Il voto in Georgia e le stonature “demoliberali” dei fogli euroatlantici
Il 26 ottobre, i georgiani hanno votato per il rinnovo del Parlamento e hanno fatto la loro scelta che, visti i risultati, non è ovviamente riconosciuta dai partiti d'opposizione, né dai media (ci limitiamo a quelli italici) del regime euroatlantico. Con un'affluenza alle urne di circa il 59%, gli elettori hanno votato col sistema proporzionale, utilizzando per la prima volta urne elettroniche, installate nel 74% dei seggi elettorali, coprendo quasi il 90% degli elettori. Dopo lo scrutinio del 99,64% dei seggi, il partito del Primo ministro Iraklij Kobakhidze, “Sogno georgiano”, ha ottenuto il 54,08%, pari a 1,12 milioni di voti; “Coalizione per il cambiamento” il 10,92%, “Movimento unitario nazionale” il 10,12%, “Forte Georgia” l'8,78% e “Gakharija per la Georgia” il 7,76%.
Dunque, il «partito filorusso rivendica la vittoria» (Corriere); si noti bene: non è che abbia vinto, come qualcuno potrebbe credere. No: tutto quello che può fare è «rivendicare» la vittoria. Che poi riesca davvero a ottenerla, si lascia intendere, sarà il majdan georgiano a deciderlo. Per ora, ci racconta La Stampa con rammarico «La Georgia scivola verso la Russia»; ma non è detto, riprende animo subito dopo, perché c'è «L’ombra dei brogli sul voto» e da oggi, aggiunge il fogliaccio con un crescendo di speranza che, come la “Calunnia” rossiniana, dapprima “prende forza a poco a poco”, ma poi “sembra il tuono, la tempesta”, «Oggi proteste di massa» che ti fan “d'orror gelar”.
Insomma, per caratterizzare la situazione al 27 ottobre e volendo essere sintetici al massimo, mutuiamo da ColonelCassad alcuni dati di fatto: 1) il partito di governo “Sogno georgiano” (per dimostrare la propria europeicità, sui fogliacci italici tale formazione deve essere obbligatoriamente etichettata come filorussa; in caso contrario, la filorussicità diventa una caratteristica di chi ne scrive) ha raccolto il 54,8% dei voti, mandando all'aria i precedenti exit poll occidentali, rivelatisi dei banali falsi; 2) Sono falliti i tentativi di far saltare il voto riempiendo alcune urne con decine di schede contraffatte; 3) Dopo Viktor Orban, è stato anche il Presidente azero Il'ham Aliev a congratularsi per la vittoria col premier Iraklij Kobakhidze; 4) Il nuovo Parlamento inizierà i lavori anche se la nonnetta francese (l'attuale presidente Salome Zurabišvili: francese naturalizzata georgiana) dovesse continuare a negare i risultati delle elezioni. «È fissato un periodo di 10 giorni per la prima sessione del Parlamento» ha detto Kobakhidze; «il 10° giorno, il Parlamento si riunirà e terrà la prima sessione. La presidente non dispone di alcuna risorsa per il sabotaggio, anche se dovesse gravemente violare la Costituzione»; 5) L'opposizione inizierà oggi azioni di protesta nelle principali città della Georgia contro i risultati elettorali; 6) A dirla in generale, la Georgia ha scelto la pace, non la guerra e ora cercheranno di rubare questa scelta.
Già: la pace e non la guerra; perché la scelta era proprio quella del secondo fronte contro Mosca, a dar manforte ai nazisti di Kiev, come proclama il Corriere, “chiudendo in bellezza” un pezzo europeista da Tbilisi, col solito “eroe” dell'opposizione che proclama «L’Ucraina sta combattendo anche per la Georgia e anche per voi europei. Ricordatevelo».
Dunque, già da oggi, a Tbilisi si tratta di difendere il voto di cui, come era sin troppo facile prevedere, l'opposizione non riconosce «i risultati falsificati di queste elezioni rubate» (Corriere).
È soprattutto degno di nota, osserva il blogger Golos Mordora, il fatto che Tbilisi non abbia abbandonato il percorso europeo – è semmai Bruxelles che lo ha sospeso - ma abbia al tempo stesso dimostrato che la Georgia vuole vivere secondo le proprie tradizioni e i propri principi e che nessuno deve interferire nei suoi affari interni. Il riferimento è all'approvazione della legge sulla trasparenza dei finanziamenti stranieri alle 25.000 ONG attive nel paese e alla legge che vieta la propaganda LGBT: due leggi pericolosamente “filorusse”, da farsi il segno della croce. Ma questo non va giù alla UE, dice Golos Mordora, «che professa, a parole, libertà e uguaglianza, ma si è trasformata in un vero e proprio Euroreich... che ha allontanato da sé la Georgia, dato che la sovranità è inaccettabile nella UE. Che diavolo di sovranità hanno le province nel Reich?».
Insomma: il dato oggi centrale è se i raggruppamenti dell'opposizione, coi loro curatori occidentali, riusciranno o meno a inscenare un majdan georgiano, per cercare di ribaltare il voto del 26 ottobre, secondo uno schema ormai ben noto, per cui l'opposizione, contando sul sostegno (come minimo) morale e politico occidentale, ricorre a provocazioni violente. Uno schema ribadito da un altro “europeista” georgiano cui il Corriere ha dato voce: «questo è un colpo di stato costituzionale. Questa non è la Russia né il Venezuela, non riconosceremo questo risultato». Ecco, appunto: quel Venezuela caro a Serracchiani, Picierno & Co e santificato dal parlamento europeo.
Ma, nota Fëdor Luk'janov su Vzgljad.ru, per il successo dello schema occorrono due condizioni: che vi prenda parte attiva un patron esterno, esercitando pressioni sul governo legittimo e che lo stesso Governo legittimo percepisca tale patron esterno come «talmente importante da rendere pericoloso e inammissibile complicare in modo significativo le relazioni con lui». È dubbio però che in Georgia tale schema funzioni, non foss'altro perché, al momento, Bruxelles e Washington hanno ben altro cui pensare e, d'altro canto, Tbilisi non sta dimostrando timori o particolari “reverenze” verso i patron esterni e sente l'appoggio della maggioranza della popolazione.
Ce lo auguriamo sinceramente per i georgiani, pur se lo schema del majdan, proprio come la calunnia, che all'inizio va “piano, piano, terra terra”, potrebbe attivarsi anche non immediatamente, ma che “alla fin trabocca e scoppia... e produce un’esplosione...un tumulto generale”. Il popolo georgiano non sente certo il bisogno di fare la fine del popolo ucraino, soffocato sotto la dittatura nazigolpista al soldo di UE-USA-NATO.