Il 24 giugno a sgretolarsi è stata la propaganda sul conflitto in Ucraina
di Alberto Fazolo
Il 24 giugno si è sgretolata la narrazione dominante sul conflitto in Ucraina. Non è ancora chiaro se quel giorno Prigozin e gli uomini della Wagner tentarono un golpe che naufragò o se la spedizione verso Mosca fosse solo un diversivo per poter prendere il potere nella regione di Rostov, che si trova in territorio russo, prossima al confine con l’Ucraina. Occupando Rostov e sottraendola al controllo di Mosca, Prigozin realizzò - anche solo per un giorno- quanto gli USA vanno auspicando da tempo, la “balcanizzazione” della Russia.
La tecnica “divide et impera” è spesso stata usata da Washington risultando molto efficace. Riuscire a minare l’integrità territoriale della Russia sarebbe un colpo in grado di stravolgere in favore degli USA gli assetti geopolitici globali. La “balcanizzazione” della Russia è quindi un obiettivo prioritario per Washington, talmente importante da sacrificargli la possibilità di una vittoria militare ucraina.
Ciò è emerso con evidenza lo scorso 24 giugno.
La Wagner era in turnazione di riposo, si trovava nelle retrovie. Lungo tutta la linea del fronte era schierato esclusivamente l’esercito russo che dopo l’insubordinazione della Wagner si è trovato con le linee logistiche interrotte e circondato da forze ostili.
La Wagner prese il controllo di Rostov occupando il quartier generale delle operazioni in Ucraina e uno dei più importanti aeroporti del conflitto, quello da cui partono i velivoli per la copertura aerea alle truppe di terra.
In sintesi, il 24 giugno le forze russe in Ucraina si trovarono senza comando, prive di copertura aerea e circondate: sbaragliarle sarebbe stato semplicissimo.
Per la prima volta l’Ucraina ha avuto la concreta possibilità di infliggere un durissimo colpo alle forze russe e di rovesciare le sorti dello scontro. Sarebbe stato semplice e rapido, bastava sferrare un attacco. Attaccando avrebbero potuto vincere non una battaglia, ma il conflitto. Eppure gli ucraini non lo hanno fatto, nonostante si trattasse di una occasione irripetibile.
Non si è approfittato di questa opportunità perché a comandare le forze ucraine non è Kiev, ma Washington, nella cui scala di interessi la “balcanizzazione” della Russia è più importante della vittoria ucraina. Questo episodio ci mostra in maniera inequivocabile come per gli Stati Uniti l’obiettivo reale non sia la difesa dell’Ucraina, bensì il logoramento della Russia e la destabilizzazione dell’Europa. Gli USA sono pronti a combattere “fino all’ultimo ucraino” ma impedendogli di vincere.
Una vittoria negata che è un vero tradimento.
Da qui emergono due questioni. La prima è di natura etica e riguarda l’uso strumentale del popolo ucraino che stanno facendo gli USA, cioè la disinvoltura e la spietatezza con cui -per i propri esclusivi interessi- li mandano al massacro.
La seconda è di natura politica: dato che ormai è evidente che l’obiettivo della guerra non è una vittoria militare di Kiev, dobbiamo dire chiaramente che il nostro coinvolgimento (in primo luogo con l’invio di armi) serve solo a fomentare il più ampio scontro globale e non a difendere l’Ucraina.
A questo punto è palese che siamo di fronte ad una cinica manovra che prevede il sacrificio degli ucraini per l’esclusivo interesse degli USA, bisogna dirlo con chiarezza e rompere le ipocrisie. Chi ha a cuore il destino del popolo ucraino si deve opporre al criminale uso strumentale che se ne sta facendo, mandandoli al massacro con la promessa di una vittoria militare che in realtà non si vuole ottenere.