"Il mio ricordo di Milva" di Gianni Minà
Ho intervistato Milva per il mio programma Storie, che andò in onda in Rai in seconda serata, nel 1996. Milva era una donna speciale, con una estensione vocale formidabile, ma con una inquietudine interiore che la obbligava a fare sempre meglio, a dare sempre il massimo. Ospite d’onore di quell’incontro Giorgio Strehler, il suo Maestro.
E’ partita pure lei da questo mondo, con la grazia che l’ha sempre contraddistinta.
Non ho la possibilità di farvi vedere la puntata, ma vorrei condividere con voi il piacere del suo ricordo vivo, attraverso il resoconto dattilografico di quella intervista.
1962 Maria Ilva Biolcati detta Milva, una ragazza di Goro in provincia di Ferrara conquista con un tango italiano il secondo posto al Festival di Sanremo dietro a Domenico Modugno e Claudio Villa interpreti di “Addio, Addio”. Per Milva che l’anno prima si era rivelata con il “Mare nel cassetto” e che nell’Italia che stava per scoprire il boom economico era già diventata la pantera di Goro è la definitiva affermazione: la “pantera di Goro” è già la rivale di Mina, la “tigre di Cremona”.
Ma la rossa Milva dotata di una voce duttile, da mezzo soprano ed una volontà di ferro non si fermerà alle canzoni commerciali. Vent’anni dopo cantautori geniali come Jannacci o come in questo caso Battiato, scriveranno per lei brani significativi come “Alexander Platz”, ma la vincitrice del concorso “Voci nuove” della Rai del 1959 per l’intuizione del marito, il regista Maurizio Goniari, era già passata attraverso esperienze artistiche che ricordavano dalle canzoni di tabarin, alle canzoni da cortile, a quelle del repertorio di Edith Piaf ad un film con Gina Lollobrigida intitolato: “La bellezza di Ippolita” fino ad arrivare al Piccolo Teatro di Milano di Paolo Grassi con i canti della libertà e lo spettacolo, “Ma cos’è questa crisi?” e a diventare, con “Milva canta Brecht” e “La cantata del mostro Lusitano”, una delle interpreti più significative del teatro di Giorgio Strehler.
Trent’anni dopo quelle evoluzioni, Maria Ilva Biolcati che è stata diretta in teatro anche da Garinei e Giovannini e che ha interpretato il tango con Astor Piazzolla, è diventata per i tedeschi e per buona parte del teatro europeo la più indiscutibile interprete del teatro cantato di Bertold Brecht e Curt Wihle. L’ultima proposta è un recital di 35 “songs” sarcastici e provocatori di Brecht attualmente in cartellone al teatro Quirino di Roma, ballate e messe in scena ancora una volta da Giorgio Strehler, il suo maestro, con il titolo “Non sempre splende la luna”.
MINA’ Milva, “Non sempre splende la luna” al Piccolo, ancora con Brecht, un matrimonio di trent’anni.
MILVA Sì, praticamente un matrimonio di trent’anni forse qualcosa di più. Ho debuttato al Piccolo Teatro nel 1965 con il primo recital inventato da Strehler nel giro di una settimana dopo aver fatto, su richiesta di Paolo Grassi allora direttore del Piccolo Teatro, una serie di spettacoli su un disco che si chiamava “I Canti della libertà” e sono state dieci serate al Lirico molto belle e poi mi venne questa offerta di Giorgio Strehler che mi chiese di imparare dei “songs” di Brecht. E questo era nel ‘65 quindi.
MINA’ E’ vero che tu hai detto a Strehler che non conoscevi Brecht e volevi sapere chi era e come bisogna interpretare le sue canzoni?
MILVA Ma forse non l’ho chiesto proprio in questo modo ma sicuramente non conoscevo Brecht nel ‘65 come avrei potuto? Avevo…… ero molto giovane avevo 25 anni e questo però non vuol dire, non avevo fatto l’Università, l’ho fatta dopo e credo con grandi risultati. Chiesi chi fosse questo poeta tedesco di cui forse avevo sentito parlare nell’“Opera da tre soldi” ma che non ero in grado di capire perché questo poeta parlasse di un imbianchino, non capivo il nesso, proprio per un fatto di ignoranza, per non averlo mai letto e come si doveva cantare. Certamente io fui piacevolmente sorpresa dalle musiche di Curtvile e di Hans Isler e per me quelle furono una scoperta meravigliosa, cioè la mia indole musicale, il fatto di essere cantante mi ha fatto elettrizzare sulle musiche. Il poeta era molto più difficile.
MINA’ E’ stato talento o volontà che ti ha permesso di essere considerata, in Germania, la più grande interprete del repertorio di Brecht e l’unica alla quale è concesso di fare spettacoli nei teatri lirici? Tu sei cocciuta…
MILVA Io vorrei rispondere prima alla seconda domanda. Credo di non essere solamente… Io voglio esserlo anche in Italia, io credo oggi con questo spettacolo di poterlo veramente dimostrare e oggi sono molto conscia di quello che faccio, di quello che dico, naturalmente grazie a tutto il lavoro che è stato fatto con Strehler.
MINA’ Ecco, perché solo oggi sei conscia. Sei diventata improvvisamente matura?
MILVA Beh, ad un certo punto la vita ti insegna, vai avanti con gli anni, se non sei stupida impari le cose, le capisci e io credo di essere arrivata ad un momento di maturità, di grande consapevolezza anche dei miei mezzi, non solo vocali, ma dei miei mezzi scenici, di come mi posso muovere e tutto questo mi è stato dato, fin dall’inizio, da una grande scuola che è stata quella di Strehler. Oggi sono conscia anche delle mie possibilità.
MINA’ Ho sottolineato questo tuo credito in Germania perché là hai fatto 25 cd, 25 long playing.
MILVA Sì, in 25 anni di contratto discografico tedesco. Io in Italia sono “importata”, cioè nel mio paese io sono straniera e divento tedesca per il mercato tedesco.
MINA’ Ma c’è meno colonizzazione delle multinazionali angloamericane nella musica popolare tedesca perché tu possa affermare questo tuo talento?
MILVA Il mio contratto è stato fatto come se io fossi cantante nazionale e quindi importata in Italia. E’ avvenuto così e ho cominciato a cantare in tedesco e ho fatto i miei primi dischi che sono stati prima le canzoni degli anni ‘20 si chiamavano “Audenflughen buden troime” dove c’erano canzoni di Marlene, canzoni di Zava Leander che aveva questa vociona e che loro evidentemente hanno trovato un ricordo nella mia voce, nel mio modo di essere, anche nella mia presenza fisica. Poi invece abbiamo cominciato a fare anche altre cose, altri autori tedeschi, greci e poi anche Brecht con “I sette peccati” con l’Orchestra sinfonica del Teatro dell’opera di Berlino. Con l’Orchestra ho inciso la prima versione de “I sette peccati” in lingua tedesca e poi ho fatto una versione dell’”opera da tre soldi” con René Collo, che faceva il ruolo (questo sempre su disco naturalmente) di Mechi Messer, Ute Lemper che faceva Polly ed io che, naturalmente, facevo Jenny.
MINA’ Ute Lemper è gelosa?
