Il No a Draghi parta da quell'enorme 41%

Il No a Draghi parta da quell'enorme 41%

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Nonostante il quesito avesse spiazzato persino le pagine di satira e nonostante la “chiamata alle armi” da Grillo, Conte, Di Maio fino alle gerarchie più basse del potere cinque stelle (“O Draghi o morte”), il voto di ieri dei 74.000 iscritti sulla piattaforma Rousseau mostrano una spaccatura sorprendente.

I SÌ sono stati 44.177  (59.3%)

I NO 30.360 (40.7%).

Possono provare a festeggiare i vari Grillo, ma il 41% è un numero enorme che esemplifica un dato semplice: la base degli attivisti del Movimento Cinque Stelle è meglio dei suoi garanti e portavoce.

Che credibilità mai potrà avere la dirigenza del M5S e il suo garante dopo le sceneggiate parossistiche di questi giorni? Dopo il no chiaro di Crimi, capo politico, al governo Draghi (“o Conte o voto”) si è passati al Ni con la prima irruzione in campo di Grillo, fino al Si pieno con il secondo raid di Grillo a Roma dopo che, udite bene, Mr Draghi ha addirittura concesso il fantomatico Ministero della transizione ecologica.

Ministero che aveva proposto già l'ex ministro Fioramonti (sbeffeggiato e isolato anche all'interno del 5 stelle), cui aveva lavorato Dario Tamburrano (ex europarlamentare non rieletto perchè scomodo alle multinazionali dell'energia), e che Grillo poteva costituire con una telefonata nel Conte 1 e nel Conte 2, ma che ha “ideato” ora come fanno solo quei disperati che elemosinano il nulla per salvare la faccia, ma non certo la loro coscienza.

Ministero che, infine, dovrà far finta di negoziare con Berlusconi Renzi e Salvini, ma inutilmente. Inutilmente perché, come ha espresso chiaramente il presidente della Repubblica nei due minuti che umiliavano il Movimento 5 Stelle annunciando la “svolta”, e come ha confermato il premier incaricato nelle sillabe pronunciate fino adesso, saranno Mattarella e Draghi a prendere tutte le decisioni.

Ma veniamo alle note positive. La base del Movimento 5 Stelle c'è ed è molto migliore di quello che i loro “portavoce” hanno saputo esprimere nelle istituzioni. “Non parlerò più a nome del Movimento 5 Stelle, perché il Movimento oggi non parla a nome mio”, ha affermato Alessandro Di  Battista. Non è certo un addio come titolano i media che non hanno mai capito nulla del fenomeno pentastellato, ma un possibile arrivederci di chi da attivista si sente tradito oggi. Colui che più di tutti si è speso per il miracolo elettorale del 2018 e al quale decine e decine tra senatori e deputati devono il loro ricco stipendio non parlerà a nome del Movimento 5 Stelle ma continuerà a parlare per quel 41%.

Quel 41% è una vittoria di chi si è speso in questi giorni drammatici per ribaltare la narrazione del pensiero unico, di chi ha cercato di riaccendere la memoria storica su tutto quello che Draghi ha rappresentato per il 5 stelle, di chi ha fatto riunioni su riunioni zoom fino a tarda notte, di chi si è speso per far girare la lettera appello ai dirigenti e parlamentari per il no e al Vday – con la partecipazione di circa 1000 portavoce e attivisti in diretta zoom e con centinaia di migliaia di visualizzazioni.

Il tradimento dell’entourage Cinque Stelle segue quello di Landini e della Cgil. Ma qui i discorsi sarebbero altri e gli aggettivi da querela. Quel che è certo è che alle “cure” di Mr Draghi e del neo-liberismo selvaggio che ben conoscono in Grecia serve un’opposizione. Non può essere certo quella di Giorgia Meloni, che governa con due dei principali partiti della maggioranza in decine e decine di città e in diverse regioni, e che nei suoi vari interventi ha già mostrato una benevola neutralità al nuovo governo. 

Serve un’opposizione vera. Un blocco sociale da costruire da zero nelle macerie della politica asfaltata definitivamente dalla normalizzazione totale del Movimento 5 stelle. Bisogna partire da zero, ma ci sono molti margini come dimostra quel sorprendente 41% . Riferendosi al Draghi massacratore del popolo greco e alla base della svolta antidemocratica che costrinse le dimissioni del premier Papandreou per Papademos, il banchiere nel board della BCE (vi ricorda qualcosa?), Beppe Grillo, in un video divenuto virale sui social in questi giorni, dichiarava giustamente: “Così Draghi che dice con un titolo così: se i governi non fanno le riforme devono andare a casa. Ma io dico chi li manda a casa i governi un banchiere?”. Eh si, caro Beppe. Allora come oggi. 

Agata Iacono

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Sociologa e antropologa

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