I primi (importanti) scricchiolii dell'economia tedesca
Di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico
Lo scorso giugno, il ministro delle Finanze Christian Lindner espresse una previsione piuttosto pessimistica circa l’appesantimento degli oneri debitori a carico della Germania per il 2023, dovuto all’inasprimento delle fiammate inflazionistiche (le più intense dallo shock petrolifero del 1973) verificatasi a partire dall’estate 2021 – da decenni la Germania emette titoli di Stato caratterizzati da rendimenti legati all’andamento dell’inflazione. A suo avviso, gli interessi debitori avrebbero potuto raggiungere la soglia critica dei 30 miliardi di euro annui, per effetto della sinergia negativa generata dalla combinazione tra aumento dei prezzi, innalzamento dei tassi ad opera della Banca Centrale Europea (Bce) ed espansione tendenziale del debito pubblico. La complessità della congiuntura, aggiunse Lindner, imponeva all’esecutivo tedesco di adottare decisioni difficili e piuttosto impopolari, a partire dalla sospensione del sostegno pubblico accordato all’economia nazionale durante la crisi pandemica e dal ripristino delle misure costituzionali funzionali al contenimento del debito.
Secondo i calcoli formulati dagli specialisti in forza al Ministero delle Finanze all’interno di un apposito rapporto, per il 2023 il governo sarebbe stato chiamato ad accantonare 7,6 miliardi di euro per provvedere al rimborso dei titoli legati all’andamento dell’inflazione, con un incremento di 3 miliardi rispetto al 2022 e di quasi 7 miliardi rispetto al 2021. Il documento evidenzia inoltre che, a fronte di un ammontare complessivo di obbligazioni indicizzate emesse dal governo pari a circa 65 miliardi (5% del debito pubblico tedesco), il loro servizio avrebbe assorbito qualcosa come il 25% dei pagamenti versati complessivamente da Berlino in interessi. I principali beneficiari sono stati identificati dagli economisti del Ministero delle Finanze tedesco nelle banche, nelle compagnie assicurative e nei fondi d’investimento maggiormente coinvolti nell’acquisto di questo genere di titoli, che con l’aumentare dell’inflazione hanno assicurato rendimenti in fortissima crescita.
A pochi mesi di distanza, la situazione si è rivelata di gran lunga peggiore rispetto alle previsioni. L’impatto devastante della crisi energetica, caratterizzata da un incremento forsennato dei prezzi degli idrocarburi accompagnato da un drastico aumento dell’incertezza per quanto riguarda gli approvvigionamenti ascrivibile al sabotaggio dei gasdotti Nord Stream-1 e Nord Stream-2, ha spinto il governo a rivedere al rialzo le stime circa l’entità del nuovo debito da mettere a bilancio per il 2023 che erano state formulate durante la scorsa estate, portandole da 17,2 a 45,6 miliardi di euro. Fiumi di denaro da assommare ai 300 miliardi approvati lo scorso novembre dal Bundestag ma non iscritti a bilancio, destinati a finanziare il riarmo dell’esercito e un gigantesco programma di stabilizzazione economica. Il piano implicava – tra le altre cose – il calmieramento del prezzo di gas ed elettricità, necessario anzitutto a mitigare un impatto dell’inflazione su famiglie e imprese rivelatosi più distruttivo rispetto a quanto vaticinato da Berlino. Lo si evince anzitutto dalla caduta verticale – ai livelli più bassi dal 2020 – registrata dall’export nel settore automobilistico, surclassato dai costruttori giapponesi e prossimo a subire uno scavalcamento ad opera dei produttori cinesi, e secondariamente dal “riorientamento” strategico di Tesla. La società fondata da Elon Musk ha infatti apportato notevoli correzioni ai propri piani di investimento originali, implicanti lo spostamento di alcune fasi specifiche di fabbricazione di batterie per auto elettriche dalla regione del Brandeburgo al Nevada, dove i vantaggi assicurati costituiti dai minori costi degli energia si coniugano a quelli garantiti dagli incentivi previsti dall’Inflation Reduction Act. Soltanto nel 2020, Musk aveva dichiarato che lo stabilimento di Berlino si sarebbe affermato come la più grande fabbrica di batterie al mondo.
Ma non è tutto. L’ammontare degli interessi sul debito dovrebbe salire a circa 40 miliardi di euro, e non a 30 miliardi come previsto lo scorso giugno, come ha recentemente ammesso lo stesso Lindner. Fondi, ha scritto il ministro sul suo profilo Twitter, da sottrarre ad altre finalità strategiche quali istruzione, digitalizzazione e investimenti nella protezione del clima. «Ha quindi senso impegnarsi per una riduzione del debito», ha concluso Lindner. Il quale ha comunque tenuto a specificare che il governo terrà fede all’impegno di incrementare l’assistenza all’Ucraina e di potenziare le forze armate.