I veri “piani di pace” euroatlantici e le reali perdite ucraine

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I veri “piani di pace” euroatlantici e le reali perdite ucraine


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Quantomeno curiosa la coincidenza di tempi tra le tardo-estive assicurazioni sulla ricerca di accordi con la Russia per “la soluzione del conflitto” in Ucraina, che continuano a venire da più parti dello schieramento bellicista ukro-euroatlantico, e le esternazioni di Victoria Nuland su chi possa ascrivere a proprio “merito” il fallimento degli accordi russo-ucraini di Istanbul nel marzo-aprile 2022, quando questi erano pressoché ormai siglati.

Altrettanto curiosa la coincidenza della visita dei due Segretari di stato, USA e Britannico, Antony Blinken e David Lammy, a Kiev USA-GB, quando sul tappeto è la questione delle armi a lunga gittata contro il territorio russo, con la successiva tappa di Blinken a Varsavia, forse a parlare anche delle vie di transito di tali armi.

Ormai da tempo si è costretti a constatare come sia diventata quasi una “legge di natura” la circostanza per cui il gran chiasso sulle “aspirazioni di pace” per l'Ucraina sia un segnale per una prossima escalation nella guerra. La cosa vale tanto che il tam-tam di “pace” venga da Kiev, che dai suoi molto interessati “sostenitori” al là e al di qua dell'Oceano: tutti uniti, a parole e con fantomatici “piani”, nel sostenere che il conflitto debba “cessare in autunno”, termine con il quale potrebbe intendersi, prima delle elezioni USA, proprio il via libera concesso a Kiev a colpire in profondità il territorio russo, con Mosca costretta così ad addivenire alle ukro-euroatlantiche “condizioni di pace”.

Proprio in questi giorni, scrive Elena Murzina su Ukraina.ru, lo Stato Maggiore ucraino e l'Ufficio del presidente si preparano a continuare la “fase calda della guerra” fino al 2027-2028: sono quindi alla ricerca di finanziamenti.

Ma, ovviamente, nulla accade a Kiev che non sia stato deciso fuori dell'Ucraina. Ecco dunque le dichiarazioni, prima di Boris Johnson, poi di Victoria Nuland, a proposito di Istanbul. In cambio di centinaia di migliaia di morti ucraini, afferma ad esempio Oleg Soskin, ex consigliere dell'ex presidente ucraino Leonid Kuchma, all'epoca di Istanbul furono promessi a Zelenskij miliardi di dollari (Soskin valuta il patrimonio personale di Zelenskij in oltre dieci miliardi di dollari) e la permanenza nella carica presidenziale per tutta la durata della guerra. Circostanze confermate dall'ex deputato alla Rada per il Partito radicale, Igor Mosijchuk, che ora chiede immediati colloqui di pace con la Russia perché «la nazione sta morendo e la sovranità è stata svenduta all'esterno».

E dunque: perché proprio ora l'ex vice Segretaria di stato Nuland torna ad ascriversi il “merito” di aver mandato a monte gli accordi di Istanbul? Si tratta di manovre in vista di riposizionamenti interni al potere yankee dopo il prossimo novembre, in modo che, chiunque esca vincitore, il business della guerra continui i propri sanguinari affari? Basti ricordare cosa scrivesse, quasi dieci anni fa, Robert Parry (famoso negli anni '80 per l'indagine “Iran-Contra”), nell'indagine “Affari di famiglia in una guerra senza fine”, a proposito della coppia Nuland-Kagan: «La moglie al Dipartimento di Stato alimenta le guerre; il Dipartimento di Stato chiede grandi acquisti di armi. E, come ricompensa, l'industria militare riconoscente elargisce soldi ai 'teorici' con cui lavora l'altro membro della famiglia Kagan».

E la voce che circola con più insistenza in Ucraina è che anche dietro alla sciagurata avventura ukronazista nella regione di Kursk ci sia proprio la famiglia Nuland-Kagan: le dimissioni di Victoria-fuck-the-EU-Nuland nel marzo scorso non significano affatto la sua completa scomparsa dalla scena ucraina e dalle “decisioni” adottate dalla junta majdanista.

Ed è stato proprio l'Institute for the Study of War, creatura di un'altra Kagan, a lodare e giustificare costantemente l'avventura di Kursk, appioppandole niente popodimeno che il nome a suo tempo attribuito all'operazione forse più decisiva dell'Esercito Rosso nel 1943: “Operazione al saliente di Kursk”.