MILVA Ute Lemper non lo so se è gelosa, certamente è più giovane e può fare altre cose… Non le stesse che faccio io. Intanto non ha mai fatto un recital dedicato a Brecht, ma ha sempre cantato soprattutto Curtvile, come hanno fatto altre cantanti, ad esempio Teresa Stratas. In America, Teresa Stratas è stata una grande Lulù di Alban Berg. E’ stata un grande soprano e ha fatto due album sulle musiche di Curtvile dove ci sono i grandi classici, da “Sulla baia” a “Jenny dei pirati”, ma ci sono anche molti brani del periodo americano di Curtvile.
MINA’ Un esempio di “Mechi Messer” di Milva
MINA’ Eri abbastanza sobria?
MILVA Insomma no, mica tanto, è una cosa terribile rivedersi, soprattutto dopo un po’ di tempo. Però questa trasmissione la ricordo, la feci con te a Viareggio….. “Alta classe” del 1992?
MINA’ Ma ti sdoppi, cioè quando sei sul palcoscenico serio, sobrio del teatro brechtiano, la fai più controllata, più composta e quando sei su un palcoscenico televisivo ti lasci andare un pochino di più?
MILVA Non necessariamente, no, dipende… No. Penso che questa canzone, “Moritat” potrebbe essere fatta naturalmente con grande stile e con grande sobrietà, ma in questo caso, il fatto di essere in televisione e di dover far subito dopo altri brani, mi sarebbe stato impossibile farle in un modo diverso. Intanto, adesso, faccio fatica a vedermi sempre con tutti questi capelli che scendono, anzi non riesco più a tenerli sciolti. Mi sono abituata a vedermi col viso scoperto e mi fa piacere. A parte il fatto che vedo anche meglio perché ero un po’…… la vista veniva ottenebrata dai capelli… Scherzo….
MINA’ E’ vero che il genio del palcoscenico ti veniva da tua mamma che aveva lavorato con Wanda Osiris?
MILVA Ma questa è…….
MINA’ E’ una favola metropolitana…
MILVA Sì naturalmente. La mia mamma è nata a Goro, aveva una bellissima voce mia mamma, questo sì me lo ricordo.
MINA’ Non era soubrettina?
MILVA. No, no, non credo proprio. Mia madre non mi ha mai detto una cosa di questo genere però so che quando era bambina, sempre a Goro… Io venni via da Goro a 18 anni, non ero più una bambina, perché avevo una bella voce e così fu per mia madre e poi io cominciai a fare la sarta perché mia madre era una sarta di Goro e cantavamo insieme, lei faceva…….. Aveva una voce molto più lirica della mia, molto bella. Però a Goro ci sono stati dei talenti musicali, a parte mia madre e me, notevoli, perché per esempio Gigino Maestri, figlio del fornaio di Goro arrivò secondo al premio Paganini è stato primo violino alla Scarlatti di Napoli ed oggi è primo violino all’Orchestra dei concerti della Sala Verde di Milano. Gigino Maestri, questo è il suo nome. Poi c’è stato mio cugino, figlio del fratello della mia mamma, Piergiorgio Farinelli. Con “Farina”, che tu sicuramente conosci, perché ha partecipato con me ad una tua trasmissione.
MINA’ Ma il delta del Po è allegro o malinconico?
MILVA No, il delta del Po non è mai stato allegro, sì malinconico.
MINA’ E tu te lo ricordi sulla pelle così?
MILVA Nella mia infanzia è stato un luogo per me straordinario, un luogo di favole, l’inventarsi il teatro che io non sapevo che cosa fosse, le carte colorate… E’ stato un luogo di sofferenza per via delle alluvioni che ogni tanto accadevano c’era una certa povertà, ma dignitosa ed io ho un ricordo molto bello della mia infanzia.
MINA’ Perché sei andata in collegio dalle suore?
MILVA Per ragioni di salute, ero molto gracile, anche se, durante la mia giovinezza, sono stata anche un po’ robusta ma non molto. Sono sempre stata una bambina molto fragile, e poi c’era la malaria ed i miei, che non avevano grandi mezzi, mi mandarono a Bassano del Grappa dalle Suore Canossiane. Questo per me fu una cosa molto bella perché imparai la musica, imparai subito a solfeggiare e poi a suonare l’organo in chiesa. Cantavo, naturalmente in chiesa perché dalle suore canossiane non è che potessi andare nei locali. E poi ero giovanissima, ero una bambina ed anche piena di talenti. Sapevo ricamare molto bene, ad esempio. Così, conoscendo il solfeggio (che poi ho capito dopo che era matematica) mi è stato molto utile, perché oggi posso leggere una partitura.
MINA’ Senti, le Suore Canossiane, quando ti hanno vista a Sanremo con “Il mare nel cassetto” cosa hanno detto?
MILVA Le Suore Canossiane? Non lo so. Adesso ho ripreso un contatto con quella che è stata la suora del doposcuola, delle ore libere. Era una suora straordinaria, si chiamava Madre Giannina ed io l’ho amata moltissimo, forse, ripensandoci, ero anche un po’ innamorata di lei. Era una suora bionda… Non so se lo sai ma le suore canossiane portano una cuffia e da lì si intravedeva la nuca che per me è una delle parti più erogene. Vedevo questi capelli biondi, io avevo otto anni non quattordici, e sentivo delle sensazioni strane. Vedevo questa bellissima suora con questa peluria bionda… Una donna straordinaria che ho incontrato di nuovo dopo 40 anni. Oggi lei ha quasi ottant’anni e io ne ho cinquantotto e sono felice per l’età che ho e per come mi sento dentro… Non so che cosa dissero all’epoca de “Il mare nel cassetto” ma so quello che ci siamo dette poco tempo fa.
MINA’ Milva, facendo una verifica dai giornali sulle tue dichiarazioni, sono molto felice di vederti così, sicura di te stessa. Nel ‘93 hai detto: “…Ho voglia di buttarmi dalla finestra, ho il prepotente desiderio, l’irrefrenabile desiderio di aprire questa finestra e di buttarmi dal sesto piano”. Perché hai detto questo?
MILVA Che orrore! Beh perché non avevo freni inibitori, non avevo il senso della vergogna! (ridendo) Perché evidentemente stavo male, stavo veramente male. Ma anche quando si sta male si dovrebbe sempre avere il senso della misura, soprattutto quando si è ospiti in una trasmissione televisiva. Ma quella sera avevo proprio perso il contatto con la realtà, cosa che mi accade difficilmente, ma per tre anni sono stata veramente molto male.
MINA’ Molto male con te stessa?
MILVA Sì, sì. Ho avuto una depressione come tante persone del nostro tempo, come ad esempio Gassman, o il vecchio Montanelli, adorabile persona (a volte meno) ed io, come ti dicevo, ho avuto per tre anni una forte……..
MINA’ Hai una spiegazione per questo? Il successo può aiutare a non avere più sicurezza in se stessi ? Sembra una contraddizione…
MILVA A me è avvenuta per un fatto molto personale che non aveva niente a che fare col successo. Sono stata lasciata e ho vissuto questo abbandono come un lutto. Un lutto si vive per una persona che non c’è più, che muore e io l’ho vissuto male. Oggi non mi accadrebbe più perché sono cose che non meritano questa sofferenza.
MINA’ Ah no?
