succedutosi, mostra chiaramente come la gran parte del popolo abbia preso coscienza che ci sono degli errori di sistema e che serva un nuovo ordine sociale. Quanto questa esigenza possa radicalizzarsi dipenderà dalla capacità di intervento politico che avranno le sinistre anticapitaliste. Sarà importante anche vedere l'evoluzione dell'approccio della Le Pen alla questione. Il Governo, da parte sua, ha capito i rischi che corre e ha accettato di dialogare, iniziando a fare concessioni moderate, nell'ovvio tentativo di dividere il movimento recuperandone le parti più moderate.
4) In che modo la rivolta francese influenza l'Italia? Quale dovrebbe essere il ruolo dei comunisti in questo contesto? I comunisti allo stato attuale dovrebbero sostenere tale rivolta, dando rilievo agli aspetti più progressivi della piattaforma dei 41 punti, cercando di incalzare soprattutto le ali più progressiste (quindi M5S) del Governo Conte sulla necessità di un distacco da UE e NATO, entrambe viventi una profonda crisi di egemonia e di gestione politica dell'esistente. Occorre allo stesso tempo diffondere tra le persone “normali” non politicizzate i contenuti di questa piattaforma, che per quanto borghesi (eppure “radicali”), sono per lo più molto avanzati rispetto al regime sociale attuale, e possono diventare tema di dibattito politico anche nel nostro Paese, dove anche le più timide riforme vengono bloccate dall'oligarchia di Bruxelles. Ci sarebbe lo spazio per i comunisti, se adeguatamente organizzati, per promuovere manifestazioni contro la politica di austerità dell'Europa, presentando una piattaforma simile a quella francese. Una piattaforma relativamente moderata, una sorta di “programma minimo” che sarebbe rafforzato dal collegamento con una realtà concreta assai prossima a noi. Perché accontentarsi di un programma minimo e non di uno massimo?
C'è evidentemente una grande differenza tra il contesto francese e quello italiano, dove occorre prendere atto dell'ampio consenso popolare verso l'esecutivo attuale. Lo scontro in atto con Bruxelles, se perso, porterà verosimilmente una diminuzione del prestigio di cui dispone attualmente il Governo Conte, il che apre spazi di manovra politica per le forze comuniste che hanno la possibilità di criticare la politica interna inadeguata e insufficiente. I comunisti hanno però al contempo anche il dovere di infilarsi nelle contraddizioni esistenti, provando a costruire un movimento popolare di supporto a radicali provvedimenti sociali e a una politica estera più coraggiosa e utile. Il tutto negli interessi non solo delle classi lavoratrici ma anche della piccola e media borghesia. Questo blocco sociale, già costituito nel sostegno all'attuale Governo, si è sempre più impoverito negli ultimi decenni, ed è oggi il potenziale agente rivoluzionario anche nel nostro Paese, qualora le sue rivendicazioni venissero frustrate anche dai partiti a cui ha concesso la propria fiducia. Il movimento comunista italiano deve aver chiaro gli obiettivi strategici di fondo: l'uscita dell'Italia dalle strutture imperialiste della NATO e dell'UE, ma deve anche tracciare una tattica adeguata per raggiungere tale obiettivo ultimo: le questioni della sovranità nazionale e popolare sono oggi al centro del dibattito pubblico e costituiscono le rivendicazioni storiche naturali dei comunisti. Se l'organizzazione del Partito comunista deve essere prioritariamente rivolta alla classe lavoratrice, il tema del consenso prevede un'ottica più ampia: un programma minimo e la ricerca di un blocco sociale più ampio sono temi politici fondamentali che occorre affrontare per riuscire a costruire le premesse della direzione politica di un movimento che oggi non c'è ancora, ma che potrebbe esplodere in un futuro non molto remoto anche in Italia.