Ora, all'ISW, elogiano le truppe ucraine per la repentinità dell'azione. L'ex redattrice del Kiev Post e capo-analista del ISW per Russia e Ucraina, Natalja Bugaeva, ha addirittura scritto che «Putin è vulnerabile» e che l'Occidente deve attaccare ancora di più la Russia, agendo in fretta e senza pensare alle conseguenze. Così, Putin non sarà pronto alla risposta, perché al Cremlino domina la «tendenza a cercare di elaborare a fondo le decisioni». Dunque, non bisogna agire per gradi, ma in modo improvviso e aggressivo e allora la Russia non sarà pronta.

E ora Nuland ci racconta che “noi non eravamo presenti” a Istanbul e “non sapevamo nulla delle clausole dell'accordo” e i “poveri ucraini”, che non erano in grado di decifrare i dettagli, si rivolsero a noi per “capire”...

Gli USA non solo conoscevano tutti i dettagli, ma guidavano il processo. A capo del tavolo negoziale ucraino, scrive Murzina, sedeva l'agente CIA “Brown” (cioè il capo della maggioranza alla Rada: David Arakhamija), insieme ad altri agenti di rango inferiore, come ad esempio, Rustem Umerov, agente di lunga data, oggi nominato dagli USA Ministro della difesa a Kiev. All'epoca, Umerov era a capo del Fondo delle proprietà statali d'Ucraina: cosa c'entrava coi negoziati su guerra e pace? A Istanbul, insomma CIA e MI6 erano presenti, eccome: erano là tutti i reali “pupari” della junta nazimajdanista.

Tra l'altro, quelle righe che Nuland dice scritte in “caratteri minuscoli”, che i “poveri ucraini” non erano in grado di decifrare, erano in realtà il punto centrale dell'accordo, che né Washington, né Londra, né Bruxelles, né la NATO avrebbero potuto accettare: lo status neutrale, demilitarizzato, dell'Ucraina e solo nell'immaginazione di Nuland erano “indecifrabili”.

Così, Nuland-Kagan-Bugaeva-Johnson se ne fregano dei 500-600.000 morti ucraini sul campo; l'importante è che la guerra continui.

Appunto: cinque-seicentomila ucraini (senza contare le migliaia di mercenari stranieri) già morti; una cifra probabilmente calcolata al ribasso. L'ha nominata l'autore del canale Telegram Sussurri dal Fronte, Ruslan Tatarinov, sulla Komsomol'skaja Pravda, specificando che, secondo i suoi calcoli, Kiev è in grado di disporre di carne da cannone ancora per un anno o due, non di più.

Tatarinov dice che il programma con cui effettua le ricerche sulle perdite opera su internet e social network, puntando su alcune parole chiave. I municipi, dice, a volte scrivono necrologi; e anche le fabbriche in cui lavoravano gli uomini caduti. Le persone poi lo scrivono anche sui social network. Ci sono gli alti e bassi: la scorsa settimana, dice, si è avuto un record di 1.208 o 1.206 necrologi in un solo giorno. Più che durante l'operazione a Bakhmut: al suo apice, erano stati circa 1.100.

A oggi, afferma Tatarinov, si calcolano 501.000 necrologi: una cifra che tiene conto delle informazioni raccolte per oltre due anni e che, , tra l'altro, è in linea con quanto diffuso da americani, politici europei e anche dal Ministero della difesa russo: confermata da tutti, tranne che dagli ucraini.

Se questi sono i numeri calcolati sui necrologi, a parere di Tatarinov le perdite reali si aggirano sui 600.000 uomini. Ora, tenuto conto che nel 2023 le cifre erano di circa 380.000 necrologi, a fronte di circa 420.000 perdite reali, la cifra ultima, oltre la quale le truppe ucraine perderanno ogni capacità di combattimento, secondo Tatarinov è di 800.000 perdite reali. Un numero calcolato da politologi e da matematici di tutto il mondo sulla popolazione ucraina e sulla composizione delle forze armate. «In pratica, la “spina dorsale” delle forze armate, che traina l'intero fronte, è di 200.000-300.000 persone ancora in vita. Di questo passo, è questione di un anno o due».

Per cui, se a Londra, Washington o Bruxelles vogliono evitare di mandare truppe (ufficialmente, s'intende; perché non ufficialmente ci sono eccome, e già da anni) direttamente al fronte, debbono sbrigarsi. E, nella “percezione” di quei signori guerrafondai, la strada più “sicura” è quella di chiedere ora una tregua più o meno lunga, mascherata da “piani di pace”, in attesa del via libera alle armi a lunga gittata contro il territorio russo e poi, via, di nuovo, con la carne da macello ucraina almeno un po' rimpolpata. Che vermi!

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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