MILVA No, assolutamente no, almeno per me oggi. Io ovviamente parlo della mia esperienza, ma non mi potrebbe più capitare perché con la maturità cambia il senso delle cose, e allora ti rendi conto di come uno è stato stupido. Però, nel momento in cui si soffre, ed io posso dirlo ora a quelli che soffrono oggi, ci sono dei rimedi per star meglio. E’ inutile crogiolarsi nel dolore perché diventano dolori terribili e magari uno pensa a cose estreme. Ma io non ho pensato tanto all’idea di buttarmi dalla finestra perché il suicidio è sempre stato molto lontano dalla mia vita. Sono una persona troppo vitale e non ho mai pensato al suicidio, però a volte avrei voluto nascondermi sotto il divano invece di andare a cantare ed essere con il pubblico… No, non mi ha aiutato, non è il lavoro che ti può aiutare in quel momento, sono altre cose, sono i farmaci che ti possono aiutare e ne puoi uscire comunque molto bene.
MINA’ Ti ringrazio della sincerità e ti riconduco allegramente alla tua gioventù. Il secondo festival di Sanremo: “Tango italiano”. Non è però una ripresa dal palcoscenico, è una ripresa nei nostri studi e devo dire che mentre la tua voce è sempre clamorosa, la regia di quel filmato rivela il tempo che è passato.
Canzone Milva “Tango italiano”
MILVA Provo solo tenerezza nei miei confronti, ero molto giovane, avevo 22 anni. Non c’erano le possibilità che ci sono oggi per i giovani di entrare in una sala di incisione e di cantare con delle basi che sono già “bombastiche”, preparate. Nessuna amarezza per com’ero, no. Certo, uno può dire: “Oddio non mi riconosco!”, ma io avevo 22 anni ed avevo vinto il secondo premio del Festival di Sanremo con questa canzone. La seconda che cantai a Sanremo, invece, era molto bella, era di Carlo Alberto Rossi e si chiamava “Stanotte luna park”. Era una canzone di stile francese. Cocatrix, Bruno Cocatrix, che era il “grand patron” dell’Olimpia di Parigi mi invitò e io andai proprio per quella canzone, non per il “Tango Italiano”. Però io non perdono i miei errori, che è un’altra cosa, ma per le mie esibizioni di quando ero ragazzina, con questa voce che usciva con grande facilità, provo tenerezza. Devo, però dire che il maestro, Giorgio, ha lavorato veramente tanto e di questo non posso che essergli grata.
MINA’ Nel ‘59 avevi vinto il primo posto in un concorso indetto dalla Rai con settemilaseicento concorrenti…
MILVA Sì, parteciparono settemilaseicento concorrenti
MINA’ E poi avevi vinto anche il primo posto alla trasmissione “Giudicateli voi” con il maestro William Galassini.
MILVA No, no, ti spiego: il concorso era stato indetto dalla Rai con il patrocinio del maestro Razzi che era nipote di Puccini quindi una persona che di musica si intendeva. Mi ricordo che il maestro Razzi mi diede una canzone, rimanemmo in sette e poi questi sette selezionati…
MINA’ Una era Lucia Altieri…..
MILVA Era napoletana Lucia Altieri come un altro Luciano Lualdi, ad esempio. Facemmo la tournée di “Giudicateli voi”, e dopo tutte le varie selezioni dove il pubblico votava, io arrivai prima a questo concorso. Ma il maestro Razzi, un uomo intelligente, mi dette, pensa che strano, “Speak low” da studiare e come canzone mi dette “Acque amare” di Carlo Alberto Rossi. Mi dette anche “Speak low” di Curtvile e questa scelta, successivamente, mi ha fatto pensare, ma, evidentemente, questo maestro aveva seguito fin dall’inizio questa serie di trasmissioni durate un anno e io risultai vincitrice su 7600 concorrenti.
MINA’ Questo repertorio era diciamo un repertorio di retroguardia però ti mise subito in concorrenza con Mina che era la “Tigre di Cremona”
MILVA Certamente era un repertorio di retroguardia perché non si poteva chiedere a un direttore della Rai, Razzi appunto, che ascoltava “Tea for two” o “Cheek to cheek”, che seguiva le canzoni americane, naturalmente anche le italiane… Però io ero la cantante dalla voce più antica e tra l’uragano Mina e i primi rock è evidente che ci contrapposero…
MINA’ Sei stata amica di Mina?
MILVA No purtroppo perché … Perché non è successo. Da parte mia avrei anche voluto, ho partecipato ad una trasmissione sua quando imperava Mina in televisione. Ne fece tantissime, ad esempio uno “Studio uno” e io lì cantai un gospel con lei proposto da me, perché era un genere che amavo moltissimo e si chiamava ”Keep your hand……”. Era una canzone nera che cantammo insieme, ma io la vedevo molto con aria di sufficienza, non aveva tanta voglia di farla… Però ci sono persone nella vita che si incontrano, ma non ci sono riuscita. Forse il tempo ci ha portato per altre strade, non so.
MINA’ La svolta nella tua vita avvenne nel ‘64 col tuo primo marito Maurizio Corniati. “Canzoni di tabarin, canzoni da cortile”: cambia tutto il tuo repertorio o incomincia a cambiare.
MILVA Io mi sono sposata nel ‘61 avevo ventun’anni, Maurizio ne aveva 43, il doppio dei miei e nel ’62, insieme, facemmo “Le canzoni del tabarin, le canzoni da cortile” . Nel ‘65 facemmo invece “I canti della libertà” che furono scelti da Paolo Grassi per questo mio incontro al Piccolo. Io ero molto perplessa, un disco è un disco gli spettacoli sono un’altra cosa poi mi disse che ci sarebbe stato Foà che avrebbe letto le poesie di Brecht, di Del Giusti, di Neruda ecc. e così il mio repertorio cominciò a cambiare con il matrimonio. Maurizio era amante di un altro tipo di musica, tanto è vero che già nel ‘62 gli arrangiamenti furono allora di Gino Negri, musicista inusuale.
MINA’ Si può dire che tuo marito fu un pigmalione per te?
MILVA Mio marito fu una persona molto importante per me, ma non so se pigmalione è la parola giusta. Non mi sono mai lasciata modellare, ho sempre aspettato i miei tempi, i miei ritmi. Maurizio mi ha sempre detto: “se non hai voglia di farlo, aspetta” e la voglia veniva naturalmente perché ero molto curiosa, Maurizio era un intellettuale e a me piacevano molto tutti gli interessi che aveva. Io, ad esempio, sono diventata un’amante della pittura
MINA’ Per merito suo?
MILVA. Non so se è stato per merito suo o della mia curiosità, fatto sta che lui l’ha risvegliata, insomma.
MINA’ Hai detto recentemente: sono piena di rimpianto per le persone che non mi sono più accanto e per un amore che non ho saputo cogliere fino in fondo, quello di Maurizio.
MILVA Sì perché effettivamente ero molto giovane e a volte si è anche molto sciocchi quando si è giovani.
MINA’ Non sei troppo cattiva?
MILVA No, no. Avevo poca conoscenza della vita e avevo ancora dei desideri di cose che non conoscevo nonostante e nonostante sette anni di matrimonio io ho sentito ancora dei desideri di cose che forse Maurizio non mi poteva dare. Ma nello stesso tempo, mi aveva già iniettato una quantità di cose buone e importanti che mi sono servite poi successivamente. Sì, avrei potuto amarlo e anche lasciarlo ma in modo diverso, in un modo più intelligente. Certo, l’amore non si può misurare con l’intelligenza, ma avrei dovuto cercare un modo meno stupido per lo meno. Provo molto rimorso per questo.
