Indonesia: un massacro dimenticato che illumina l'attualità
Il presidente indonesiano Joko Vidodo la scorsa settimana ha dichiarato che l’Indonesia deve fare i conti con la sua storia, in particolare con alcune gravi violazioni dei diritti umani che hanno causato lutti e dolore ai suoi cittadini.
Parte da questa dichiarazione l’articolo di The Intercept che descrive il più atroce di questi crimini, che pose le fondamenta della lunga dittatura di Suharto, cioè il massacro dei comunisti del Partai Komunis Indonesia, o PKI, che ne inaugurò il sanguinario regime, iniziato nel 1965.
Un colpo di Stato che si consumò poco dopo l’assassinio Kennedy, quando l’America dispiegò con più forza la sua strategia di contenimento verso la Cina, incrementando il sostegno al Vietnam del Sud – con il corollario nella guerra segreta scatenata in Laos e ripercussioni in tutta l’Indocina – e, per l’appunto, rovesciando il legittimo governo indonesiano, per farlo entrare nell’orbita americana.
Riportiamo parti dell’articolo di The Intercept, che riprende quanto scrive l’ex giornalista del Washington Post Vincent Bevins nel libro The Jakarta Method, volume che ripercorre il massacro consumato nei primi mesi della dittatura di Suharto, nel quale furono uccisi circa 500mila membri o semplici simpatizzanti del PKI. Una massacro nel quale la Cia svolse “un ruolo chiave”.
Il finto golpe utile alla causa
“Dopo la fine della Seconda guerra e fino al 1965 – si legge su The Intercept – l’Indonesia fu governata dal presidente Sukarno (alcuni indonesiani hanno un solo nome) che in precedenza aveva guidato la resistenza contro la colonizzazione olandese”.
Durante la sua reggenza gli Stati Uniti divennero sempre più ostili: “L’Indonesia era enorme, la sesta nazione più popolosa del mondo e il PKI era il più grande partito comunista della terra dopo quello cinese e quello dell’Unione Sovietica. Al governo americano importava poco che Sukarno non fosse affatto un comunista, o che il PKI non avesse piani aggressivi né alcuna possibilità di esserlo”.
“Era già abbastanza grave che Sukarno non avesse accettato di mettere l’economia indonesiana al servizio delle multinazionali statunitensi e che avesse contribuito a creare il Movimento dei Paesi non allineati, un gruppo di nazioni che non aderivano né al blocco sovietico né a quello americano”. Da cui la decisione di supportare un colpo di Stato, o regime-change, come si chiamano adesso.
“Howard P. Jones, ambasciatore americano in Indonesia fino all’aprile 1965, in una riunione con dei funzionari del Dipartimento di Stato tenuta poco prima di lasciare il suo incarico, disse: ‘Dal nostro punto di vista, ovviamente, un fallito tentativo di colpo di stato da parte del PKI rappresenterebbe il mezzo più efficace per dare inizio a un’inversione delle tendenze politiche dell’Indonesia”.
Un fallito golpe, infatti, “avrebbe dato all’esercito ‘un’ottima occasione per innescare una reazione efficace’. Un funzionario del ministero degli Esteri britannico affermò che “si potrebbero propagandare tante cose per incoraggiare un colpo di stato inefficace del PKI mentre Sukarno è al potere”.
“Per una mera coincidenza, questo è esattamente ciò che è accaduto. Il 30 settembre 1965, alcuni giovani ufficiali dell’esercito rapirono sei generali indonesiani, dichiarando che volevano rovesciare Sukarno. Tutti e sei i generali furono uccisi da lì a poco”.
“Suharto, anch’egli un generale che però, casualmente, non era stato preso di mira, dichiarò ai suoi alleati che i generali uccisi erano stati castrati e torturati da alcune donne del PKI in un ‘rituale depravato e demoniaco’, secondo Bevins. Anni dopo si scoprì che niente di tutto ciò era vero; tutti i generali, tranne uno, erano stati semplicemente fucilati”.
L’operazione Annientamento
[…] In ogni caso, Suharto sembrava certamente avere un piano già pronto. Subito dopo l’accaduto, Sukarno fu estromesso e Suharto salì al potere. Poi iniziò il massacro, in quella che all’interno dell’esercito indonesiano fu definita Operasi Penumpasan, Operazione Annientamento”.
[…] Le stragi durarono mesi, fino all’inizio del 1966, e il New York Times lo definì un ‘incredibile massacro di comunisti e filo-comunisti’. Gli Stati Uniti non solo erano consapevoli di ciò che stava accadendo, ma parteciparono con entusiasmo, fornendo all’esercito indonesiano liste di membri del PKI”.
“Un funzionario americano in seguito ebbe a dire: ‘È probabile che abbiano ucciso tante persone ed è probabile che ho molto sangue sulle mani, ma non è poi così male. C’è un momento in cui devi colpire forte in modo decisivo’. Secondo la rivista Time, c’erano in giro così tanti cadaveri da creare ‘un serio problema igienico-sanitario nella Java orientale e nel nord di Sumatra, dove l’aria umida puzza di carne in decomposizione. I viaggiatori di quelle zone raccontano di fiumiciattoli e torrenti letteralmente intasati di corpi’”.
“Il cronista del New York Times James Reston scrisse di questi avvenimenti in un articolo dal titolo ‘Un barlume di luce in Asia’. Gli americani dovevano prendere coscienza di questi ‘sviluppi politici promettenti’, come anche del fatto che il ‘massacro indonesiano’ non sarebbe potuto avvenire ‘senza l’aiuto clandestino che [l’Indonesia] ha ricevuto indirettamente da noi’. Documenti declassificati di recente illustrano quanto Reston avesse ragione”.
Suharto rimase al potere fino al 1998, conservando l’Indonesia nell’orbita americana, legame che si è un po’ allentato dopo la sua estromissione dal potere (morì di vecchiaia nel 2008).
Pagina di storia istruttiva per tante cose: per il finto golpe creato ad arte per prendere il potere come anche per la demonizzazione estrema ad opera di Suharto degli utili idioti golpisti (data la raffinatezza dell’accusa, sarà stata elaborata da qualche analista della Cia, della quale il dittatore era una marionetta). Nel titolo del libro di Bevins si possono rinvenire taciti sottintesi riguardanti l’attualità, quando accenna appunto al “metodo” Giacarta. Sottintesi che lasciamo ai lettori.