Il crollo della produzione industriale italiana. Un paese in crisi da lustri
di Federico Giusti
L'Italia cresce, è un paese in buona salute, gli indici economici confermerebbero l'ottimismo Governativo, ogni obiezione di sorta, anche la più documentata, non va presa in considerazione per quel sostanziale pregiudizio ideologico che renderebbe impossibile uno sguardo obiettivo.
In estrema sintesi è la fotografia del Bel Paese ricorrente in ogni comparsa televisiva di esponenti della maggioranza o di giornalisti legati a doppio filo a poteri editoriali alleati delle destre.
In tutta sincerità non vanno attribuiti alla Meloni i demeriti del passato, di Governi di diverso colore politico ma ogni ragionamento patriottardo diventa pericoloso se occulta la realtà che invece risulta assai impietosa con l'Italia
Da oltre 30 anni molte nazioni crescono il doppio dell'Italia, se guardiamo al Pil di Indonesia e Corea, degli Usa, in particolare di Cina e in misura minore India, analizzando i salari reali odierni e confrontandoli con il potere di acquisto si evince la crisi italica per ragioni ben analizzate da Pier Giorgio Ardeni in un libro di recente pubblicazione (Sviluppo al capolinea Meltemi 2025).
Ardeni parla di invecchiamento della popolazione con la riduzione della natalità, l'ascensore sociale fermo, il rafforzarsi di innumerevoli disparità, un territorio vittima di incuria e cementificazione alle prese con un dissesto idro geologico ormai a livelli di guardia e infine la grande crisi della produttività. Difficile dar torto al prof Ardeni quando parla dell'Italia come di un paese che da oltre 30 anni arranca, non sa tenere il passo con i tempi, in ritardo su tutto e tentata da soluzioni sovraniste che la allontaneranno ulteriormente dallo sviluppo.
Poi possiamo anche entrare nel merito della nozione di sviluppo, in ogni caso la analisi di Ardeni non è isolata anche se non trova spazio nella narrazione mainstream fin troppo compiacente con i potenti di turno.