MINA’ E lo hai detto anche a tua figlia?
MILVA Mia figlia lo sa e se ne rende perfettamente conto. Sa comunque che, forse, il matrimonio sarebbe finito ugualmente. Ma mia figlia oggi mi stima moltissimo.
MINA’ Cosa fa tua figlia oggi nella vita?
MILVA Mia figlia è critico d’arte. E’ molto giovane ma è fra i giovani critici d’arte che insegna in questo momento all’Accademia Albertina a Torino. E’ stata invece l’anno scorso a Brera, e cura molte mostre. Scrive molto, recentemente ha scritto una storia sulla pittura fino agli anni ‘50.
MINA’ E arriviamo con “I canti della libertà” al Piccolo Teatro e a Strehler, con “Ma cos’è questa crisi”. E’ il primo spettacolo con la regia di Strehler ?
MILVA No, la regia era di Maiello, un allievo di Strehler che lavorava al Piccolo Teatro. Oggi credo sia un professore, un intellettuale, ma all’epoca era una persona molto singolare, molto strana, così alta, dinoccolata…
MINA’ Noi comunque abbiamo trovato un segmento dove sei già diretta da Strehler, è un pezzo di telegiornale
MILVA. Beh, questa è stupenda! era “La Cantata di un mostro lusitano” ed eravamo al Quirino a fare le prove, lo stesso teatro dove io mi sto esibendo con l’ultima opera di Brecht, e questo mi dà una grande emozione. Per Strehler è stato un periodo difficile per lui, perchè andò via dal Piccolo Teatro…
MINA’ Era il 1968
MILVA … E formmamo un gruppo che si chiamava Gruppo Teatro Azione con degli attori molto importanti come Graziosi che continua a lavorare al Piccolo, Dettori che ha fatto ultimamente con Villaggio “L’avaro” di Moliere al Piccolo di Milano, come la Fabbri. Poi c’ero io e c’era Saviana Scalvi, una delle prime ragazze del movimento femminista che poi ha lavorato con Dacia Maraini. Quelle prove al Teatro Quirino a Roma sono state un periodo straordinario per me, le musiche di Carpi e il testo di Peter Vais erano così sconvolgenti che mi ha lasciato dentro molte cose, è stata veramente una lezione molto importante e hai visto come insegnava il maestro, come lavorava con noi
MINA’ Che energia fisica…….
MILVA Beh, quella l’ha sempre avuta, l’ha avuta anche con il mio spettacolo, in questo recital dove sono solo io. Ma le scale le faceva su e giù e cantava con me, con quella sua voce.
MINA’ Tu hai portato il maestro Moraschi ed io devo chiederti un esempio di come si canta un “song”, di come si costruisce il teatro cantato. Sai che il nostro è un programma di divulgazione, e questo modo di farvi raccontare è anche per aiutare il pubblico a capire…
MINA’ Il Maestro Beppe Moracchi. Beppe ha fatto il festival di Sanremo tanti anni fa…
MILVA Beppe ha fatto anche il festival di Sanremo ed io ne ho fatti 13-14, ne abbiamo fatti tanti, come vedi…
MORAC Il primo era quello de “Le mille bolle blu” e de “24.000 baci” e io ero all’organo “Emond” e ci chiedevano, non essendoci ancora le tastiere, i suoni delle bolle e c’era da impazzire perché non c’erano i mezzi tecnici per farli, avevo una fifa blu il primo anno del Festival.
MINA’ Adesso dimentichiamo Sanremo e andiamo su un repertorio più serio..
MILVA C’è però un appunto da fare: scegliere fra le tante che abbiamo su questo testo “Milva canta 23 song di Brecht”, è difficile, perchè farlo in teatro ha un senso, ci sono le luci giuste e c’è una preparazione che viene da un unizio straordinario di una tenerezza veramente unica. Per me, ora, scegliere la canzone è difficile, perché potrei fare “Surabaia Johnny” che è una dei miei cosiddetti cavalli di battaglia, ma su Brecht non si può dire, e allora ho scelto una poesia di Brecht che leggeva Strehler quando facevamo insieme il recital e in questo caso, non essendoci più lui, la canto, perchè questa è stata musicata da Brecht ed è “Il ricordo di Maria”. Il song stranamente, non parla di una donna ma di un uomo che è seduto.
MILVA canta la canzone “Surabaia Johnny”
MINA’ Milva questa è magia..
MILVA Merito della poesia che è straordinaria. Il pubblico, ogni volta che l’ascolta, resta in silenzio, un silenzio che diventa più forte di un grande rumore e quindi si sente la tensione del pubblico ed è meraviglioso e bellissimo. Questa poesia parla di una nuvola in fondo, è molto tenera, una bellissima poesia di Brecht.
MINA’ E “L’opera da tre soldi” con Modugno te la ricordi?
MILVA Vuoi che abbia dimenticato l’”Opera da tre soldi” con Modugno? Quell’ “opera da tre soldi” mi costò una caduta dal palcoscenico ma per fortuna Strehler disse che mi avrebbe aspettata. Sono stata in clinica un mese, ho avuto una frattura cranica e al posto di Santuccio, che lasciai quando caddi, trovai Modugno.
MINA’ Per quale motivo?
MILVA Perché sostituì Santuccio, che evidentemente non stava bene, non se la sentiva, non lo so. Io avevo il problema dei punti in testa per via della frattura al cranio, procuratami, come t’ho detto, con una caduta nella buca dell’orchestra. Era proprio la prima sera in cui avevo la piccola parrucchetta nera che avevano inventato per me e forse questa un po’ mi salvò, perché attutì un pochino la botta, poi ritornai e dopo 15 giorni andammo in scena con Modugno, che fu molto bravo. Un giorno, quando sarò ancora un po’ più matura, vorrei fare “La canzone degli impiccati”. Sai, durante il recital ne canto una molto simile che è “La canzone dei pendagli da forca”. Pensa che quando sono stata a Prato, i pratesi amano molto questa canzone e insistono sempre che la canti, perché, dicono, che c’è una generazione che non l’ha mai sentita, e quindi appelli al maestro e così via. Perché sai qual è il pericolo? Che la generazione che non l’ha vista, ne veda di orribili……….
MINA’ C’è qualcuno che fa un Brecht tremendo?
MILVA Sì, perchè l’opera è uno spettacolo meraviglioso, un musical stupendo e allora c’è il rischio che la conoscano sotto una veste sbagliata, sotto una luce diversa, questo è un peccato.
MINA’ Qual è la luce giusta per leggere “L’opera da tre soldi”?
MILVA Beh quella che ha scelto naturalmente Strehler dove c’è l’ironia, ci deve essere. Come può farlo un attore che ha fatto…… non lo so. Non bisogna dire i nomi, ma… Io mi sono abituata che bisogna dire i nomi invece.
MINA’ Allora dilli.
MILVA La versione di Tato Tusso, ad esempio… Non è possibile. Ma perché, da venticinque anni, non ci dev’essere una versione dell’ “Opera da Tre soldi” che sia degna del nome che porta e dell’autore che l’ha scritta? Invito quindi il maestro a farne un’altra versione, magari anche senza di me, non ha importanza, ma io ci tengo per il pubblico.
