I colloqui segreti con la Russia e la cocaina alla Casa Bianca
PICCOLE NOTE
Il 6 luglio la NBC news ha dato notizia di una serie di colloqui riservati tra alcuni autorevoli politologi americani e alti funzionari russi, ai quali ha partecipato, in un’occasione, anche il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
Colloqui sulla guerra ucraina, in particolare sul “destino del territorio controllato dalla Russia che l’Ucraina potrebbe non liberare più, e sulla ricerca di una difficile base di trattativa diplomatica che possa risultare accettabile da entrambe le parti”.
I colloqui segreti
Per la parte americana hanno partecipato Richard Haass, presidente uscente del Council on Foreign Relations, Charles Kupchan e Thomas Graham – che hanno rivestito incarichi di rilievo nel Dipartimento di Stato e in altre agenzie di sicurezza nazionale – e l’ex funzionario del Pentagono Mary Beth Long.
Tali colloqui sono stati comunicati all’amministrazione Usa, che però non vi ha preso parte (ma non ha nemmeno impedito che avvenissero). In passato avevamo riferito alcuni articoli di Foreign Affaires a firma di Haass che spiegavano proprio l’importanza, in una guerra, di avviare colloqui con la parte avversa mentre ancora risulta assordante il rumore delle sciabole.
Come avvenne per la guerra di Corea, si tratta di una fase preliminare rilevante per poter avviare a tempo debito dei veri e propri colloqui di pace (l’idea di Haass, e non solo sua, è quella di arrivare a una pace sul modello coreano).
Nel riferire lo scoop della NBC e l’importanza di quanto avvenuto, Responsibile Statecraft ricorda come il 30 giugno il Washington Post abbia riportato la notizia “del viaggio segreto in Ucraina del direttore della CIA William Burns del mese scorso, durante il quale l’ex vice Segretario di stato ha discusso di possibili piani per un endgame con i funzionari a Kiev”.
Questo il titolo dell’articolo di RS: “Washington può negarlo, ma sembra che qualcuno voglia parlare con la Russia”. Per inciso, lo scoop della NBC ha lo scopo di rendere più difficile la prosecuzione dei colloqui di cui sopra, ai quali è indispensabile la riservatezza.
Resta, però, che al di là delle spinte sempre più folli per proseguire la guerra, ultima la fornitura delle bombe a grappolo a Kiev, qualche barlume di lucidità ancora alligna nell’establishment Usa.
Bombe di cocaina
Per quanto riguarda le bombe a grappolo, ieri Biden ha spiegato il perché della sua “difficile” decisione e del suo ripensamento sul tema (infatti, ha resistito a lungo alle pressioni in tal senso).
Perché che possono essere rinvenuti, più che nelle parole del presidente, in quanto avvenuto in questi giorni. Anzitutto la drammatizzazione della guerra, con l’Ucraina che minacciava un attacco alla centrale atomica di Zaporizhzhia (ovviamente attribuendo l’intenzione ai russi, che l’avrebbero minata). Un’emergenza da ieri sparita dai radar, presumibilmente come parte dell’accordo con i neocon sulle munizioni a grappolo (ma tornerà).
In realtà, Biden sembrava poter sostenere tale pressione, tanto che i media Usa fino al giorno prima continuavano a riferire la sua opposizione all’invio dei micidiali ordigni. Una resistenza facilitata dal fatto che l’Agenzia per l’energia atomica aveva smentito ripetutamente e in maniera decisa le accuse di Kiev contro i russi.
Ma poi è arrivato il rinvenimento della cocaina alla Casa Bianca, da cui la capitolazione del presidente. Un’inchiesta sulla vicenda, infatti, rischiava di trascinare il figlio Hunter in un altro scandalo (tra l’altro, era appena uscito da un favorevole patteggiamento con la giustizia per frode fiscale). E lui sarebbe finito nella polvere.
Da qui il cedimento del re travicello che poco può fare (l’inchiesta sulla cocaina non avrà luogo…). Così le bombe a grappolo arriveranno alle forze ucraine, almeno parte di esse, ché tante verranno distrutte dai russi prima che arrivino al fronte (e le loro submunizioni inesplose resteranno nel territorio controllato da Kiev).
Tali ordigni uccideranno di certo un maggior numero di russi (e di ucraini, sia militari che civili), ma non cambieranno le sorti della guerra, come le altre armi magiche inviate in precedenza. Infatti, non sembra che possano mutare l’attuale situazione di stallo, dal momento che, anche se le forze ucraine riuscissero a sfondare il fronte, i loro soldati salteranno in aria sulle mine inesplose come i loro nemici.
In una guerra ci sono circostanze macroscopiche che ne determinano l’andamento nonostante l’impegno profuso da chi è svantaggiato e destinato a perdere (a meno di eventi macroscopici nuovi, nel caso ucraino un intervento diretto della NATO). Le bombe a grappolo furono usate in maniera massiva in Vietnam. Ma gli Stati Uniti persero lo stesso.
Resta, quindi, l’ennesima, inutile, ulteriore escalation. Di escalation in escalation si arriverà all’atomica? Domanda che i media tentano in tutti i modi di eludere, ma che va posta perché questa follia deve finire.