I veri golpisti
La bassezza del dibattito pubblico attorno alla possibile crisi di governo non sorprende di certo: da anni, ormai, siamo abituati ad un livello della discussione che non sarebbe probabilmente tollerato nemmeno nella più periferica e malfamata delle osterie, nemmeno negli ambienti più triviali e suburbani (che poi sono i migliori, a pensarci).
In Senato, ieri, ne abbiamo sentite di tutti i colori: a superarsi probabilmente ancora una volta Renzi, dal basso del suo 2% giustamente preoccupato dall’eventuale confronto con gli elettori, si è permesso di paragonare quanto accadeva e accade con quanto successo in Sri Lanka. La crisi (eventuale) del governo Draghi fatta passare per una specie di golpe, per una specie di colpo di stato: tutto sommato non è paradossale, in effetti è perfettamente coerente con l’idea di “democrazia” che questa classe dirigente concepisce. La logica è la medesima che di Draghi ne ha visto l’insediamento, non molto diversa da quella che a Palazzo Chigi ci ha posto Mario Monti: due alfieri scelti da una regia elaborata al Colle, nell’interesse della finanza internazionale.
Ancora una volta l’informazione non si smentisce: i talk continuano a riproporre ossessivamente la stessa narrazione dei fatti. I nemici della democrazia festeggerebbero, secondo il racconto di questi patetici giullari, nel vedere in difficoltà il governo nei bastioni dell’occidente evoluto. Basterebbe porre domande semplici, elementari per chiunque, smascherando l’insopportabile ipocrisia di un ragionamento che di logico non custodisce assolutamente nulla: cosa c’è di tanto sconvolgente per una democrazia nel mettere in crisi un esecutivo, laddove esso non goda più della fiducia delle forze parlamentari?
La crisi del governo, invece e a dispetto di quanto si prova ad intortare alla (e dalla) sinistrucola tanto quanto alla (e dalla) destrucola, è di per sé la prova che un minimo di democrazia parlamentare ancora esista in questo paese malridotto.
Eppure nessuno si sconvolge quando determinate chiavi di lettura vengono coralmente imposte: tu salti sul divano, ti aspetti che qualcuno esploda inorridito, e invece nulla: assisti al teatrino di un manipolo di babbei che, chi falsamente chi stoltamente, annuiscono nell’ascoltarsi vicendevolmente con aria spocchiosa e sorridono bonariamente all’obiettivo. E il lavaggio del cervello continua, coerente più che mai.
Coerente, si: perché perfettamente in linea con la gestione emergenziale del potere, con l’esercizio straordinario delle funzioni di governo, con una sorta di decretazione d’urgenza in pianta stabile. La nuova costituzione materiale della nazione: «L’Italia è una repubblica emergenziale fondata sui casi straordinari di necessità e di urgenza». Una tirannide, in effetti, vestita con gli ipocriti panni della dittatura necessaria.
È chiaro che in questa prospettiva la democrazia non possa che risultare insostenibile: le sue regole, i suoi riti, le sue procedure si rivelerebbero inconciliabili col nuovo fondamento emergenziale della repubblica e dunque, dinanzi alla presunta indifferibilità delle nostre scadenze, una crisi di governo non può che essere presentata come un vero e proprio colpo di stato. La democrazia non è dunque più raccontata come sana, fisiologica del modello costituzionale che ci siamo dati, tutt’altro: è una patologia, un virus, qualcosa da arginare. In effetti non è nuova anche questa: ieri Renzi paragonava la crisi di governo alla rivoluzione francese e per certi aspetti mi appariva come uno di quei nobili al tempo terrorizzati all’idea di perdere i propri privilegi. Anche per loro la democrazia dev’essere stata una bella gatta da pelare.
Ma come per ogni malattia, questa ha per sintomo le elezioni, anche per la nostra esiste una cura, un vaccino, un lockdown: è proprio il governo tecnico.
E la logica è ancora una volta la stessa, nella sua sconcertante e noiosissima banalità: chiunque provi ad avanzare un dubbio, chiunque sostenga la necessità di confrontarsi con gli elettori perché possano conferire un nuovo mandato politico al governo del paese, diviene immediatamente irresponsabile, terrapiattista, novax, putiniano e adesso persino golpista. E chi più ne ha più ne metta.
La verità è drammaticamente speculare e letteralmente opposta a quella presentataci. I veri golpisti sono coloro i quali alimentano una feroce strategia della tensione, coloro i quali nutrono uno squallido terrorismo mediatico a suon di spread e andamento delle borse. Come se gli indici delle piazze d’affari possano rilevare al punto da farci trascurare quelli che, grondanti di sangue e sofferenza, per anni hanno ignorato e disonestamente nascosto all’opinione pubblica: morti e precari sul lavoro, povertà assoluta, discriminazioni sociali insopportabilmente alimentate da politiche avidamente neoliberiste.
L’instabilità di un governo non è affatto espressione sintomatica del malessere di una democrazia, tutt’altro: è la risposta immunitaria che la nostra Costituzione prova a ravvivare per ricordarci ancora una volta chi dovremmo essere e chi siamo stati, cosa è scritto nel nostro contratto sociale. E dopotutto tutto questo terrore non mi pare sia stato manifestato in occasione della fine dei due esecutivi precedenti.
A prescindere dall’opportunismo che certamente si cela dietro le scelte di chi ha deciso di tirare uno sgambetto a Draghi, la fine di questa maledetta e indegna legislatura deve essere guardata con favore da chiunque creda che male al paese, troppo male, è stato fatto e da chi, oggi più che mai, resta convinto dell’esistenza di un’unica vera straordinaria emergenza, alla quale una sola cura è possibile: il recupero della visione costituzionale con l’intento di riportarla al centro delle scelte politiche dell’Italia, in difesa del suo popolo, e prima di tutto della parte più fragile di esso.