MINA’ Per parlare della tua capacità di avere tante facce, di poter fare tante cose, io adesso ti faccio lasciare un attimo il mondo brechtiamo e ti ricordo gli anni ‘69 e ‘71 di “Angeli in bandiera” con Bramieri e con Garinei e Giovannini che è un’altra esperienza della tua vita.
MILVA Sì e sai perché avvenne questo? Perché dopo la cantata di “Un mostro lusitano” con il primo spettacolo che facemmo con Strehler come “Gruppo teatro e azione”, Strehler mi disse: “Milvina – mi ha sempre chiamata Milvina adesso non so come mi chiamerà – in questo testo non c’è un ruolo per te. Se hai un’altra cosa da fare falla”. Ebbi questa offerta proprio quando Strehler mi lasciò fuori dal gruppo ed io mi sono sentita un po’ lasciata in disparte, ma, evidentemente, non aveva bisogno di una cantante in quel testo e allora accettai questa cosa con Garinei e Giovannini e con Bramieri. Ho quindi recitato la parte di Esmeralda in una commedia musicale che si chiamava “Angeli in bandiera”.
MINA’ La differenza…
MILVA La differenza… Se non ci fosse stata, non avrei potuto fare Esmeralda e poi eravamo nel ’70, ero ancora giovane.
MINA’ Chi si curava più di te Giovannini o Garinei?
MILVA E’ per questo che andavano così d’accordo, erano veramente molto diversi.
Giovannini amava le donne, ma a me non mi ha mai vista da quel lato lì, e meno male va bene così. Ho un bellissimo ricordo di Giovannini che amava molto i fichi d’india, ma forse era Garinei un po’ più attento alla regia. Giovannini, invece, da buon romano, si occupava più di far ridere. In quello spettacolo ebbi un grandissimo successo ed avemmo anche, per due anni, il “Biglietto d’oro” per il pubblico che ci venne a vedere. E poi Bramieri, che era certamente un nome nella rivista, nella commedia musicale. Ed in quel periodo lo era ancor di più per via del suo dimagrimento. Era diventato magro, agile, faceva appunto il “pappone”, l’”angelo” e io facevo Esmeralda.
MINA’ Questo invece è “Io cerco la Titina” dove si vede che puoi perfino fare il verso a Charlotte……
MILVA Faceva parte di un mio concerto che mi era stato commissionato dal Festival di Berlino, e mi ricordo di questa cosa, la luce stroboscopica…
MINA’ Poi facesti la televisione con “Palcoscenico” di Antonello Falqui e in seguito “Al Paradise”?
MILVA Sì. “Palcoscenico” non era male, però. Ci sono state delle cose buone perché c’era un buon coreografo.
MINA’ Ma con Antonello Falqui hai fatto la televisione più importante della tua vita
MILVA Sì, ma non sono stata una cantante molto televisiva, tant’è vero che Aldo Grasso, il critico televisivo, nel suo libro sulla storia della televisione, non mi cita, di conseguenza, per lui, io la televisione non l’ho mai fatta. Va benissimo così.
MINA’ Grasso si dimentica ogni tanto…..
MILVA No, non ho rappresentato nulla per la televisione. Se Dio vuole, però, ho rappresentato qualcosa in altri campi.
MINA’ Sono gli anni delle “Canzoni fra le due guerre”. Nel ’79 inizi uno spettacolo che nel tempo avresti portato in giro per mezzo mondo e incomincia anche il tuo grande successo a Parigi: nell’80 al Teatro de la Ville e poi nell’83 all’Olimpia.
Hai avuto la capacità di andare a toccare quella che è l’immaginazione collettiva dei francesi Edith Piaf.
MILVA Ma l’avevo già fatto nel ’62, quando era appena morta
MINA’ Non c’era il rischio di essere un pò presuntuosa?
MILVA No, l’hanno sempre veramente capito e preso come un omaggio alla grandissima Piaf, a quella che è stata per me una delle più grandi interpreti. Da parte mia, ero una ragazzina nel ’62, credimi, voleva essere solamente un omaggio. Poi la ricantai quando sono ritornata.
MINA’ Cosa bisognava mettere nel repertorio della Piaf?
MILVA Sono stata la prima in Italia a cantare le canzoni della Piaf. Da noi le canzoni francesi non sono mai state molto seguite, né Brel, né Frassan né Perré. Solo quando poi Perré è stato da noi per tanti anni…
MINA’ Un po’ Becaud e Aznavour…
MILVA E’ sempre stato un pubblico d’elite che li ha seguiti. Io ho incominciato nel ‘60 con “Je ne regrette rien”, in italiano “Milord”, con le canzoni della Piaf che, tradotte in italiano, naturalmente perdevano il cinquanta per cento del loro fascino. Io me ne ero anche un po’ appropriata e la mia voce andava bene per quel tipo di musicalità che avevano certamente i testi francesi.
Questo fatto di andare a sfidare i tedeschi su Brecht, i francesi sulla Piaf….
MINA’ Gli argentini con Piazzolla… Lo fai con leggerezza alla fine non vieni mai a casa con le ossa rotte?
MILVA No perché non lo faccio con leggerezza, lo faccio preparandomi con sacrificio
MINA’ Vuoi dire che non c’è supponenza?
MILVA No, questo mai. Se c’è una cosa che il maestro (io lo chiami così sempre con grande affetto, ma lui non ama sentirsi chiamare maestro), che Giorgio mi ha sempre detto e che io riconosco perché fa parte della mia natura è l’umiltà. La porto sempre a fianco, perché essere supponenti non serve a nulla, serve solo a sbagliare, ma l’umiltà è molto importante, è come la “lode del dubbio”, come dice Brecht. Sì pensiamoci, d’accordo, ma non stiamo a perdere tempo, bisogna anche prendere una decisione. Ed allora benissimo il dubbio, ma poi la decisione deve esser presa.
MINA’ Guarda “Milord” in una tua interpretazione
MINA’ Sei costernata perché la cantavi in italiano?
MILVA Beh, la parte cantata in francese è decisamente migliore. Le canzoni andrebbero sempre cantate in lingua originale, ma per fortuna in questo Brecht abbiamo dei testi meravigliosi.
MINA’ Nell’81 i “Peccati capitali dei piccoli borghesi”. Te lo ricordi?
MILVA Certo. “I sette peccati capitali” l’ho fatto almeno un centinaio di volte, l’ultima volta al Piccolo Teatro con la direzione di Marcello Panni.
MINA’ E che ricordi hai di questo spettacolo?
MILVA Lo canto continuamente, fa parte della mia storia e seguiterò a farlo. Lo farò anche a Torino all’Auditorium, nel mese di maggio
MINA’ Perché lavori tanto?
MILVA Già, è quello che mi sto chiedendo anch’io, ma ho deciso la data in cui smetterò quindi è già qualcosa. Lavoro perché ci sono tanti paesi che mi richiedono, perché il mondo non è l’Italia, perché mi piace il mio mestiere anche se mi crea dei problemi, delle sofferenze, la paura. Non è vero che è tutto così facile, non vado sul palcoscenico come se andassi al ristorante, c’è sempre un grosso malessere dentro, la vita è veramente molto difficile, molto dura. La mia, almeno per me, è piena di rinunce. Dopo un concerto, mi nutro a tagliolini in brodo per tre mesi, quattro mesi e non esco mai. C’è una frase molto bella della Tebaldi, quando smise di cantare: “Il primo pensiero è la voce” e la voce è importantissima nel mestiere che faccio. I cantanti lirici, dopo uno spettacolo, hanno tre giorni di riposo. Io non sono una cantante lirica, ma non sono neanche una cantante solamente di musica leggera, sono una via di mezzo, ma non per questo non debbo far riposare la mia voce. E allora devo fare attenzione, ma questo comporta tantissime rinunce nella vita, però cantare è una delle cose che amo di più fare.
MINA’ I tuoi più bei dischi te li ha prodotti Battiato o hai dischi che sono per te ugualmente prestigiosi come quelli che t’ha prodotto Battiato?
MILVA I due dischi che ho fatto con Franco sono due bei dischi perché “Alexander Platz” è diventata ha venduto tanto in Germania, nonostante sia stata cantata solo in italiano. Pensa che i tedeschi hanno sempre creduto, nonostante la sentissero che era cantata in italiano, che fosse tedesca. E poi il secondo era più difficile: “Svegliare un amante che dorme”, ma ho fatto anche dischi altrettanto belli. Vorrei ricordare quello con Piazzolla che non era bello dal punto di vista tecnico perché fatto dal vivo da “Le beauv du nord”, il teatro di Peter Brook a Parigi e poi non vorrei dimenticare
MINA’ Parliamo magari dopo di quelli con Jannacci….
MILVA Anche quello di Enzo: “La rossa” che fu il primo disco che mi dette una svolta discografica.
MINA’ Io, prima di farti una sorpresa, ti vorrei presentare un piccolo brano dello spettacolo con Astor Piazzolla, un altro dei ricordi, credo, più belli della tua vita
MILVA Più toccanti, più importanti. Oggi, finalmente, scoprono Piazzolla come grande musicista, tutti i musicisti di musica classica, da Cremer a Baren Boim, si stanno creando gruppi e tutti fanno il tango di Piazzolla. E hanno scoperto che era un grandissimo musicista, non di tanghi…
MINA’ Perché questa fusione fra la tradizione argentina e il jazz aveva creato una musica da sala da concerto…..
MILVA Quando a Piazzolla dicevano che il tango si doveva ballare, si incazzava spaventosamente, diceva che il tango va ascoltato e aveva ragione. Era un grandissimo interprete ma soprattutto un grande musicista.
MINA’ Bel ricordo… Eppure lui era un introverso non era un uomo che sembrava dare molto
MILVA Era un uomo molto difficile
MINA’ Era un mio grande amico quindi…
MILVA Lo so bene
MINA’ Ho provato una grande tenerezza rivedendolo.
MILVA Però è stata una lezione musicale molto importante.
MINA’ Lo sai che c’è la più grande cantante di tango argentina, Susanna Rinaldi, che ha una grande gelosia per quello che tu hai fatto?
MILVA E ha ragione ad averla, perché con Piazzolla per dieci anni abbiamo lavorato insieme solo io e lui e abbiamo fatto dischi che non faceva con cantanti, ma solo con grandi musicisti jazz e per me è stato un grande maestro.
MINA’ Sei andata ora a Parigi per registrare qualcosa?
MILVA Ho registrato con Ghidon Kremer il suo secondo omaggio che ha fatto a Piazzolla. Il primo, in Svizzera, è al primo posto in classifica. Lo presenteremo a Losanna al pubblico, faremo una conferenza stampa proprio con il grande Kramer e io canto due tanghi di Piazzolla che aveva proprio scritto per me cioè “Che tango che” che è un tipico modo di dire e il testo è di Carier che è il braccio di destro di Peter Brook.
MINA’ E lo farai anche quest’estate?
MILVA Riprendo con il Piccolo Teatro. Insieme abbiamo organizzato un tour, sarò anche quattro sere a Roma, a Ostia Antica, con Binelli, uno degli allievi di Astor, anzi l’ha aiutato proprio quando Astor non stava bene. Per l’occasione è venuto in Italia con il suo gruppo argentino, così riproporrò tutto il repertorio di Piazzolla , sperando anche di andare ad Umbria Jazz.
MINA’ Un filmato in bianco e nero ti introduce il testimone che, evocato per tutta l’intervista, ad un certo punto è arrivato. Questo è un filmato della tua gioventù con Giorgio Strehler
MINA’ Giorgio, grazie di averci dato il piacere di averti a questa trasmissione che va di notte ma ha delle belle presenze
STREHLER Forse andremo ancora più tardi…
MINA’ Per come ne ha parlato Milva, tutti sono autorizzati a pensare che lei ti abbia amato.
STREHLER Ci siamo amati follemente. Milva è mia sorella, la mia amica più cara e non è una sorella incestuosa. Tutti credono che noi ci siamo amati follemente come esseri umani, ci siamo amati invece come teatro, ci siamo voluti bene, ci siamo stimati in una maniera incredibile, ma non abbiamo mai avuto una storia d’amore, faglielo capire, faglielo credere…Non ci crederanno mai. Lasciali pensare., perché no, va benissimo.
MINA’ Cosa avevi visto in questa ragazza?
STREHLER Mentre aspettavo di entrare, mi domandavo quando esattamente io ho incontrato Milva e quando ho avuto l’idea di fare qualche cosa con lei. Se tu mi domandi la data, l’anno esatto io non me lo ricordo, perché io non mi ricordo niente. L’anno del “Galilei” quand’era? Non lo so, la mia vita è una storia di spettacoli, mi ricordo… So che un giorno io avevo già lavorato su questo tipo di teatro con Ornella Vanoni. Anzi, l’avevo proprio inventata io perché Ornella era un’allieva della mia scuola del ‘53-54, una scuola antidiluviana, e avevo capito che forse poteva cantare qualche cosa nei “Giacobini” di Zardi. Gli avevo fatto cantare tre, quattro canzoni rivoluzionarie francesi come intermezzo per cambiare le scene, perché c’era bisogno di un po’ di tempo e mi accorsi che le cantò molto bene e che al pubblico erano piaciute molto. Da lì nacque l’idea di fare il ciclo delle canzoni della “mala” che crearono la prima Vanoni e dopo lei lasciò e continuò la sua strada da sola. Ognuno di noi deve seguire le sue vocazioni ed io mi ero appassionato a questo modo di creare qualche cosa che non fosse soltanto uno spettacolo, che non fosse soltanto un’opera lirica. E allora mi guardavo in giro e ascoltavo. Ascolto tutt’ora molto i dischi, guardo la televisione e non mi vergogno di guardarla, mi fa orrore molto spesso ma la guardo, voglio sapere, voglio conoscere, non sono di quelli che negano di guardarla, io la guardo bene e cambio anche i canali per capire, perché solo così si è nel proprio tempo. Così incontrai la voce e il viso di Milva che era un po’ vicina a quella del tango, di una tenerezza incredibile. Io ho provato soltanto tenerezza, eri semplice, eri pulita, eri tu, era il meglio di te.
MINA’ L’aria della provincia . Poi Lei ha detto bene, c’era molta sofferenza…
STREHLER E’ giusta questa cosa perché non c’era ancora in programma l’”Opera da tre soldi” da fare, ci siamo incontrati e abbiamo cominciato a parlare e così io sapevo naturalmente, ma non le avevo detto niente e Milva aveva tanta paura. Mi ricordo perfettamente la prima volta che ci siamo incontrati in un palcoscenico ed io avevo pensato ad un trucco: avevo fatto mettere sul palcoscenico del teatro lirico un pianoforte a coda, con Alfredo Baracchi, perché non c’era ancora il nostro Beppe. Gli avevo suggerito di suonare un po’ di Brecht, quando sarebbe entrata Milva e poi ci avrei pensato io. Quando Milva si era avvicinata al pianoforte, lei mi aveva chiesto: “Ma cosa fa?”, “Sta suonando Brecht… Ti interessa? Sì? Ma mettiti qua, vicino al pianoforte…”. Non so che canzone ha eseguito, forse “Surabaya Johnny”, comunque sono sceso giù in platea e… Tac! Avevo fatto accendere un proiettore su loro due e su di lei e ho visto che era nata una persona nuova che avrebbe cominciato a percorrere la sua strada. Non pensavo che facesse così come ha fatto, era appena agli inizi però lo fece con una spontaneità, con una facilità veramente eccezionali. Lasciamo perdere la voce, c’era ma non era questo il punto, il problema era l’interpretazione e lei si era data immediatamente. E’ questa, credo, una delle cose più commoventi, più belle di Milva, l’umiltà, ma non l’umiltà supina, stupida del: “Prego dica, faccia”, no…
MILVA “Mi trasformi” le avevo detto e lui un giorno si era arrabbiato. L’umiltà vera è quella del: “Mi metto lì perché voglio imparare, voglio capire” e scaturisce, ad un certo momento, un grande lavoro.
MINA’ Che cosa hai intuito di Brecht che ti ha fatto il regista o uno dei registi più importanti al mondo nell’interpretazione di Brecht?
STREHLER Ma guarda, questa è una storia diversa, non dico più complicata perché le storie degli uomini sono tutte complicate, come ad esempio questa storia con Milva, che è complicatissima, ma nata così, con il pianoforte, con il proiettore e lei che canta … E dopo segue tutta una vita che gira in un certo modo, quindi tutto è complicato. Però Brecht è arrivato nella mia vita dopo la morte di Luis Juvé che fu mio maestro. Io fui un suo allievo negli ultimi due anni della sua vita, scappavo da Milano a Parigi, di notte, per imparare. Era un uomo molto riservato, ma con i giovani si dava molto, amava moltissimo raccontare spiegare e allevare i futuri registi. Un giorno, improvvisamente, mentre facevamo uno spettacolo a Venezia, era arrivata la notizia che era moribondo su un divano del teatro Atené perché era rimasto folgorato da un infarto. Non lo potevano neanche muovere per portarlo in ospedale. Noi avevamo lasciato le prove con Santuccio, mi ricordo, e siamo corsi a Parigi. Lo abbiamo potuto vedere ancora vivo per poco, per le ultime ore, e abbiamo visto il funerale di Juvé con Barò che, nonostante non si amassero, aveva detto: “Oggi il mondo è più povero di qualche cosa d’importante”. La realtà era che si era perso qualcuno di importante. In quel momento mi sono sentito, non dico orfano, ma cominciai a pensare a quello che Juvé mi aveva insegnato. Mi aveva detto delle cose meravigliose sull’attore su come deve fare il mestiere, che cos’è il sacrificio dell’attore, l’umiltà dell’attore, ma della storia lui proprio non ce ne aveva mai parlato. Lui con me non aveva mai detto: “Sai, adesso succede questo fuori…”, ci aveva legati al testo e alla verità della poesia, ma ci aveva negato la storia, ci aveva negato la vita che si muove e quando lui sparì io mi sono sentito orbato come un figlio. Ho sentito anche l’esigenza di dire: “Non è possibile che quello che ho imparato da lui non si possa anche adoperare per gli altri”. Io chiedo sempre: ma lei crede che col teatro si possa cambiare il mondo?”. Sì, si può cambiare il mondo, insieme con mille altre cose, insieme con la vita, insieme con l’amore, insieme con l’amicizia, insieme con i libri, insieme con la poesia, ma una piccola particella di teatro, da solo, non cambia niente. Con le altre cose può cambiare tutto e questa cosa, capisci, mi ha fatto intravedere una via nuova da quella specie di solitudine meravigliosa in cui ero immerso. C’è un piccolo aneddoto di Juvé tipico: passano con la loro compagnia sul Machupichu, nel Perù, una delle più grandi montagne del mondo e lui stava leggendo un libro di Molier. La compagnia lo chiamava: “Maestro, patron (lo chiamavano patron, ma non è il padrone della fabbrica è il “patron”, un papà un po’ vecchio che sa lavorare meglio) c’è il Machupichu, venga a vedere…”. Juvè si alza, si sporge dal finestrino del treno, guarda… “Bel fondale” e ritorna a leggere Molier! Io ho assistito a una lite coi suoi attori a Firenze che avevano ritardato un po’ alle prove perché erano andati agli Uffizi, a vedere il Masaccio e lui era lì che li aspettava. Al teatro, avevano tentato una giustificazione: “Ma sa, siamo arrivati in ritardo perché c’era Donatello…” e lui, gridando: “Ma Donatello est ici!”. Questo era eroico, era sacrale se vuoi, era monastico, ma per lui l’uomo, cosa pensa e per chi vota, lui cosa pensa di quelli che sono senza lavoro, capisci…
MINA’ E allora ti ha spinto ad andare a cercare altrove…
STREHLER Io ho avuto questo grande maestro che ci ha insegnato questa grande lezione, che non necessariamente deve essere dogmatica, era un uomo assolutamente diverso da quello che hanno detto e credo che nel suo spettacolo lo si veda anche più facilmente. L’abbiamo fatto anche per far capire alla gente, che non è proprio così, che era un uomo che amava, e noi, i suoi allievi, abbiamo sempre avuto un po’ di sospetto…
MINA’ Da Juvé sei passato a…
STREHLER Ci stillava sempre dubbi su tutto. Noi dicevamo: “Ma no, ma guardi che quelli lì sono proprio fascisti”. “Ma sì, sì, però pensateci su un momento, potrebbe anche esserci qualche cosa di buono”. Ci faceva sempre vedere il dubbio, era l’uomo del dubbio. Quando noi dicevamo: “E’ sicuramente così” lui diceva: “No, sicuramente no, può darsi che sia così”.
MINA’ Ma tu avevi cercato Brecht perché era l’opposto di Juvé?
STREHLER No, l’avevo cercato perché l’avevo conosciuto, avevo letto le sue opere, perché avevo sentito delle sue pagine scritte, dei suoi drammi e dei suoi allievi, di gente che l’aveva conosciuto, che mi parlava di questo personaggio favoloso, interessante. Sai, per noi giovani antifascisti, già prima del ’39, quello che hai cantato, “Surabaya Johnny” non era roba per te naturalmente, ma per un cantastorie, era quasi un passaparola. Se uno passava fischiettando il motivo, l’altro rispondeva: abbiamo capito, andiamo…
MINA’ Un modo per riconoscervi…
STREHLER L’inizio della resistenza con l’”Opera da Tre Soldi”, capisci, eppure è così. Da lì è nato più che un sodalizio, una lezione, poi è nata l’ ”Opera da tre soldi”. Si chiedeva a Brecht: “Ma cosa faceva lei nel ‘29?”. “Non mi ricordo… Cosa facevo io nel ’29?”. Era come me in un certo senso, non si ricordava più niente. “Le fotografie, non ne ha di fotografie?”. “Sì, forse là nel fondo del cassetto…”. Capisci, era un uomo che divorava il teatro……
MINA’ Quindi non era un integralista?
STREHLER Non era un integralista. Noi dicevamo che aveva un po’ troppi dubbi, certamente perché parlavamo della lotta di classe e lui ci diceva “Si, ma state attenti…”. Era un luxemburghiano assoluto, era uno della grande corrente viva nel socialismo, quello vero, che è la corrente libertaria, in cui il socialismo deve esserci, ma senza la libertà no. E neanche la libertà senza socialismo non va bene, devono essere sempre insieme, capisci? Questa grande corrente è stata sempre minoritaria, perché è quella che ragiona.
MINA’ Sa perché sono orgoglioso di fare questa trasmissione? Perché in un’altra trasmissione non mi sarei potuto permettere una lezione di teatro come quella che ha dato Giorgio ora, in cinque minuti.
STREHLER A parlare di Rosa Luxemburg , in Rai ti mettono alle cinque di mattina!
MINA’ Ora, per ristabilire l’equilibrio, ti faccio vedere Milva con Jannacci in un duetto memorabile
MILVA Prima voglio dire una cosa: il concerto che faccio qui a Roma chiude con una canzone straordinaria che si chiama: “Epitaffio per Rosa Luxemburg”. E’ piccola, ma è straordinaria. Che scelta e che coraggio
STREHLER Ma era avvenuta una cosa che tu hai già vissuto a Cracovia, la città dove è nato il Papa. In uno spettacolo avevi recitato “Epitaffio per Rosa Luxemburg”….Immagina un po’… Prima di iniziare si sentiva il mormorio del pubblico, poi Milva aveva cominciato a cantare. Silenzio di tomba. Alla fine della breve canzone, la gente si era messa a piangere perché il nome Rosa Luxemburg lo avevano usato per i campi di concentramento… Pensa un po’, poverina, proprio il suo nome avevano preso. E il pubblico così era riuscito a superare proprio la “terribilità” di questo nome ritrovandone la bellezza in questa poesia e questo è stato molto commovente.
MINA’ Allora Milva, io ti “abbono” Enzo Jannacci però “Epitaffio per Rosa Luxemburg” me lo devi far sentire…
STREHLER E’ difficile, perché è epico e richiede una grande concentrazione, non si possono cantare queste canzoni così, all’improvviso
MILVA Io sono, in un certo momento, così, proprio così (mettendosi in ginocchio)
“La rosa rossa non c’è più. Il suo corpo dov’è, chissà… Dove sarà? Perché ai poveri ha detto la verità, i ricchi l’hanno spedita all’aldilà. Pace a te, pace a te, pace, pace, pace”.
Grazie, veramente, questa musica ha delle note difficilissime…
MINA’ Giorgio, capisco perché ti sei innamorato di Milva trent’anni fa
MILVA Sono io che mi sono innamorata di lui!
MINA’ Nel ‘95 hai portato “I giganti della montagna” a New York e i critici hanno detto: “Il suo teatro è da culto, dovrebbe venire più spesso”. Quando, alla fine, sei apparso sulla scena, la platea è scattata in piedi per una lunga ovazione. Tutto questo inorgoglisce i tuoi compatrioti, ma fa da contrasto con qualcosa che hai dovuto dire nello stesso anno: “Considero l’Italia un paese allo sbando, del tutto immaturo e sostanzialmente immorale”. Perché?
STREHLER Perché lo è. Non perché l’America non sia a modo suo immatura e immorale sai, ma il problema è che l’Italia stava attraversando un momento tragicissimo che non è ancora finito, un travaglio anche giustificato storicamente perché, sai, in fondo stiamo facendo questa democrazia ed è difficile farla . Però, sicuramente, abbiamo assistito, in questi ultimi anni, a dei decadimenti anche di ordine culturale…
MINA’ Ti hanno fatto scappare pure da casa tua…
STREHLER Non mi hanno fatto scappare dal Piccolo, mi hanno cacciato! Il problema, guarda, è molto semplice, anche se la gente si domanda “Ma cos’è successo, cos’è questa storia terribile?”. Dopo cinquant’anni di vita (compiuti il 14 maggio scorso), il teatro o si chiude o si riapre di nuovo. Si chiude per riaprirlo il giorno dopo con l’anno numero uno, non con l’anno cinquantuno, secondo me, hai capito? O uno ha finito e dice: “Va bene, basta, andiamo avanti così” oppure si ricomincia da capo. Io, pur non più verde negli anni, sento che potrei dare le mie ultime forze, che sono ancora abbastanza vitali, per un teatro che vada avanti.
MINA’ Vuoi dire la tua età?
STREHLER Settantacinque anni, quindi sono tanti, c’è poco da fare. Sono 250 spettacoli, sono 60 anni di teatro…
MINA’ Perché non te lo dovrebbero permettere?
STREHLER Perché per fare questo teatro diverso cioè fatto per i giovani e con i giovani, un teatro, per esempio, dove non si fa solamente la prosa ma si fa anche l’opera, il jazz, certe cose che cantava Milva, concerti in cui Kremer, uno dei più grandi violinisti del mondo, suona Piazzolla, un teatro insomma, che è la realtà dei giorni nostri. Noi siamo multimediali, noi vediamo tutto, sentiamo tutto, amiamo il jazz e amiamo nel medesimo tempo Mozart
MINA’ Ma cosa richiede fede o entusiasmo?
STREHLER Richiede fede, entusiasmo, strutture, soldi anche, ma non sono gli unici: occorre volontà, una volontà culturale di fare qualche cosa. Io ho l’impressione che da aprile sto lottando contro il mondo, ma già qualche cosa si sta muovendo. Le cose, Minà, non si muovono mai da sole, bisogna farle muovere. Per esempio, nell’ultima legge che Veltroni ha portato al Consiglio dei Ministri, il Piccolo Teatro è stato nominato Teatro Nazionale. Cosa vuol dire? Non sappiamo ancora bene…
MINA’ Una medaglia?
STREHLER Può essere una medaglia, ma non mi basta, non mi interessa così, da sola. Se invece è una cosa per fare, allora mi sta bene anche il mezzo nazionale. Capisci cosa voglio dire? Questo è il grande problema che noi abbiamo oggi. Io ritornerò al Piccolo Teatro se avremo i mezzi, se io li avrò, darò gli ultimi dieci anni della mia vita… Si, buttiamola lì al futuro e non al passato, non è una celebrazione del passato.
MINA’ Come lo vedi l’ultimo giorno in cui vorrai entrare in un teatro? Prima mi hai detto: “Ho deciso quando lascio”…
MILVA Ricordo questa frase di una grande cantante, la Tebaldi, che decise il giorno del ritiro e disse: “Non ho più, da quel momento, provato alcun rimpianto”. Credo che sarà molto difficile per me. Sicuramente non farò più certe cose.
MINA’ Cosa?
MILVA Ma quando si ha una certa età, si è più selettive. Saprò scegliere meglio e se avrò l’opportunità di maturare ancora, di andare avanti, se la mia intelligenza mi sosterrà, allora certe cose si potranno ancora fare, ma naturalmente solo con certe persone.
STREHLER E poi ci sarà il silenzio
MILVA E poi appunto il silenzio deve essere totale. Questo è molto importante.
MINA’ Allora io ti ringrazio, sono entrato nella tua vita abbastanza profondamente.
STREHLER Sei stato lì come un frate confessore… una cosa tremenda Gianni, veramente!